Antonella Rampino. Ricordo di Giorgio Ruffolo.

Il male sopravvive, il bene viene seppellito con le ossa degli uomini. Era il modo con cui Shakespeare traduceva la saggezza popolare: sono sempre i migliori che se vanno. E mai distico è stato forse più calzante nel caso di Giorgio Ruffolo, morto ieri dopo anni di assenza dalla scena non solo pubblica, a 96 anni, nella sua casa di Roma. Giorgio Ruffolo è stato un grande economista, di scuola keynesiana, fondatore del Cer, quel Centro Europeo Ricerche ancora oggi affollato di brillanti analisti. È stato un uomo politico, socialista lombardiano e tutt’altro che sodale di Bettino Craxi, mantenendo in fondo al cuore il mito di Rosa Luxemburg che aveva scoperto negli anni della sua adolescenza trozkista. Primo ministro per l’Ambiente della Repubblica italiana, nel governo guidato da Giovanni Goria,  a lui si deve la prima idea di dotare, sul modello del secolare Magistrato delle Acque veneziano, di un’Autorità competente il Po e tutto il bacino padano, e anche la prima legge per la protezione degli animali. Motivi per i quali sono a lui intitolate alcune borse di studio per la sostenibilità ambientale dell’università di Harvard (altro bon mot popolare: nemo propheta in patria…). In politica, dal Bilancio guidato da Antonio Giolitti, insieme a Pasquale Saraceno e Paolo Sylos Labini, e con l’appoggio di Ugo La Malfa, nei primi anni ‘60 aveva lavorato alla Programmazione, un tentativo organico di politica economica che riducesse le diseguaglianze, abortito per l’ostilità della Dc e del Pci.

Racchiudere in poche o molte righe una personalità del calibro di Giorgio Ruffolo non è possibile. Mente brillantissima, afferrava la melanconia che sempre faceva capolino dal suo sguardo di laguna, scacciandola a colpi di sense of humour. Intellettuale raffinatissimo, e capace con la sua scrittura di rendere avvincente la scienza triste, l’economia. Delle decine e decine di saggi, tutti fulminanti perché amava lo scriver breve, e sapeva che l’inflazione dei messaggi annulla il messaggio, basti ricordare “Lo specchio del diavolo”, una storia dell’economia “Dal paradiso terrestre all’inferno della finanza”, ma portatile, si potrebbe dire, rilanciata dalla straordinaria versione che per il teatro ne fece Luca Ronconi. Capace di polemizzare in punta di fioretto, rispondendo a un De Michelis che lo bollava come “volterriano” dandogli del Leibniz, il filosofo del “migliore dei mondi possibili” che proprio Voltaire mette alla berlina nella figura del “Candido”. Lettore vorace -a un certo punto scoprì la lettura interlineare- e musicologo finissimo. Sapeva a memoria “Le nozze di Figaro”, il mio amico Giorgio, e ogni volta che mi onorava venendo a cena con Maria Stella Sernas, che aveva sposato dopo la morte della prima moglie Edda Bonfiglio, mettevo un disco di Mozart. Lui puntualmente esclamava “hai aperto una finestra, sta entrando aria fresca”. Sono sicura che Voltaire e Mozart chiacchiereranno lietamente con lui, lassù. Mentre nella panchina accanto il suo grande amico Eugenio Scalfari conversa con Diderot.

Dal quotidiano Il Dubbio