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La vittoria di Trump e l’Europa

di - 20 Novembre 2024
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CIRCOLO DI STUDI DIPLOMATICI                                                                LETTERA DIPLOMATICA

Piazzale della Farnesina, 1                                                                                         n. 1386 – Anno MMXXIV

00135 Roma                                                                                                                Roma, 11 novembre 2024

 

Durante la campagna elettorale le cancellerie europee, con alcune eccezioni, non nascondevano preoccupazioni per le possibili conseguenze di una vittoria di Trump sui rapporti transatlantici. A vittoria avvenuta, e nelle dimensioni che abbiamo visto, l’Unione Europea si trova ora a dover gestire quelle possibili paventate conseguenze. Di notevole rilievo saranno gli aspetti economici. La politica dei dazi, che Trump ha annunciato anche nei confronti dell’Europa, colpirebbe in modo rilevante, se sarà effettivamente seguita, la già precaria economia europea ed in particolare quella di paesi che come la Germania e l’Italia hanno nelle esportazioni una componente fondamentale del loro prodotto interno lordo. L’atteggiamento del Presidente eletto verso il multilateralismo e le intese di carattere collettivo, sia a livello regionale che globale, lo potrà portare a privilegiare, come del resto annunciato e praticato durante il suo precedente mandato, rapporti bilaterali con i singoli paesi, cercando di incidere sul sistema europeo di politica commerciale comune vigente fin dal Trattato di Roma. In sostanza una spinta al superamento di uno degli aspetti fondamentali su cui è stato costruito il processo di integrazione europea. Una politica protezionista in materia commerciale potrebbe avere effetti negativi sull’inflazione negli Stati Uniti – malgrado il fatto che la lotta all’aumento dei prezzi sia stata un tema centrale della campagna elettorale di Trump – e di riflesso in Europa a causa di una guerra commerciale che potrebbe coinvolgere non soltanto America e Cina, ma anche il nostro continente, con conseguenti rischi anche di un aumento dei tassi di interesse per frenarla. I timori da questa parte dell’Atlantico sono d’altra parte espressi anche dalle reazioni delle borse europee che diversamente da quelle americane hanno fatto registrare ribassi il giorno stesso della vittoria di Trump. Anche la posizione trumpiana sul contrasto e l’adattamento ai cambiamenti climatici, mentre si sta svolgendo la COP29 a Baku sul clima, rischia di creare un ulteriore elemento di attrito tra Stati Uniti e UE. I due maggiori produttori di ossido di carbonio immesso nell’atmosfera, Stati Uniti e Cina, hanno avviato politiche di decarbonizzazione e di accompagnamento della necessaria transizione che rischiano ora di subire arresti o ritardi, imprimendo un arretramento rispetto al necessario impegno a livello internazionale su un tema cruciale per la sicurezza globale sotto tutti i suoi profili. Vi sono poi i temi legati allo sviluppo tumultuoso dell’intelligenza artificiale. Quanto la nuova amministrazione e le personalità del mondo high tech ad essa più vicini, a partire da Elon Musk, vorranno cooperare con l’Europa per una sua regolamentazione? E quanto resterà dei processi avviati in ambito OCSE e G20 sul trattamento fiscale delle grandi società multinazionali? Alla luce di quanto in qualche modo annunciato e di quanto si è visto durante il primo mandato, frizioni analoghe potrebbero riguardare la difesa euro-atlantica. Di fronte ad un possibile disimpegno degli Stati Uniti, che tanto danneggiò il nostro continente dopo la prima guerra mondiale preparando il terreno per la seconda, l’Europa potrà essere costretta a dotarsi in misura molto maggiore di strumenti per la propria sicurezza, aumentando le risorse da destinare alle spese militari e impegnandosi a renderle più efficaci attraverso processi di messa in comune e condivisione. Cosa che richiederebbe anche condivisioni di sovranità da parte dei Governi che vogliano realmente muoversi in questa

direzione. Si tratterebbe di un processo di per sé positivo, coerente con le aspirazioni di autonomia strategica per gestire, con capacità proprie, crisi attorno a sé e minacce a propri specifici interessi. Ma per poter avere una deterrenza pienamente dissuasiva e credibile di fronte a potenze ostili dotate di armamento nucleare, lo sforzo finanziario e i tempi necessari richiederebbero riaggiustamenti progressivi del modello di società realizzato in Europa dopo la seconda guerra mondiale, già affetto da carenze di sostenibilità anche a causa delle dinamiche demografiche. Anche da questo deriva l’esigenza di mantenere solido il rapporto transatlantico che le politiche di Trump, da come sono state annunciate, potrebbero indebolire. In questo ambito quanto annunciato dal Presidente eletto di risolvere in tempi rapidi il conflitto in Ucraina, senza peraltro fornire dettagli sul come, potrebbe avere come esito cedimenti territoriali alla Russia e una esposizione europea alle minacce reali o potenziali di Mosca con una ridotta credibilità della garanzia fornita dagli Stati Uniti. Nella stessa situazione potrebbero d’altra parte trovarsi gli alleati asiatici degli Stati Uniti di fronte alla Cina, pur essendo quell’area e le rivalità con Pechino ulteriormente salite nelle priorità americane. Si vedrà come la politica di Trump si svilupperà rispetto a Taiwan, con riflessi in tutta la regione, potendo oscillare tra una linea di contrapposizione dura, con possibilità di escalation militare, e una linea di compromesso o di minore impegno nella difesa militare dell’Isola come quanto paventato da alcuni altrove. Una ulteriore questione di primaria importanza per l’Europa, sotto i profili della sicurezza, di un possibile grande afflusso di profughi, degli approvvigionamenti energetici e dei rapporti commerciali e finanziari è stato nell’ultimo anno l’accelerazione della crisi mediorientale. Durante la campagna elettorale Trump aveva manifestato un sostegno pieno a Netanyahu, invitandolo a “portare a termine il lavoro”. A ciò ha corrisposto l’entusiastica reazione del Primo Ministro israeliano alla sua elezione. Si tratta ora di vedere come questo sostegno si realizzerà, anche in relazione a come agire nei confronti dell’Iran e come ciò si coniugherà con l’affermazione del nuovo Presidente che durante il suo mandato non vi saranno nuove guerre. Egli dovrà inoltre fare i conti con l’altro suo partner nella regione al quale è legato per molti aspetti: il leader saudita Mohamed bin Salman dietro al quale si muovono altri paesi arabi del Golfo ed oltre. MbS vuole normalizzare i rapporti con Israele nell’ambito di estesi accordi di Abramo ma per farlo ha ripetutamente posto come condizione la nascita dello stato palestinese, oggi anche formalmente respinta dall’attuale Governo israeliano. Egli ha inoltre mostrato negli ultimi due anni di voler contenere l’Iran ma non un conflitto aperto dagli esiti incerti dopo le esperienze dell’Iraq e dell’Afghanistan. Il suo interesse è nella stabilità nella regione che passa anche per rapporti di coesistenza seppure competitiva con Teheran. Anche su questo quadrante vi sono quindi incertezze su cui l’Europa e i suoi Stati membri dovranno misurarsi, tenendo auspicabilmente ferma la loro aspirazione ad un ordine mondiale basato sul multilateralismo e su regole certe e condivise, come ha ulteriormente ribadito il Presidente della Repubblica Mattarella durante la sua visita in Cina che si sta concludendo.

Maurizio Melani

 

 

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