MISSIONE ASPIDES
CIRCOLO DI STUDI DIPLOMATICI LETTERA DIPLOMATICA
Piazzale della Farnesina, 1 n. 1373 – Anno MMXXIV
00135 Roma Roma, 27 maggio 2024
MISSIONE ASPIDES
Vorrei innanzi tutto evidenziare il quadro di riferimento nel quale ha preso vita e si muove la Missione ASPIDES e i suoi circa mille militari tra ufficiali, sottufficiali e marinai. Il 16 e 17 luglio si terrà a Reggio Calabria la riunione dei Ministri del commercio internazionale del G7, presieduta dal Vice Premier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani e dal Ministro per le Imprese Adolfo Urso, e in previsione di tale evento, i due Ministri hanno convocato nei primi giorni di maggio alla Farnesina la prima delle riunioni periodiche previste con l’istituzione del “Tavolo sulle conseguenze per l’economia italiana della crisi nel Mar Rosso” che serviva a provocare presso le Istituzioni competenti e negli ambienti correlati una specifica attenzione verso gli effetti di tale crisi. Ciò anche con un’azione contemporanea di sensibilizzazione dei Paesi del G7, oltre che dei nostri partner e alleati sullo stesso argomento.
In questo contesto di intensa attività del Governo a partire dai Ministeri degli Esteri e della Difesa in favore della sicurezza marittima, ci è parso opportuno fare un punto sull’operazione navale UE ASPIDES, che costituisce un aspetto importante della predetta strategia, esaminando i suoi obiettivi e i primi risultati dopo circa due mesi e mezzo di attività.
Ma andiamo con ordine: il lunedì 19 febbraio 2024 il Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri dell’UE ha approvato la Missione EUNAVFOR ASPIDES (“Forza Navale dell’Unione Europea SCUDO”). L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’UE, Josep Borrell, l’ha definita come “una rapida risposta alla necessità di ripristinare la sicurezza marittima e la libertà di navigazione in un corridoio marittimo altamente strategico”, aggiungendo che l’operazione svolgerà un ruolo chiave nella salvaguardia degli interessi commerciali e di sicurezza, nell’interesse dell’UE e della comunità internazionale in generale.
L’idea di costituire una tale missione prende vita dai numerosi attacchi che le milizie indipendenti Houthi dello Yemen hanno condotto ai danni di navi civili e militari, a partire dall’ottobre 2023 direttamente da terra tramite missili e droni e via mare con vari mezzi senza equipaggio, violando la libertà di navigazione in alto mare e del diritto di transito negli stretti, sancita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
Il 10 gennaio di quest’anno il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 2722 (2024) con la quale si chiede l’immediata cessazione degli attacchi e si prende atto del diritto degli Stati membri, in conformità al diritto internazionale, di difendere le loro navi.
Da parte sua il Consiglio UE ha approvato il 29 gennaio scorso un concetto di gestione della crisi in Mar Rosso, per la durata iniziale di un anno, dando così il via agli atti formali che hanno poi portato alla definitiva approvazione della missione.
È noto ormai da molto tempo che, a causa delle differenti posizioni assunte dai propri membri, l’Unione Europea non è stata in grado di esercitare una reale leadership nei vari teatri di crisi del cosiddetto “Mediterraneo allargato”.
In anni più recenti, tuttavia, l’UE ha esercitato, in un solo specifico settore, un ruolo di alto profilo. Questo settore è precisamente quello della sicurezza marittima, presentato con uno specifico documento sulla strategia che l’UE avrebbe seguito dall’allora Alto Rappresentante Federica Mogherini, ed approvato dal Consiglio Europeo nel 2014. Da quel momento sono state predisposte ed avviate l’Operazione SOPHIA (contro il traffico di migranti tra il Nord Africa e l’Europa), l’operazione IRINI (contro il contrabbando di armi nell’area costiera libica), l’Operazione ATALANTA (contro la pirateria lungo le coste della Somalia) le tre operazioni FRONTEX (gestione dei flussi di migranti in Mediterraneo). Il Consiglio ha poi anche autorizzato due operazioni di “vigilanza” nel Golfo e nel Golfo di Guinea (anti pirateria).
Si tratta quindi, come tutti possono constatare, di un consistente gruppo di otto operazioni, cui da pochi mesi si è aggiunta la nona, ASPIDES (per garantire la libertà di navigazione in Mar Rosso, nel Golfo di Aden e in Oceano Indiano), che si svolgono in contemporanea su un’area davvero vasta, che va dal Mediterraneo al Mar Rosso, al Golfo Arabo/Persico, al Golfo di Guinea e all’Oceano Indiano. In sostanza il fianco Sud dell’Unione Europea, proprio quello che interessa di più il nostro Paese.
Tutte e otto (l’Operazione Sophia è stata chiusa) rispondono al Consiglio attraverso l’Alto Rappresentante e il Comitato Politico e di Sicurezza (COPS). Sono tutte operazioni di diplomazia navale multilaterale. È da notare che nelle operazioni Frontex, gli operatori dei differenti Paesi “partner” vestono un’unica uniforme.
Tornando ad ASPIDES, il Parlamento italiano, ultimo tra quelli dei Paesi che si erano dichiarati disponibili fin da subito ad assumersi un ruolo operativo nella missione (Germania, Francia, Grecia e Italia) ha approvato la medesima il 5 marzo scorso con 271 voti a favore e solo 6 contrari, quelli del gruppo “verdi e sinistra”.
La missione è dunque pienamente in corso per noi da quella data, mentre due delle sue navi, l’Ammiraglia Caio Duilio e la tedesca Hessen avevano già ricevuto il battesimo del fuoco, abbattendo dei droni Houthi diretti proprio contro di loro rispettivamente il 4 e il 2 marzo, mentre cominciavano a predisporsi nelle vicinanze della futura zona d’operazioni in Mar Rosso.
Dopo l’avvio ufficiale della missione, le sue navi militari sono state nuovamente prese di mira da alcuni droni che sono stati abbattuti. Questo può contribuire a descrivere il clima di tensione esistente nell’area, ove non solo è ancora in corso l’azione di rappresaglia dell’esercito israeliano a Gaza, Cis–Giordania e nei Paesi a nord di Israele in risposta ai gravissimi attacchi di Hamas del 7 ottobre, ma si sono presto aggiunte queste continue offese dalla milizia Houthi alla libertà di navigazione e ai sistemi di comunicazione internazionale, come i cavi subacquei digitali e telefonici. Tra i cavi esistenti in Mar Rosso, nel Golfo Arabo/Persico e nell’Oceano Indiano, sono stati colpiti quelli che passano nello stretto di Bab el Mandeb, che unisce il Mar Rosso e il Golfo di Aden.
È stato deciso a Bruxelles che l’Italia prenda il comando in mare della missione europea, affidato al Contrammiraglio Stefano Costantino, mentre alla Grecia spetta il quartier generale a terra, presso la città di Larissa, a nord di Atene, affidato al Commodoro Vasilios Gryparis, che tiene i contatti con le competenti autorità istituzionali della UE.
Le seguenti navi sono state destinate alla missione in una prima fase: il cacciatorpediniere italiano Caio Duilio, la fregata tedesca Hessen, la fregata FREMM francese Languedoc, la fregata greca Hydra. È stato previsto anche un supporto di ricognizione aerea.
La missione ASPIDES si è aggiunta alle altre due missioni dell’UE già nell’area con altri scopi, l’operazione ATALANTA (Golfo di Aden e Oceano Indiano presso le coste somale) e l’operazione AGENOR (Golfo Arabo/Persico).
È importante segnalare che l’Italia ha preso il Comando in mare di tutte e tre le missioni europee sopra citate ed è importante sottolineare come l’Italia abbia negoziato per ognuna delle precedenti missioni navali dell’UE un differente, specifico ruolo, sempre significativo, che include a seconda dei casi la responsabilità dell’operazione, o il comando della Forza in mare. Le otto operazioni di sicurezza marittima dell’UE potrebbero quindi essere considerate come un caso “di scuola” di quello che il governo italiano può fare, sfruttando positivamente la sua “membership”, in questo caso dell’Unione Europea, che agisce come “moltiplicatore” dello sforzo italiano volto a salvaguardare e rafforzare i propri interessi nazionali.
Se l’Italia avesse dovuto provvedere da sola alle otto predette missioni, tutte importanti per il nostro Paese, i costi sarebbero stati molto più ingenti e il probabile ridimensionamento di ambizioni e obiettivi avrebbe prodotto risultati meno rilevanti. La morale che si può trarre è che l’esempio che abbiamo descritto dimostra, anche per gli altri “partner” quanto sia diventata oggi importante la diplomazia navale multilaterale e quale grande impatto possa avere su differenti situazioni di crisi o anche solo di tensione internazionale.
In una mia Lettera Diplomatica del Novembre del 2021, mentre procedevo ad una analisi sulla sicurezza marittima dell’UE nel Mediterraneo allargato, menzionando le missioni navali europee allora in corso, avevo fatto presente che, nella prospettiva di una futura difesa europea, con lo scopo anche di rinforzare il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica, questi esercizi di diplomazia navale potevano essere considerati un importante tentativo prodromico ad un approccio coordinato dei membri dell’UE in risposta a una sfida esterna di qualsiasi tipo, convenzionale o asimmetrico. Oggi direi che possiamo confermare questa visione di progressiva realizzazione della Difesa Europea in mare, anche se non esiste ancora (ma è in via di prossima istituzione) un quartier generale europeo che prenda direttamente la responsabilità delle missioni e si continua invece a delegare questa responsabilità a uno Stato membro che la esercita in stretto contatto con le autorità europee.
Potremmo inoltre dire che, con la missione in questione, siamo a metà strada tra una missione tradizionale di peace–keeping in tempo di pace e una missione di scorta convogli in tempo di guerra. ASPIDES non si può definire come una missione classica di “peace–keeping” e nemmeno di “peace–making” perché non ci sono due o più contendenti fra i quali l’UE possa esercitare l’azione di pace. Esiste invece da un lato un atteggiamento offensivo degli Houthi che condiziona la nostra libertà di navigazione e dall’altro la nostra decisione di proteggere le navi, a partire da quelle di interesse dell’UE, ma ben disposti verso chiunque chieda la nostra protezione, senza però colpire obiettivi nel territorio yemenita da cui origina la minaccia.
In ogni modo la proliferazione delle predette operazioni navali europee dimostra come il mare sia considerato un elemento centrale dell’interesse nazionale di vari “partner”, soprattutto dei più importanti, come l’Italia, la Germania e la Francia.
Com’è noto, gli USA e la Gran Bretagna assieme ad altri Stati europei, mediorientali e dell’Estremo Oriente sono andati più avanti e hanno lanciato, prima la missione “Prosperity Guardian” e poi anche l’operazione “Poseidon Archer”, più ristretta, che prevede di colpire la minaccia alla fonte, cioè i siti di lancio di droni e missili in territorio yemenita.
Una notevole cautela è stata garantita nelle regole d’ingaggio di ASPIDES ai rapporti con l’Iran. È stato infatti stabilito che nel Golfo, ASPIDES applichi le regole di AGENOR sul traffico marittimo (che stava svolgendo la fregata italiana “Martinengo” e che è stata per il momento sospesa), in cui non era prevista una specifica protezione alle navi di interesse dell’UE, ma solo di vigilanza dell’area (“maritime situational awareness”). Solo in Oceano Indiano, scendendo vero sud, a partire dalla latitudine di Mascat, capitale dell’Oman, l’operazione ASPIDES riprende tutte le sue funzioni, quali quelle previste anche per il Golfo di Aden e nel Mar Rosso.
Il 18 aprile scorso è stato fatto un primo “briefing” ufficiale dall’Alto Rappresentante, davanti al Cops e poi alla stampa, che vale la pena di riportare:
“In meno di due mesi la missione ASPIDES ha respinto 11 attacchi e scortato 68 navi, in linea con il suo mandato difensivo”. Borrell ha anche sottolineato che c’è “un livello di impegno importante, anche dal punto di vista del rischio”. Nessuna nave è stata colpita mentre la scorta militare ha neutralizzato 9 droni, un barchino d’assalto senza pilota e 4 missili balistici. “Questa missione mostra la nostra volontà e capacità di proteggere gli interessi dell’Europa ed è un esempio della capacità dell’Ue di essere un fornitore di sicurezza marittima”.
“Finora tutte le richieste di protezione avanzate dal settore marittimo sono state raccolte, ma se il numero aumenta dovranno crescere anche i nostri asset presenti nell’area”, ha spiegato il contrammiraglio Vasileios Gryparis, Operation Commander di ASPIDES, presente al fianco di Borrell anche per ricordare che sono già state inoltrate ulteriori “richieste di capacità specifiche” agli Stati membri dell’UE, in particolare sul supporto logistico: “È ancora presto per dire se ASPIDES abbia avuto un impatto sulla situazione, ma siamo pazienti e seguiamo il nostro mandato”, ha concluso Griparis.
Gli Houthi hanno destabilizzato la connettività Europa–Asia, sostenendo di attaccare navi israeliane e dei Paesi amici di Israele in rappresaglia per la guerra nella Striscia di Gaza. Gli Houthi sostengono che si fermeranno non solo davanti a un cessate il fuoco a Gaza ma addirittura dopo la realizzazione della soluzione a Due Stati nel contenzioso israelo–palestinese. Si tratta di un orizzonte complicato da raggiungere, e non è detto che gli Houthi rispettino certi propositi.
Tanto più se si considera che gli Houthi non agiscono solo per rappresaglia a supporto dei Palestinesi. I miliziani yemeniti indipendenti infatti pensano di poter usare la dimostrazione di forza in corso come elemento a supporto delle loro rivendicazioni sul futuro dello Yemen, le quali sono in discussione nelle negoziazioni post guerra civile che vanno avanti da due anni. Anche per questo, gli Stati Uniti hanno deciso di avviare un intenso sforzo diplomatico, coinvolgendo l’Arabia Saudita e l’Oman, col fine di sfruttare la relativa stabilità ottenuta dalla Cina nei confronti di Iran e Arabia Saudita, ai fini della pacificazione dello Yemen. La continuità in tale sforzo che dovrebbe essere seguito con decisione anche dagli europei, si rende tanto più necessario oggi dopo la improvvisa scomparsa del Presidente iraniano Raisi per allontanare i pericoli di ulteriore destabilizzazione in un’area così importante per gli interessi dell’UE e dell’Italia in particolare.
Stiamo purtroppo sperimentando quanto la tranquillità del collegamento euroasiatico attraverso Suez sia diventata dipendente da istanze locali e regionali, mosse anche attraverso dinamiche violente. Stando ai numeri forniti da Borrell, da quando sono iniziati gli attacchi degli Houthi il costo della spedizione di un container dalla Cina all’Europa “è raddoppiato”, perché sono aumentati del 60% i costi assicurativi per chi usa la rotta del Mar Rosso e quelli generali di spedizione per chi sceglie di doppiare il Capo di Buona Speranza. Oggi per il Canale di Suez transitano circa 35 navi al giorno, contro le circa 70 del periodo pre–crisi — un problema anche per le casse egiziane, per cui i diritti di passaggio sul canale sono componente importante del sostentamento di un’economia in grave crisi.
La crisi sta aprendo anche un altro problema: le navi che passano per Buona Speranza non rientrano nel Mediterraneo, ma tagliano totalmente fuori i porti del bacino, preferendo allungarsi fino agli scali nord–europei. Questa marginalizzazione è un problema geostrategico anche per un Paese come l’Italia, in buona parte affacciato sul mare e fortemente dipendente da esso per gli approvvigionamenti esterni e per le esportazioni.
Il 19 maggio scorso è stato possibile avere un ulteriore aggiornamento sulla situazione della missione, da media britannici e francesi. Secondo i nuovi dati, ASPIDES ha finora “accompagnato”, soprattutto durante il passaggio di Bab el Mandeb, 120 navi di ogni tipo, tra porta–containers, petroliere e mercantili vari. Vari droni sono stati abbattuti dalle navi militari, a partire dalla nostra Fasan. Solo una nave civile tra quelle accompagnate da ASPIDES, una petroliera greca, sarebbe stata toccata in modo leggero, di striscio, senza danni alle persone. Al di fuori delle navi protette da ASPIDES, soprattutto tra quelle isolate al largo si è verificato qualche danno in più e, in particolare gli Houthi avrebbero affondato a sud est di Aden un cargo battente bandiera del Belize e di proprietà britannica. Il livello di minaccia sembra rimasto lo stesso dei mesi scorsi.
Secondo i medesimi aggiornamenti, la fregata belga Louise Marie ha raggiunto la missione dopo più di due mesi di ritardo, come anche la nave logistica olandese Karel Doorman rispettivamente il 4 e il 6 maggio. I ritardi erano dovuti all’esigenza di addestrare gli equipaggi a contrastare le armi offensive utilizzate dagli Houthi nei loro attacchi.
La missione può dunque contare oggi su cinque navi: la fregata FREMM Fasan (Ammiraglia, che ha sostituito il nostro Cacciatorpediniere Caio Duilio) che ospita il Comandante in mare Ammiraglio Stefano Costantino, la FREMM francese Lorraine, la greca Ydra e le due predette, appena arrivate. La tedesca Hessen è stata invece richiamata in patria e la sostituta, la fregata Hamburg, arriverà solo in agosto. Tale situazione, pur sufficiente per i criteri finora adottati, fa capire come non sia facile reperire unità tra le Marine minori europee e come manchi a queste ultime l’addestramento contro i sistemi d’arma più moderni. Anche per le Marine più attrezzate, come quella italiana e francese, non è sempre facile reperire le unità tenendo conto che un certo numero delle fregate FREMM e dei nuovi pattugliatori d’altura sono impegnate con il resto della Squadra Navale per provvedere alle numerose e articolate esigenze operative istituzionali.
Si deve inoltre considerare, come è ben noto per tutte le Marine europee, che circa un terzo delle navi in servizio di ogni categoria non sono utilizzabili a causa dei lavori di manutenzione annuali per circa due o tre mesi all’anno. Per fare un esempio, se la Marina possiede nove fregate, solo sei sono sempre disponibili complessivamente. Infine, dato il considerevole aumento delle missioni navali in corso dell’Unione Europea e della NATO, si renderebbe necessario completare al più presto il rinnovo della flotta e disporre degli uomini necessari.
Possiamo intanto considerare che il meccanismo di protezione assicurato alle navi civili dalla missione ASPIDES funziona e che grazie a questo i dati relativi al passaggio di Suez non sono peggiorati rispetto a quelli rilevati in occasione dell’avvio della missione. Rimaniamo ad ogni buon fine in attesa di una prossima informativa ufficiale dell’Alto Rappresentante, con la speranza che la diplomazia internazionale che cerca di avere un ruolo in questo delicatissimo periodo, con frequenti visite reciproche a vari livelli e in varie capitali nazionali dell’area e fuori, possa portarci ad un progressivo miglioramento della situazione.
Paolo Casardi
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