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Intelligenza artificiale e dinamiche di mercato: «the end of competition as we know it»?

di - 19 Marzo 2025
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Circa un decennio fa, i professori statunitensi Ariel Ezrachi e Maurice Stucke, con il volume «Virtual Competition. The Promise and Perils of the Algorithm-Driven Economy», hanno inaugurato il dibattito relativo alla tutela di un sistema di mercato competitivo a fronte di uno sviluppo tecnologico senza precedenti, evidenziando che i mercati digitali, caratterizzati dal paradosso per cui il monopolio costituisce un esito fisiologico del gioco concorrenziale, potrebbero segnare «the end of competition as we know it».

L’ascesa dell’intelligenza artificiale ha gradualmente favorito la concentrazione di un vasto potere di mercato nelle mani di un numero ristretto di colossi del settore digitale, come Google, Amazon e Meta. A differenza di quanto avviene nel caso dei monopoli tradizionali, il potere detenuto dalle grandi piattaforme è imputabile alla disponibilità di enormi volumi di dati, agli effetti di rete e all’integrazione verticale dei servizi all’interno della piattaforma, elementi che, con l’impiego dell’intelligenza artificiale, risultano fortemente amplificati, consolidando e rendendo inespugnabile la posizione di mercato acquisita. Tali caratteristiche sono espressamente esaminate nelle «Linee guida sull’applicazione dell’articolo 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione della concorrenza», progetto che la Commissione europea completerà nel 2025 e che mira a fornire orientamenti su alcuni aspetti in materia di abuso di posizione dominante. Rientrano tra questi il concetto di benessere dei consumatori, la valutazione delle posizioni dominanti individuali e collettive, i criteri per determinare se il comportamento di un’impresa dominante possa costituire un abuso e se questo possa condurre a effetti di esclusione della concorrenza, aspetti che necessitano di una profonda riconsiderazione alla prova dei mercati digitali.

L’intelligenza artificiale, in virtù della propria efficienza e delle numerose potenzialità che dimostra in rapporto alle dinamiche di mercato, è ormai un elemento fondamentale in vari settori merceologici per l’elaborazione delle strategie commerciali e la determinazione dei prezzi da applicare al pubblico. I sistemi algoritmici possono rappresentare un interessante strumento per le imprese, consentendo loro di ottimizzare l’offerta in base alle preferenze dei consumatori e alle condizioni di mercato, nonché di realizzare sistemi di programmazione economica, distribuzione e logistica più efficienti, con conseguenze positive in termini di qualità del servizio e di riduzione dei costi.

Nonostante l’uso di sistemi algoritmici possa favorire l’innovazione e il miglioramento di prodotti e servizi attraverso un’accurata analisi del comportamento e delle preferenze dei consumatori, alcuni impieghi dell’intelligenza artificiale potrebbero rivelarsi potenzialmente anticoncorrenziali.

La dottrina ha elaborato alcune soluzioni per contrastare i fenomeni distorsivi algoritmici a partire dall’applicazione degli artt. 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che reprimono gli accordi restrittivi della concorrenza e lo sfruttamento abusivo di posizione dominante.

I maggiori rischi per la concorrenza sono stati associati soprattutto alle ipotesi di sistemi di intelligenza artificiale in grado di indurre o rafforzare un coordinamento collusivo di tipo orizzontale. Gli algoritmi possono infatti essere sfruttati come strumenti dinamici di fissazione dei prezzi, con lo scopo di creare o rafforzare accordi preesistenti: l’impiego di tali tecnologie consente alle imprese di reagire in modo parallelo e sincronizzato ai frequenti cambiamenti del mercato, evitando le tradizionali modalità di comunicazione e sostituendo quindi il meeting of minds con il meeting of algorithms.

L’impiego di algoritmi di prezzo è stato esaminato per la prima volta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 21 gennaio 2016, C-74/14 (Eturas), caso in cui alcune agenzie di viaggio avevano individualmente deciso di utilizzare un sito internet per la vendita dei loro servizi secondo modalità uniformi di prenotazione. L’amministratore del sito aveva poi introdotto una restrizione tecnica in virtù della quale gli sconti sui prezzi dei viaggi venduti tramite il sito non potevano superare il 3%, informandone contestualmente le agenzie tramite un messaggio e-mail. Sebbene la restrizione non impedisse alle agenzie di offrire ai propri clienti sconti superiori al 3%, a tal fine era richiesto l’adempimento di formalità tecniche aggiuntive. La Corte di giustizia, pronunciandosi sulla questione, ha affermato il principio secondo cui l’adesione, decisa da più imprese in modo unilaterale, a un sistema che impiega algoritmi per condizionare il prezzo delle imprese parti di esso, comporta una presunzione iuris tantum di partecipazione di ciascuna impresa a una pratica concordata tramite assenso tacito, consentendo così di ricondurre all’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE le ipotesi in cui l’intelligenza artificiale è impiegata come strumento per attuare, potenziare o perfezionare un’intesa già pianificata o già in atto.

È stato osservato che tale condotta non si manifesta solo in relazione a imprese situate allo stesso livello della filiera produttiva, ma anche nel caso accordi verticali, conclusi tra imprese che operano a diversi livelli della catena di produzione o di distribuzione di un bene o di un servizio, come nel caso dell’utilizzo degli algoritmi da parte dei fornitori per imporre e controllare il prezzo di rivendita applicabile ai clienti finali. Quest’ultima pratica è sanzionata dal Regolamento (UE) 2022/720 (Vertical Block Exemption Regulation o VBER), che disciplina l’applicazione dell’art. 101(3) TFUE agli accordi verticali. Il Regolamento stabilisce infatti le condizioni per cui tali accordi possono beneficiare di un’esenzione di categoria ai sensi dell’art. 101(3) TFUE ed essere così considerati compatibili con il divieto di intese restrittive della concorrenza posto dall’art. 101(1) TFUE senza la necessità di alcuna valutazione individuale, dal momento che detti accordi verticali sono presumibilmente in grado di determinare incrementi di efficienza nella produzione o nella distribuzione idonei a controbilanciare gli eventuali effetti anticompetitivi.

Si ritiene che ricada entro l’ambito di applicazione dell’art. 101 TFUE anche la realizzazione di un coordinamento di prezzi attraverso l’utilizzo dei software impiegati come hub da parte delle imprese (spokes), che decidono di avvalersi di un unico fornitore di algoritmi di prezzo, pur restando tra loro prive di contatti diretti e senza necessità di comunicazioni preventive riguardo alla strategia da applicare. Il software non esegue gli ordini delle singole società coinvolte, bensì fornisce l’output finale che consente loro di realizzare simultaneamente lo stesso profitto. Di conseguenza, lo scambio di informazioni avviene indirettamente, attraverso il punto di snodo comune, che funge da tramite tra le parti: l’accordo anticoncorrenziale viene quindi ricondotto alla scelta del medesimo fornitore.

Oltre ai casi in cui gli algoritmi vengono impiegati come strumenti di attuazione di intese già delineate in fase di programmazione, per i quali sono presenti numerosi esempi nella casistica antitrust, rimane oggetto di dibattito la possibilità che gli algoritmi contribuiscano attivamente alla creazione di equilibri collusivi, facilitando la realizzazione di allineamenti altrimenti difficili da conseguire o comunque instabili, oppure realizzando direttamente, in modo autonomo e senza esservi programmati, effetti simili a quelli propri di un cartello, così configurando un’ipotesi di collusione tacita. Tale fenomeno sembra eludere il divieto di accordi restrittivi della concorrenza, in quanto i sistemi di apprendimento automatico si limitano ad analizzare i prezzi stabiliti dai concorrenti sul mercato e a reagire intelligentemente agli stessi, adottando decisioni che possono essere considerate autonome e che prescindono da qualsiasi contatto tra imprese, anche di natura indiretta.

Un’interessante strategia di enforcement antitrust per contrastare la collusione tacita algoritmica consiste nell’applicazione dell’art. 102 TFUE, qualificando la condotta realizzata grazie al software come abuso di posizione dominante collettiva. La Corte di giustizia, con la sentenza del 16 marzo 2000, procedimenti riuniti C-395/96 P e C-396/96 P (Compagnie maritime belge transports SA e a.) e con la sentenza del 10 luglio 2008, C-413/06 P (Bertelsmann AG) ha confermato che il divieto di abuso di posizione dominante può applicarsi anche a più imprese, se queste detengono congiuntamente una posizione dominante collettiva, la cui costituzione non dipende da accordi o vincoli giuridici tra le imprese interessate, ma da «altri fattori di correlazione», tra cui potrebbe rientrare l’adozione di algoritmi di apprendimento automatico con l’obiettivo di prevedere i comportamenti reciproci e di conseguenza massimizzare il profitto. L’applicazione dell’art. 102 TFUE a fenomeni di tipo collusivo, a motivo della difficoltà di intervento attraverso la norma in materia di intese, costituisce un orientamento consolidato nella giurisprudenza europea, nonostante sia privo di un riscontro diretto nella casistica, poiché il divieto di abuso di posizione dominante collettiva continua a essere applicato solo in presenza di una pratica concordata e quindi solo congiuntamente – e non alternativamente – all’art. 101 TFUE.

Emergono, in definitiva, alcune soluzioni interpretative utili ai fini della repressione di condotte abusive perpetrate per mezzo di sistemi di intelligenza artificiale particolarmente sofisticati, in merito alle quali il Regolamento (UE) 2024/1689 (Artificial Intelligence Act) non presenta alcuna disposizione, così come gli algoritmi di prezzo non sono inclusi tra le applicazioni di IA «ad alto rischio», di cui all’Allegato III del Regolamento.

I rischi cagionati dall’impiego dell’intelligenza artificiale sul mercato hanno reso parzialmente insufficiente il tradizionale intervento antitrust ex post e hanno sollecitando l’adozione di una regolazione ex ante, rivolta ad alcuni specifici partecipanti al mercato, i gatekeepers – di cui le Big Tech sono i maggiori esponenti – come dimostrato dall’introduzione del Regolamento (UE) 2022/1925 (Digital Markets Act o DMA), che si pone in un rapporto di complementarità con gli artt. 101 e 102 TFUE. È stato stabilito all’art. 6.5 del DMA che le condotte di self-preferencing – ossia il trattamento più favorevole riservato dal gatekeeper ai propri prodotti o servizi rispetto a quelli offerti dai fornitori terzi – sono autonome fattispecie di abuso di posizione dominante, ampliando il novero di condotte riconducibili all’ambito di applicazione dell’art. 102 TFUE. Tale disposizione si inserisce nel solco tracciato dalla Corte di giustizia nella recente pronuncia del 10 settembre 2024, dedicata al caso Google LLC e Alphabet Inc. contro Commissione europea (C-48/22 P), con cui è stata confermata la sanzione comminata dalla Commissione europea a Google nel 2017 per aver abusato della sua posizione dominante sul mercato della ricerca generale su internet per aver trattato più favorevolmente, in termini di posizionamento e di visualizzazione nelle sue pagine generali dei risultati di ricerca, il proprio servizio di acquisti comparativi, Google Shopping, rispetto ai servizi dello stesso genere offerti da operatori concorrenti, che invece apparivano su tali pagine con tendenza a esservi classificati in modo meno favorevole a causa dell’applicazione di algoritmi di aggiustamento, nonostante la società avesse sostenuto che le pratiche oggetto della decisione impugnata avrebbero contribuito al miglioramento qualitativo dei propri servizi di ricerca e in quanto tali rientrerebbero nell’ambito della concorrenza basata sui meriti, non potendo quindi essere considerate abusive.

Il motivo di difesa sollevato da Google pone in evidenza la «sfida maggiore» che il diritto antitrust si trova ad affrontare nella «quarta rivoluzione industriale»: l’insanabile contrasto all’interno dell’economia di mercato fra la concorrenzialità delle imprese, dei prodotti e dei servizi e la tutela degli interessi dei consumatori beneficiari dei beni e servizi realizzati. Le piattaforme online che impiegano l’intelligenza artificiale per raccogliere e analizzare i dati degli utenti potrebbero compromettere l’indipendenza decisionale e la riservatezza dei consumatori, nonché la parità di accesso all’offerta di beni e servizi di base, creando dunque una frattura tra la protezione della scelta a disposizione degli utenti e la tutela della loro privacy.

Il diritto antitrust si troverebbe a un bivio: in un mercato in cui è l’intelligenza artificiale a processare i dati dei clienti e delle imprese concorrenti, proteggere l’innovazione e lo sviluppo di prodotti e servizi potrebbe consentire un’espansione incontrollata di poche grandi piattaforme, mentre tutelare i consumatori potrebbe tradursi nel sacrificio della libera concorrenza e del progresso tecnologico.

 

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