IL RIPIEGAMENTO DELL’OCCIDENTE: FASE DI ASSESTAMENTO O INIZIO DELLA REGRESSIONE? PRIME SORPRENDENTI RISPOSTE
CIRCOLO DI STUDI DIPLOMATICI LETTERA DIPLOMATICA
Piazzale della Farnesina, 1 n. 1395 – Anno MMXXV
00135 Roma Roma, 22 marzo 2025
IL RIPIEGAMENTO DELL’OCCIDENTE: FASE DI ASSESTAMENTO O INIZIO
DELLA REGRESSIONE? PRIME SORPRENDENTI RISPOSTE ***
Concludevo la Lettera Diplomatica dell’agosto scorso (n. 1380) dicendo che l’Occidente si trova in una fase di incertezza esistenziale che potrebbe anche risolversi in un drastico ridimensionamento del suo ruolo. Aggiungevo che la presenza dello stesso Occidente tende a contrarsi, ma che non si può escludere che, forse con qualche aggiustamento, questo potrebbe continuare a svolgere un ruolo considerevole. Chiudevo dicendo che si delineava in ogni caso una lotta difficile, insidiosa contro potenze che sono convinte della loro supremazia. A distanza di circa sette mesi dalla data della Lettera Diplomatica come si presenta il mondo? A mio avviso, in maniera sorprendentemente diversa, perché l’Occidente – basato su una alleanza di fondo, al di là di ogni difficoltà passeggera, tra Stati Uniti ed Europa – sembra essersi dileguato, non esserci più: ci sono invece gli Stati Uniti in preda ad “raptus” di sovranismo e di isolazionismo, un’Europa disorientata ed affannata alla ricerca di un nuovo ancoraggio, un estremo Oriente costituito da Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, sorpresi, incerti sul da farsi, e che avvertono la presenza di una Cina sempre più incombente. Fino a poche settimane fa esisteva e funzionava da decenni un’organizzazione, tanto discreta quanto efficiente, di condivisione di “intelligence” tra Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, i cosiddetti “Five eyes” che è ora in subbuglio, in quanto i quattro ultimi paesi non si sentirebbero più di condividere con gli Stati Uniti le loro informazioni, talché penserebbero di chiamarsi “Four eyes”, con esclusione di Washington. Tutto questo sta succedendo per effetto dell’atteggiamento dirompente assunto da Trump nelle ultime settimane che, ancorché non formalizzato, sembrerebbe – sottolineo l’uso del condizionale – puntare alla creazione di un club inedito, ristretto di tre grandi potenze, Stati Uniti, Russia e Cina, vocato alla riorganizzazione del mondo. I colloqui avuti nei giorni scorsi a Washington dal presidente francese Macron e dal Primo ministro britannico Starmer, al di là delle affermazioni (“niceties”) di circostanza, sembrano avere addirittura confermato il nuovo orientamento radicale di Trump. Il mondo che così si delinea sembrerebbe imperniato in prospettiva abbastanza incombente su una vicinanza strategica tra Stati Uniti e Russia con l’intento, non troppo nascosto di Trump, di staccare la Russia dalla Cina. Risulta inoltre un atteggiamento non dichiaratamente ostile di Trump nei confronti di Pechino nel tentativo di trovare un terreno di collaborazione, in campo soprattutto commerciale e finanziario, che stemperi in prospettiva le tensioni derivanti dalla concorrenza fra le due principali potenze economiche nel mondo. Certo, esiste l’ostacolo fondamentale di Taiwan: ma non è detto – è soltanto una mia illazione – che Trump non sia anche disposto a “vendere” la democrazia taiwanese sull’altare di un duopolio mondiale USA/CINA. Che cosa sarà l’Europa nella visione trumpiana? E’ opinione abbastanza convinta dell’autore di queste righe che Trump sia intenzionato a lasciare l’Europa in qualche modo in balia della Russia: il che non significa stracciare il Trattato del nord Atlantico, ma permettere che soprattutto l’articolo 5 venga lasciato silenziosamente cadere in “sonno”. Un’Europa senza la certezza di una protezione degli Stati Uniti in caso di pericolo non potrà che sentirsi potenzialmente indifesa ed ostaggio della Russia. Da lì la corsa di quest’ultimo vertice europeo, con una nuova strategia a 360 gradi per la difesa dell’Europa. La guida viene subito afferrata dalla Francia, forte del suo arsenale nucleare; le fa da spalla la Gran Bretagna di Starmer che sta guidando uno storico riavvicinamento all’Europa, senza peraltro inficiare il verdetto anti-europeo del Referendum del 2016 – ecco le due potenze nucleari dell’Europa -, mentre la Germania del nuovo Cancelliere Merz, premuto dall’assedio minaccioso dell’AFD, porrà mano, una volta al potere ad un massiccio riarmo. Ce la farà l’Europa a difendersi con il venire meno della certezza dell’intervento americano in caso di pericolo? Sarà una corsa contro il tempo, anche se il voto a maggioranza di due terzi del Parlamento europeo di pochi giorni fa sulla Risoluzione della Commissione guidata da Ursula Von der Leyen, che proponeva il riarmo europeo (ancorché non unitariamente inteso) di 800 miliardi di euro, faccia ben sperare quanto meno sulla consapevolezza del pericolo. Nel frattempo, la Russia, dopo aver in qualche modo “ingabbiato” l’Ucraina – senza rinunciare ad alcun territorio ucraino conquistato ed avendo recuperato la regione di Kursk – cercherà di rinfrancarsi per un tratto di tempo dal pericoloso dissanguamento subito in Ucraina (secondo fonti britanniche, oltre 800 mila tra morti e feriti) e potrà riaffacciarsi pericolosa nei prossimi anni. Per quanto riguarda il Medio Oriente, una delle poche previsioni solide, direi inscalfibili, ci porta a dire che la profonda solidarietà tra Stati Uniti ed Israele permarrà e che condurrà presto o tardi ad una confrontazione diretta con l’Iran da cui è difficile vedere Teheran emergere come vincitrice. Quasi certamente si porrà fine al conflitto israelo-palestinese per Gaza. Non si realizzerà certo la fantasiosa ipotesi della Striscia di Gaza trasformata in un attraente Seaside Resort di impronta trumpiana, ma si arriverà ad una dura, difficile transizione con la presenza di truppe di interposizione probabilmente medioorientali e con una possibile guida dell’ANP: una pervicace ostilità di Netanyahu all’idea dei due Stati ci induce a sospendere ogni previsione su quello che potrà succedere in quel quadrante e in Cisgiordania. Che cosa succederà invece agli Stati Uniti? Vedo gravi difficoltà interne: alle elezioni di mid term (fra meno di due anni), è molto probabile che Trump perda la maggioranza esigua di cui gode attualmente, quanto meno in una delle due Camere, ed è possibile che punti ad un terzo mandato non consentito da disposizioni costituzionali. Che cosa avverrà? Vedo un periodo estremamente complicato, se non terribilmente divisivo e convulso all’interno degli Stati Uniti che potrebbe anche compromettere, per un tratto di tempo, la loro capacità di gestire la situazione internazionale. Che cosa succederà all’Italia? Come si comporterà l’Italia in questo frangente? Non intravedo tempi facili. Il presupposto su cui si basava un certo ruolo per l’Italia della Presidente Giorgia Meloni era quello di una perdurante presenza di Trump nel gioco europeo: l’Italia sarebbe stata in posizione per svolgere un ruolo di “go between” tra Europa e Stati Uniti. Ma se Trump intende allentare enormemente il legame tra Stati Uniti ed Europa viene meno il vantaggio atteso dall’Italia che dovrebbe anzi adoperarsi per evitare una situazione di sostanziale isolamento. La Presidente Meloni non pare aver completamente rinunciato alla suddetta ipotesi di “go between”. Tuttavia, l’atteggiamento assunto in questi giorni dal governo italiano sembra andare nella direzione di un giudizioso ripensamento. L’Occidente che si era progressivamente predisposto a dominare il mondo sull’arco degli ultimi 500 anni sta fragorosamente franando: la Russia in posizione di tendenziale predominanza in Europa; gli Stati Uniti nella prospettiva di una sempre più difficile, addirittura traumatica, situazione interna; l’Europa richiesta di realizzare nel più breve tempo possibile una difficilissima congiunzione di sforzi per riarmarsi e far fronte ad una Russia minacciosa. Che ne sarà del nostro mondo che avevamo conosciuto per 80 anni? Saremo capaci di salvare la nostra democrazia e le nostre istituzioni? E’ un quesito a cui vorrei tanto poter dare una risposta positiva. Ma non ho certezze. L’unica certezza è che vivremo nei prossimi anni uno di quei momenti di passaggio di enorme, straordinario interesse che capita a poche generazioni nella storia di poter vivere. Teniamo gli occhi sempre aperti e manteniamo sempre fede ai nostri ideali. Vorrei comunque concludere con una speranza: la speranza certamente rimane che il “tornado” Trump si afflosci nei prossimi tre, quattro anni, che gli Stati Uniti trovino un nuovo equilibrio interno tra Repubblicani di vecchia generazione e i Democratici di centro, talché l’emergenza eversiva trumpiana possa rientrare, e che un ritrovato Occidente sia in grado di affrontare con coraggio e determinazione la persistente sfida posta dalla coalizione di paesi autoritari e dittatoriali.
Adriano Benedetti
*** Traccia dell’intervento pronunciato il 15 marzo 2025 alla Società Tarquiniense d’Arte e Storia “Omnia Tuscia”.
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