Prospettive dello sviluppo delle relazioni tra Cina e Stati Uniti dopo l’incontro Biden – Xi

CIRCOLO DI STUDI DIPLOMATICI                                                                LETTERA DIPLOMATICA

Piazzale della Farnesina, 1                                                                                         n. 1366 – Anno MMXXIV

00135 Roma                                                                                                                Roma, 8 gennaio 2024

 

 

Prospettive dello sviluppo delle relazioni tra Cina e Stati Uniti dopo l’incontro Biden – Xi

 

1. In una situazione di crescente tensione internazionale è legittimo interrogarsi sulle prospettive delle relazioni sino-americane, mai state così cattive da qualche anno a questa parte. Prima la presidenza Trump con il suo duro neo protezionismo, poi quella Biden con la presa di posizione contro Russia ed i suoi alleati e amici, dopo l’aggressione all’Ucraina. Ci si chiede se l’incontro
avvenuto il 15 novembre scorso, nella tenuta di Filoli, a sud di San Francisco, tra il Presidente americano Joe Biden e quello cinese Xi Jinping possa aver aperto nuove prospettive in campo internazionale ed in particolare nelle relazioni tra le due superpotenze. Va ricordato che il colloquio ha avuto luogo a margine del Vertice dell’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), è
durato quattro ore e ha coinvolto nutrite delegazioni da entrambe le parti, a riprova della volontà di fare concreti passi in avanti in tema di rapporti bilaterali. L’ultima volta che i due Presidenti si erano incontrati era stato al G 20 di Bali, il 15 novembre 2022, esattamente un anno prima.
Quello che è successo dopo appare per il momento confermare i giudizi positivi emersi all’epoca dell’incontro. Indicative a tale riguardo le dichiarazioni dell’Ammiraglio John Aquilino, Comandante della flotta americana dell’Indo-Pacifico, secondo il quale dopo il Vertice sarebbero cessate le “manovre pericolose” dell’aeronautica militare cinese. Secondo lo stesso Aquilino, negli ultimi due anni, si sarebbero registrate ben 180 di queste manovre nei confronti degli Stati Uniti. Tutto resta però legato ad un tenue filo, alla luce di una situazione internazionale instabile ed in evoluzione a cominciare dalla guerra tra Hamas ed Israele.
L’intelligenza di Biden è stata quella di incontrare Xi in uno dei momenti più complicati e più densi di pericoli nelle relazioni tra i due Paesi, oltre che alla vigilia di elezioni presidenziali che si  preannunciano combattute. Dopo il viaggio del Presidente Richard Nixon in Cina (1972) e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi (1979), i rapporti sinoamericani si erano progressivamente consolidati. Lo stesso Xi, arrivato al potere nel 2012, aveva inizialmente continuato sulla strada dei suoi predecessori. Le cose sono peggiorate a partire dal secondo decennio di
questo secolo in concomitanza con l’accresciuta potenza militare cinese e con le prime serie tensioni in campo commerciale. Il punto più basso è stato raggiunto con la visita a Taiwan della Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi, nell’agosto 2022. Allora c’è stato persino chi ha temuto che si fosse vicini ad uno scontro aperto tra i due Paesi. Successivamente il clima non è migliorato anche per le posizioni assunte da Pechino sulla guerra in Ucraina.

2. L’incontro tra i due Presidenti è stato inaspettato. Cosa è emerso in concreto dai colloqui? Il comunicato emesso a suo tempo dalla Casa Bianca è piuttosto articolato. Si dirà che non c’è stato un comunicato congiunto, ma questo per certi versi potrebbe essere un vantaggio perché ha permesso un linguaggio più franco e meno paludato.
L’importante è che ci sia stata una riapertura del dialogo tra i due Paesi. In primo luogo, si è deciso di riprendere le consultazioni militari ad alto livello, sospese dopo la citata visita della Pelosi a  Taiwan. Da parte americana il Capo del Pentagono, i Capi di Stato Maggiore ed i Comandanti della flotta del Pacifico parleranno con i loro omologhi cinesi. Lo scopo fin troppo evidente è quello di evitare incidenti, sempre possibili 2 in zone ad alto traffico di navi ed aerei militari, quali il Mar Cinese Meridionale e lo Stretto di Taiwan. Parimenti si è deciso di tenere aperto un canale di dialogo diretto tra i due Presidenti (crisi dei missili di Cuba del 1962 docet).
In secondo luogo, è emerso da parte cinese l’impegno nel controllare la produzione e l’esportazione di una droga sintetica, il fentanyl, e dei suoi elementi base. Ci si è altresì accordati sulla ripresa della collaborazione tra le rispettive polizie nella lotta al narco traffico. I componenti base di questa nuova droga sintetica, oltre ad essere utilizzati per altre droghe come la cocaina, finiscono in America latina da dove vengono esportati negli Stati Uniti una volta ottenuto il prodotto finito. C’è chi ha fatto dell’ironia, considerando questo dossier di poco conto.
Invece si tratta di un problema molto sentito negli Stati Uniti, dove ogni anno muoiono circa 110.000 persone a causa di droghe sintetiche, due terzi delle quali causate dal fentanyl. Nella fascia di età 18-49 anni muoiono più persone per il fentanyl che in incidenti di auto o per cause violente. Questo senza contare l’enorme costo sociale ed economico causato dall’uso di questa droga.
L’accordo è importante per Washington anche per un altro motivo. La cooperazione nel campo della lotta al narco traffico con il Messico va tutt’altro che bene, di qui l’esigenza di arrivare ad una intesa con Pechino. In terzo luogo, si è deciso di tenere colloqui a livello di esperti sull’impiego dell’intelligenza artificiale (IA). Un settore delicato che suscita le gelosie di entrambi i Paesi, ma estremamente importante se si pensa solo all’impiego dell’IA nel settore degli armamenti ed in particolare in quello del comando e controllo per quanto riguarda le armi nucleari. Un settore nel quale servono principii condivisi e dialogo. Tutt’altro che irrilevante poi l’impegno a sviluppare gli scambi nel campo dell’istruzione (sono molto diminuiti negli ultimi anni gli studenti cinesi nelle università americane il che fra l’altro ha sollevato interrogativi sulla competitività di queste ultime rispetto a quelle cinesi), culturale, dello sport e degli affari e quello volto ad incrementare i voli commerciali diretti tra i due Paesi (scesi da 340 prima della pandemia ai settanta attuali). Si tratta di esigenze condivise, molto sentite dal mondo imprenditoriale ed universitario americano. Non a caso ha avuto un grande successo il pranzo degli imprenditori americani per Xi Jingping (si è pagato fino 40.000 dollari a persona), dove il leader cinese è stato a lungo applaudito. In questa occasione il Presidente cinese è stato molto attento a gettare acqua sul fuoco: “La Cina non vuole una guerra né fredda né calda”. Più in generale il comunicato della Casa Bianca, nel ribadire il mutuo impegno al rispetto della Carta delle Nazioni Unite (neanche questo scontato di questi tempi), elenca tutta una serie di campi per quanto riguarda i seguiti dei colloqui, e precisamente in campo commerciale, economicofinanziario, dell’Asia-Pacifico, del controllo degli armamenti e della non proliferazione, marittimo, dell’agricoltura, della disabilità. Una riflessione a parte merita l’ambiente, trattandosi in questo caso dei due maggiori inquinatori a livello mondiale: la Cina emette il 28% del CO2 globale e gli Stati Uniti il 14%. Il comunicato dell’Ambasciata americana a Pechino, nel fare riferimento ai precedenti incontri dei rispettivi inviati speciali sul clima, ha sottolineato l’impegno dei due Paesi a lavorare insieme per il successo della COP 28 di Dubai, che si è tenuta un paio settimane dopo l’incontro tra i due Presidenti. In effetti, John Kerry ed il suo omologo cinese Xie Zhenhua, dopo essersi incontrati a Pechino (16-19 luglio 2023), si sono visti a Sunnylands, in California (4-7 novembre 2023) poco prima dell’incontro tra i rispettivi Presidenti. Il “Sunnylands Statement on Enhancing Cooperation to Address the Climate Crisis”, rilasciato dal Dipartimento di Stato, è molto dettagliato sulle decisioni che i due Stati avrebbero preso. Vale la pena ricordare: l’impegno alla realizzazione di quanto previsto dalla UNFCCC e dal Protocollo di Parigi, tenendo conto delle differenti responsabilità e capacità di ciascuno. E’ stato stabilito di rendere operativo il gruppo di lavoro per la riduzione 3 delle emissioni, incluso lo scambio di tecnologie ed esperienze e la realizzazione di progetti comuni. Si è parlato di triplicare la produzione di energie rinnovabili riducendo l’uso del carbone, del petrolio e del gas. E’ stato fatto riferimento al risparmio energetico, all’economia circolare, alla lotta all’inquinamento da plastica incluso quello marino, persino alla deforestazione. Elemento innovativo è l’accenno alla “cooperazione subnazionale” tra Stati Uniti e Cina attraverso i rispettivi Stati, provincie e città. Avendo a mente le diverse strutture statali ed amministrative dei due Paesi, non è cosa da poco. Comunque sia l’impressione è che anche in campo ambientale i due Paesi abbiano voluto dare seguito agli impegni presi. Lo si è visto alla COP 28 di Dubai. Se per la prima volta i combustibili fossili, dei quali sia Cina che Stati Uniti fanno grande uso, sono entrati nell’accordo finale, è anche merito di questi due Paesi. L’espressione usata “transitioning away” (allontanamento), sia pure meno forte del “phasing out” (eliminazione graduale), è già un passo in avanti. Non è un caso che l’americano John Kerry ed il suo omologo cinese Xie Zhenhua siano apparsi insieme alla conferenza stampa conclusiva e dopo aver ricordato Sunnylands si siano attribuiti il successo della conferenza.

3. Quali le ragioni alla base della svolta nei rapporti bilaterali tra Cina ed USA? Entrambi i Presidenti si trovano alle prese con una difficile congiuntura interna ed internazionale. Riguardo a quella interna, Biden deve affrontare a novembre le elezioni presidenziali che non lo vedono al momento avvantaggiato. Xi Jinping è alle prese con una riduzione del tasso di crescita dell’economia che potrebbe rivelarsi strutturale. Il divario tra le due economie, andato costantemente assottigliandosi da alcuni decenni a questa parte, potrebbe ora invertire la tendenza ed allargarsi, con una economia americana dinamica ed una cinese in fase calante. Preoccupa Pechino la disoccupazione giovanile, in gran parte intellettuale. A questo si aggiunge una eccessiva esposizione di alcune banche nel settore immobiliare. Si tratta di difficoltà economiche che rischiano di aggravarsi a causa dell’aumento della tensione internazionale e del processo di deglobalizzazione e frammentazione dei mercati in atto. Sintomo di questa situazione è il calo degli investimenti americani (ma anche europei), che tendono a privilegiare Paesi meno problematici politicamente e dove il costo del lavoro è più competitivo che in Cina, come il Messico ed il Vietnam. Basta un dato: nel 2000 nessun Paese del bacino del Mediterraneo aveva salari più bassi della Cina. Oggi la situazione, per quanto riguarda il Mediterraneo meridionale, si è rovesciata ed un Paese come l’Egitto ha salari pari al 50% di quelli cinesi. A complicare le cose c’è la politica internazionale. Da un lato, gli Stati Uniti si sono resi conto che non possono fare la guerra su più fronti (Ucraina, Indo-Pacifico, Palestina), dall’altro hanno bisogno della Cina, sia per contenere la Russia, sia per evitare una escalation regionale e per non trovarsi Pechino di traverso quando si tratterà di ricercare una soluzione al problema palestinese. In Medio Oriente contano gli ottimi rapporti di Pechino con Teheran, come pure l’efficace azione diplomatica di Pechino che ha portato alla normalizzazione delle relazioni tra Teheran e Riad, processo che a Washington non è dispiaciuto, almeno per quanto riguarda il risultato finale. Certamente gli Stati Uniti restano un rivale della Cina anche in Medio Oriente, ma sono state poste le premesse per disinnescare un clima di tensione permanente (che permane invece con la Russia). La Cina da parte sua è interessata alla stabilità economica mondiale e vuole accreditarsi come potenza moderata. Secondo una linea seguita da alcuni decenni, non ha interesse ad appiattirsi sulle posizioni della Russia, per non parlare della Corea del Nord (altro tema sollevato da Biden nei colloqui). La Cina di oggi, a differenza dell’URSS, non vuole esportare il comunismo né vuole cavalcare movimenti di riscossa, come è stato il caso della “primavera araba” (diverso invece il discorso della Cina di Mao, che però era povera e quindi ininfluente). URSS e USA vivevano in due mondi separati: il commercio 4 tra i due Paesi era solo l’1% del loro commercio globale (oggi il 10% del commercio estero americano è con la Cina), né c’era il livello di scambi di studenti che c’è ora (90.000 cinesi hanno conseguito il dottorato negli Stati Unti tra il 2001 ed il 2020). Infine, la Cina è pienamente integrata nell’economia mondiale, da temere il processo di deglobalizzazione in corso. C’è un’ultima considerazione da fare. In un mondo multipolare o se vogliamo “apolare” come lo ha definito Marco Minniti, dove appare arduo vedere le sembianze di un nuovo ordine internazionale, Biden e Xi hanno capito che esiste un reciproco interesse a cooperare o comunque a non vivere in uno stato di tensione permanente, e questo, pur restando “in competizione”, come ha ammesso il Presidente americano. Vedremo cosa ci riserverà il futuro. Per il momento l’impressione è che Biden e Xi siano apparsi consapevoli che sfide globali come quella passata della pandemia e l’ambiente vadano affrontate insieme (sembrano lontanissimi i tempi quando la Cina veniva accusata di non aver contenuto il covid o addirittura di averlo sviluppato).

4. Tirando le somme, aver riaperto il dialogo dopo anni di incomunicabilità è sicuramente un fatto positivo. Lo è ancor più se si è riusciti a fermare una spirale di tensione crescente: “Il pianeta terra è grande abbastanza per due Paesi” ha detto enfaticamente Xi. Certo, tra le due superpotenze rimangono divisioni, a cominciare da Taiwan. Biden ha ribadito la linea della “One China policy”, mentre Xi ha dichiarato di essere impegnato nella riunificazione pacifica della Cina (anche se ha mantenuto la spada di Damocle della non esclusione a priori nell’uso della forza). E nel discorso di fine anno Xi ha ribadito di ritenere “inevitabile” la riunificazione. Per quanto riguarda l’Ucraina, la grande scommessa è se Washington riuscirà nell’intento di frenare la tendenza al riavvicinamento Cina-Russia. Neanche a farlo apposta, pochi giorni prima della scomparsa di Henry Kissinger sembra essere tornati alla politica di apertura di Nixon verso Pechino. C’è l’incognita Russia. Mosca è isolata ed anche in Medio Oriente sembra assente. Il fatto che la Russia sia isolata potrebbe essere un fatto positivo, ma non ne sarei così sicuro: spesso quando si è messi nell’angolo – non importa se per colpa nostra od altrui – si è portati a prendere le decisioni peggiori o quantomeno affrettate. Mi chiedo se non si possa ipotizzare, fermo restando il sostegno occidentale all’Ucraina aggredita, una riapertura del dialogo con la Russia fuori dall’Europa, dove potrebbero esservi convergenze reciprocamente vantaggiose (il Medio Oriente e la lotta al terrorismo islamico potrebbe essere una di queste). Cina e Russia appaiono divise per quanto riguarda le prossime elezioni presidenziali americane con Mosca che ha sempre guardato a Trump e Pechino che si fida di più di un Presidente, se non altro maggiormente prevedibile e più pragmatico come Biden. Forse anche questo spiega il desiderio cinese di riavviare il dialogo con Washington prima della scadenza del mandato di Biden. Si tratterà di vedere come evolveranno i rapporti tra le due superpotenze. Un banco di prova sarà il Medio Oriente. Questo è ancora più vero se Biden, una volta terminate le operazioni militari a Gaza, insisterà come sembra sulla “soluzione dei due Stati”. Qui la Cina potrebbe venire in aiuto con il suo peso politico, la sua potenza economica e finanziaria (si pensi solo alla ricostruzione), la credibilità conquistata nel mondo arabo (mentre gli americani l’hanno persa dopo la seconda invasione dell’Iraq). Certamente la Cina cercherà di essere, in competizione con l’India, capofila dei BRICS – dei quali fanno ora parte anche l’Arabia Saudita e l’Iran – e soprattutto del cosiddetto “Global South”. L’importante è che Pechino abbia capito che non può fare a meno di Washington. In questo il Presidente Biden si è rivelato un’ottima sponda.

Giuseppe Morabito

 

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