Principi del diritto amministrativo e decisione amministrativa robotica. A proposito del volume di L. Previti, La decisione amministrativa Robotica, Napoli, 2022.
Il volume di Luigi Previti fa vedere come un’epoca si chiuda e se ne apra un’altra.
Di decisioni amministrative informatizzate si discute da decenni, grazie ai numerosi autori che nel corso di questi anni hanno ragionato sulla natura giuridica del software, sulla responsabilità dell’amministrazione (con precisazioni sul ruolo dei funzionari e dei tecnici), sui vizi dei provvedimenti automatizzati, e ancor prima sulla fattibilità dell’automazione stessa degli atti pubblici, comprese leggi e sentenze, fino appunto ai provvedimenti amministrativi, distinguendo, in ordine a questi ultimi, sulla configurabilità di provvedimenti automatizzati vincolati, discrezionali, discrezionali tecnici.
Al tempo stesso, la società dell’algoritmo è già presente e l’IA Act alle porte: le innovazioni indurranno una serie di nuove valutazioni, cui il lavoro introduce, ma che dovranno essere sviluppate nel tempo, a mano a mano che cresceranno la casistica, le applicazioni e le istanze di tutela. In questo senso, il cd. IA Act è solo il primo atto regolatorio.
Il volume può essere diviso in due sezioni. In una prima viene introdotto il discorso su algoritmi, dati, automazione, si inquadra il passaggio dall’amministrazione digitale all’amministrazione algoritmica, con un interessante sguardo (di cui si sente e ci sarà sempre più bisogno) all’esperienza straniera, nello specifico francese, tedesca e anglosassone e in particolare viene sottolineata la assenza di una base normativa del fenomeno nell’ordinamento giuridico.
Il terzo capitolo fa da spartiacque: vi si ripercorrono le riflessioni sulla normalizzazione del linguaggio giuridico (dal momento che il primo problema è come informatizzare le prescrizioni giuridiche), sull’autorganizzazione (per capire quanto l’amministrazione sia libera di automatizzare), sull’autolimite decisionale (in quanto ci si chiede quanto le decisioni a valle automatizzate possono essere anticipate da autovincoli dell’amministrazione decisi a monte), per poi giungere alle questioni legate all’esercizio del potere di automazione rispetto al potere vincolato e discrezionale, in particolare alla luce di quanto affrontato dalla giurisprudenza amministrativa, specialmente nella casistica sulla cd. buona scuola (on l’algoritmo che ha deciso in ordine alla mobilità dei docenti).
In questo modo si ricostruisce la cornice del problema. Al tempo stesso, appare però dalla lettura come le nuove prospettive chiedano anche una riconsiderazione dei problemi. Un tempo si immaginava che gli elaboratori elettronici potessero operare solo come calcolatrici, e ci si chiedeva come adattare questo modo di operare all’attività pubblicistica. Ma se gli elaboratori elettronici oggi processano migliaia di dati, trovano corrispondenze, fanno previsioni, imparano dalla propria esperienza e si correggono, è chiaro che il provvedimento amministrativo può effettuare (o aiutare ad effettuare) una serie di valutazioni che un tempo si pensavano impossibili. Questo cambiamento non induce solo a ripensare, come si è fatto, al vecchio schema per cui solo l’attività vincolata può essere automatizzata, con dibattito ulteriore sulla discrezionalità tecnica. Questo cambiamento induce più in generale a ripensare a cosa sia la discrezionalità, a quanto delle valutazioni che vi si riconducono siano realmente di opportunità o di merito, e quanto possano essere prevedibili/calcolabili.
Gli ultimi due capitoli affrontano i temi della trasparenza, della motivazione, della partecipazione, e poi quello della responsabilità. Appare evidente come il profilo del controllo sia fondamentale, ma non è ancora chiaro, anche in ordine agli aspetti pratici, come governare questa trasformazione (si pensi a come andranno effettuati i controlli e ai monitoraggi imposti dall’IA Act sul funzionamento degli algoritmi per le attività ad alto rischio).
Quello che non è pensabile è rinunciare a quelle conquiste in tema di diritti e garanzie faticosamente conquistate nel tempo, e contenute ad esempio nella legge 241 del 1990, che vanno ripensate ed eventualmente aggiornate, anche a favore degli istituti classici. Si prenda ad esempio la trasparenza, sinora molto esplorata, anche per ragioni legate alla casistica: così come si evidenzia nel volume, la richiesta di trasparenza si configura come diritto alla piena conoscibilità, il che implica anche l’essere informati a monte e il diritto alla comprensione. La comprensione è richiesta anche per la motivazione, ma si accetta che, anche in assenza di questa, sia il diritto di accesso a software e dati, nella sua versione più ampia possibile, a potere supplire. Da questo punto di vista però è chiaro che questa lettura del diritto di accesso non potrà non influire anche sulla configurabilità dell’istituto in sé, che già grazie alla tutela dell’ambiente e all’introduzione delle ICT ha visto in questi anni una sua espansione (si pensi alla possibilità per chiunque, senza motivazione, anche a fini di controllo generalizzato, di chiedere l’accesso).
La motivazione dei provvedimenti al momento appare un profilo problematico, ma verosimilmente non è difficile immaginare che si possa fornire una soluzione soddisfacente a questo problema anche grazie alla tecnologia stessa (si v. sul punto R. Cavallo Perin, Ragionando come se la digitalizzazione fosse data, Dir amm 2020, 305).
Il tema della responsabilità è sicuramente centrale: è importante sottolineare come l’amministrazione non debba andare esente da responsabilità. Su chi poi debba essere imputato a valle il risarcimento, è una questione tutto sommato secondaria. L’IA Act fa capire che i controlli dovranno in generale seguire tutta la filiera dell’operato dell’intelligenza artificiale: dovranno operare ex ante, ex post, ma soprattutto serviranno vigilanza e controllo. Certo, non su ogni atto, e comunque salva sempre la possibilità di chiedere tutela.
Un punto interrogativo è certamente costituito dalla partecipazione. Il nostro ordinamento sconta l’inesperienza in ordine alla partecipazione nei procedimenti di carattere generale (si v. l’art.13 della l. 241 del 1990). Non si può fare troppo affidamento alla partecipazione del singolo al procedimento, se non nel caso in cui, all’interno di una procedura, si voglia far considerare delle circostanze che a prima vista potrebbero non essere ritenute valutabili (in quanto spesso le istanze vanno formulate rispettando campi ben definiti). Rimane al tempo stesso da verificare quanto potrà essere efficace ed effettivo l’intervento di associazioni, ricercatori, università, sia in funzione di cani da guardia che di miglioramento dell’implementazione informatica dell’azione amministrativa, in quanto può darsi che questo rimanga solo un auspicio, destinato ad essere disatteso (e del resto le esperienze di notice and comment effettuato tramite le ICT non hanno dato grandi risultati, come si è illustrato nella voce Open Government sul Dig. Disc. Pubb., Torino, 2015).
Resta perciò importante continuare a lavorare su temi classici come trasparenza, partecipazione, motivazione, responsabilità non solo per le garanzie e i diritti conquistati ai quali non bisogna rinunciare, ma perché sono temi sui quali la dottrina e la giurisprudenza amministrativistica possono introdurre qualcosa di utile nel dibattito sull’intelligenza artificiale, in una prospettiva di evoluzione di questi istituti.