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Giangiacomo Nardozzi, Intervento su P. Barucci et al. (a cura di), Scrittori e scrittrici di economia nel Regno d’Italia, Bancaria, Roma, 2024, pp. 681.   

di - 17 Febbraio 2025
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Grazie innanzitutto per questo invito di Cesifin, un istituto legato alla mia meravigliosa esperienza di docente alla Cesare Alfieri[1]. In quei tempi ormai lontani, prestigiosi colleghi mi divennero amici, come il compianto Alberto Predieri, che ideò questa Fondazione, e Giuseppe Morbidelli che la dirige da tempo. Aggiungo che l’invito a discutere quest’opera è proprio nello stile di Cesifin, improntato a una visione allargata delle discipline. Una visione che mi rammenta Raffaele Mattioli quando, forse ispirato da un detto di Goethe, ebbe ad affermare che per essere grandi nel proprio mestiere bisogna andarvi oltre.

Anche per questo non limitarsi all’economia in senso stretto, e meno che meno alla economics, ho molto apprezzato “Scrittori e scrittici” e mi associo ai complimenti in questo senso già espressi da Pierluigi Ciocca. Ma quest’opera merita anche altri apprezzamenti, non ultimo per il lavoro di coordinamento di circa 190 studiosi – Pierluigi e io nel lavoro per Treccani ne avevamo solo una trentina eppure non è stata proprio una passeggiata! Particolare apprezzamento va all’impegno di un non più giovincello Piero Barucci. Inoltre si tratta di un’opera che offre al lettore un’ottima facilità di consultazione con i suoi tre indici che consentono di rispondere anche a domande e curiosità, per così dire, di contorno.

Tra i 655 studiosi “schedati” con competenza e cura in questo volume vi sono giganti sui quali un bravo economista già dovrebbe sapere insieme a medie e piccole altezze sui quali può essere interessante sapere, fare scoperte. Ovviamente ne ho personalmente conosciuti pochi, ma ho pensato possa essere, se non utile, almeno attraente, riportare le mie esperienze con due importanti protagonisti del panorama, entrambi visti quali docenti all’Università Bocconi. Si tratta di esperienze da studente ma credo pur sempre significative. In generale per chi creda all’importanza della didattica quale stimolo per la stessa ricerca scientifica. Più in particolare perché i due casi rappresentano modi opposti di rapportarsi con gli studenti.

Di Giovanni Demaria apprezzai la grandezza solo molto tardi, quando mi capitò di leggere un suo audace e splendido scritto, “Il problema industriale italiano”, inizialmente pubblicato su “Il giornale degli Economisti” subito chiuso d’imperio da Mussolini e poi riprodotto tra gli Atti della Commissione Economica per la Costituente presieduta dallo stesso Demaria. Fino ad allora mi erano rimasti, di questo tanto autorevole economista, solo ricordi, francamente non buoni, dei suoi corsi. Il suo testo “Trattato di logica economica” non era proprio l’ideale per appassionare allo studio dell’Economia Politica 1 e 2. Ai miei tempi veniva distribuito in fascicoletti successivi, puntate di un’opera in fieri. Tra i primi argomenti lo studente si doveva misurare con un metodo per la soluzione di equazioni alle differenze finite! Inoltre per gli esami e anche per le stesse lezioni Demaria si serviva di assistenti che, Aldo Montesano ancora non c’era, mostravano dubbia competenza della materia, in particolare dei suoi aspetti matematici. Su altro verso conobbi però un bravo Piero Bassetti che si occupava del Demaria dello “Stato sociale moderno”, ed esaminava su questa parte del programma. Invece sul primo volume del Trattato, “La catallattica”, c’erano altri assai discutibili e discussi esaminatori dai quali venni subito bocciato. Con la consolazione molto tardiva che la stessa sorte seppi tanti anni dopo aveva subìto Tommaso Padoa Schioppa.   Per il secondo corso poi si doveva stendere una tesina che avrebbe dovuto fornire evidenze utili a corroborare la sua tesi sul rilievo dell’esogeneità in economia, attraverso quelli che oggi si chiamerebbero “shock”, con una misurazione degli effetti di cosiddetti “entelechiani” sulla quale noi studenti avevamo imparato a produrre i risultati voluti.

Tutt’altr’aria con Ferdinando di Fenizio. Con la Politica Economica da lui insegnata per incarico, dell’economia divenne chiaro per noi studenti il senso, lo scopo, il metodo. Imparammo la macroeconomia, mai menzionata da Demaria che non ne contemplava neppure l’esistenza, incontrammo Keynes conseguentemente del tutto ignorato e avversato.  Le lezioni di Politica Economica ci introdussero anche al grande tema dei giudizi di valore che umanizzava l’astratta logica economica. Erano brillanti e ricche di riferimenti alle realtà dal professore vissute fuori dalle Università –tutte accuratamente riportate nella bella scheda redatta da Renata Targetti Lenti in questo volume- all’Uffici Studi della Montecatini, nell’attività pubblicistica, nella partecipazione ai primi tentativi di programmazione, nell’esperienza dell’Isco, dove anni dopo anch’io incontrai la Dott.ssa Ipsevich. Di Fenizio rallegrava il suo uditorio con un’originale spirito umoristico che, ad esempio, lo portava a definire “pirati” gli studenti colti a copiare durante gli scritti di cui era fatto l’esame. Una definizione da ritenersi per tutti infamante anche se appena attenuata dall’aggettivo “certosino” per chi consultava di nascosto rotolini di carta di sintesi della materia minuziosamente preparati per la bisogna. Insomma di Fenizio sapeva bene distribuire sulla sua materia il miele necessario ad addolcirne le difficoltà e ad attirare nuovi adepti. Inoltre aveva un eccezionale fiuto nella scelta dei suoi giovani collaboratori. Tra questi destinata ad emergere la figura di Giorgio Lunghini, responsabile insieme al suo maestro della mia scelta per la professione accademica. Decisivo fu ascoltarlo quando sostituiva il maestro a lezione. Giovane con la sua faccia da bambino che un po’ sempre gli rimase mi affascinò subito la prima volta che rimasi ad ascoltarlo tra i pochi, mentre la grande aula si svuotava perché informata dell’assenza del titolare. Mi seguì nella preparazione della tesi e imparai tanto da lui durante tutta la mia successiva carriera.

A questi ricordi, mi scuso se troppo personali, mi fermo. Con gli auguri più vivi per la più larga diffusione di questo volume, un prezioso contributo alla cultura italiana, non solo economica.

[1] Ringrazio Cesare Giussani, mio compagno di corsi in Bocconi, per aver confortato e integrato i miei ricordi di quei tempi lontani


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