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Il nuovo codice dei contratti pubblici: dibattito pubblico indietro tutta

di - 31 Gennaio 2023
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  1. Dibattito pubblico: le indicazioni della legge delega e le scelte del legislatore delegato.

La legge delega 21 giugno 2022, n. 78, nel dettare i principi e i criteri direttivi cui si sarebbe dovuto attenere il legislatore chiamato nuovamente a disciplinare la materia dei contratti pubblici, reca la seguente indicazione: “revisione e  semplificazione  della  normativa  primaria  in materia di programmazione, localizzazione  delle  opere  pubbliche  e dibattito  pubblico,  al  fine  di   rendere   le   relative   scelte maggiormente rispondenti ai fabbisogni della  comunità,  nonché  di rendere più celeri e meno conflittuali le procedure  finalizzate  al raggiungimento  dell’intesa  fra  i  diversi   livelli   territoriali coinvolti nelle scelte stesse” (art. 1, comma 2, lett. o, l. 21 giugno 2022, n.78).

In buona sostanza, la delega chiedeva che la revisione del dibattito pubblico andasse nel senso di un affinamento e di una semplificazione della disciplina vigente. Un affinamento ed una semplificazione che – sempre secondo le indicazioni della delega – non già rinnegassero l’istituto, ma andassero invece nel senso di un suo rafforzamento in modo da assicurare il pieno perseguimento di quella che è la sua finalità propria ovvero il coinvolgimento delle comunità locali di modo da assicurare la maggiore rispondenza delle scelte progettuali ai bisogni delle collettività insediate sul territorio, la soluzione ex ante di situazioni di conflittualità e, in definitiva, l’accelerazione delle procedure di approvazione delle opere pubbliche.

La scelta del legislatore delegato va in un senso diverso. L’istituto, per come ora è disciplinato, è ridotto a davvero poca cosa, se non sostanzialmente abrogato.

Si tratta di un esito forse in linea con alcune resistenze rispetto a quella che era stata salutata, con enfasi che oggi appare ancor più eccessiva, come una delle più significative novità del codice del 2016. Resistenze, che erano state rese palesi dal ritardo nella promulgazione della disciplina attuativa dell’art. 22 del d.lgs. 50 del 2016 – intervenuta solo nel 2018 con il d.p.c.m. 10 maggio 2018, n. 76, dal ritardo nella nomina dei componenti della Commissione nazionale del dibattito pubblico – solo a dicembre 2020, dalla sterilizzazione dell’istituto con l’art 8 comma 6 bis del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 conv. in l. 11 settembre 2020, n. 120 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale) il quale aveva ammesso la possibilità di derogarvi su autorizzazione della regione. Al fondo di tali resistenze, probabilmente la convinzione che il d.p. costituisca un inutile appesantimento, fonte di ritardo e non di accelerazione nelle procedure di programmazione e di approvazione delle grandi opere.

Tuttavia rispetto alla rivitalizzazione impressa al dibattito pubblico in occasione delle opere finanziate con il PNRR, obbligatoriamente assoggettate a d.p., alla luce di alcuni interventi normativi che lo hanno riguardato nell’ultimo biennio[1] e dei risultati positivi raggiunti nonché considerate le indicazioni della delega, l’opzione drasticamente riduttiva, se non espressamente abrogativa operata ora del legislatore delegato, suscita uno stupore che non è sopito o sodisfatto dalla giustificazione che sembra voler dare, tra le righe, la Relazione al nuovo codice dei contratti.

Si legge nella Relazione: “L’istituto non trova una diretta previsione nelle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE” salvo un pallido riferimento nel 122° considerando della direttiva 2014/24/Ue laddove questo che riconosce che “i cittadini, i soggetti interessati organizzati o meno, e altre persone o organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto”.

Invero è evidente che la mancata previsione del dibattito pubblico nelle Direttive appalti non esprime il disinteresse o addirittura la contrarietà dell’ordinamento europeo rispetto alle forme di partecipazione attiva del pubblico e di coinvolgimento delle collettività interessate alle scelte che riguardano il loro territorio. Le Direttive appalti tacciono sul d.p. poiché l’ambito giuridico e settoriale nel quale l’ordinamento europeo colloca la disciplina della materia è quello del governo del territorio e, ancor prima, dell’ambiente. E’ dunque nella disciplina ambientale, nelle direttive in materia di ambiente, che va ricercato e si rinviene il chiaro riconoscimento del diritto delle collettività locali e dei singoli membri di queste alla informazione e alla partecipazione.

Aver collocato la disciplina del dibattito pubblico nel codice dei contratti pubblici è stata del resto fin dall’inizio una stortura tutta italiana, una scelta errata del legislatore del 2016 che non è stata priva di conseguenza gravi come la sottrazione a dibattito pubblico di opere, anche di rilevantissimo impatto, che non sono però soggette al codice dei contratti pubblici.

Ma, tornando alla Relazione, è pure del tutto fuori di luogo l’ammissione per la quale una forma di dibattito pubblico potrebbe semmai risultare giustificata alla luce del riferimento contenuto nella Direttiva 2014/24/UE all’interesse legittimo dei cittadini-contribuenti alla legittimità delle procedure di appalto. Il dibattito pubblico serve ad altro, non alla legittimità della procedura di gara, ma alla corretta ed accettabile collocazione di un opera nel territorio. E difatti la sua disciplina trova la sua sede naturale nella fase della programmazione o al più della progettazione di un’opera – come è del resto reso palese dalla collocazione del modesto art. 40 nel Titolo III “della programmazione” – e dunque in un momento ben antecedente rispetto a quello della gara di appalto.

 

  1. Caratteri e principi del “dibattito pubblico”.

Per riprendere la definizione fornita dalla Corte Costituzionale nella sentenza 14 dicembre 2018 n. 235,  il dibattito pubblico rappresenta quel modello di procedimento amministrativo che realizza un confronto tra il proponente l’opera ed i soggetti pubblici e privati ad essa interessati e coinvolti dai suoi effetti e che è finalizzato a far emergere eventuali più soddisfacenti soluzioni progettuali ed a disinnescare il conflitto potenzialmente implicito in qualsiasi intervento che abbia un impatto significativo sul territorio.

Come è emerso dall’esperienza e come è confermato dalle più mature legislazioni d’oltralpe, per poter funzionare e dunque assolvere efficacemente le sue finalità proprie il dibattito pubblico deve conformarsi necessariamente ad una serie di principi: di indipendenza e neutralità, di trasparenza, completezza e comprensibilità delle informazioni, di piena partecipazione e di argomentazione.

Per i principi di indipendenza e di neutralità il dibattito deve essere indetto, presieduto ed organizzato da un soggetto che si trovi in posizione di piena indipendenza rispetto al governo e rispetto al proponente e che ne assicuri il corretto svolgimento astenendosi dal prendere posizione sulle alternative progettuali e sulle opinioni espresse. Indipendenza e neutralità nella direzione del dibattito rappresentano le condizioni imprescindibili perché il “pubblico” abbia la percezione di una effettiva utilità della sua partecipazione.

Per il principio di trasparenza le informazioni relative all’opera devono avere la massima diffusione e devono essere espresse in un linguaggio chiaro e comprensibile (principio di trasparenza).

Per il principio di partecipazione, a  tutti i soggetti interessati deve essere riconosciuto il diritto di intervenire e di esprimere la propria opinione (principio di partecipazione), argomentando le opinioni espresse ed esplicitando i bisogni e gli interessi che sono dietro le proprie posizioni (principio di argomentazione).

  1. Il dibattito pubblico nell’art. 40 e nell’Allegato 1.6 del nuovo codice dei contratti.

L’art. 40 del nuovo codice appalti ed il suo Allegato 1.6, dal punto di vista della organizzazione del dibattito, assegnano un ruolo centrale al Ministero competente, alla stazione appaltante e al responsabile del dibattito. Quest’ultimo soggetto è espressione dei primi due. Il responsabile può essere infatti un dipendente del Ministero competente per materia o della stazione appaltante ovvero un professionista privato individuato dalla stazione appaltante tramite appalto di servizi.

La Commissione nazionale del dibattito pubblico, cui nel precedente sistema era assegnata – pur non senza incertezze – una funzione di garanzia del rispetto dei principi di informazione e di partecipazione, è ora espressamente abrogata dall’art. 40 ( e la scelta è confermata dall’Allegato 1.6).

Nella nuova disciplina la decisione se indire o meno il dibattito pubblico è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante (art. 40, comma 1). All’iniziativa della stazione appaltante è rimessa anche la pubblicità della relazione contenente il progetto dell’opera e dell’analisi di fattibilità che devono essere pubblicati sul sito internet della stazione appaltante (art. 40, comma 3) ed eventualmente sui siti istituzionali delle amministrazioni locali interessate – ove la stazione appaltante ne faccia richiesta (art. 5 Allegato 1.6).

Alla pubblicazione segue lo svolgimento del dibattito pubblico che è caratterizzato da una legittimazione limitata, ristretta alle amministrazioni pubbliche, agli enti territoriali, ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati ove questi, in ragione degli scopi statutari, risultino interessati all’intervento (art. 40, comma 3) con esclusione dei singoli, e pure – probabilmente – delle associazioni e dei comitati occasionali.

La partecipazione consiste nella possibilità di presentare osservazioni e proposte scritte entro sessanta giorni dalla pubblicazione del progetto dell’opera (art. 40, comma 4). Al più possono essere previsti incontri da tenersi con l’utilizzo di strumenti informatici o telematici. Solo in via eccezionalmente e per esigenze da motivare in modo esplicito il responsabile può organizzare incontri in modalità non telematica (art. 4, lett. a) All. 1.6).

Le osservazioni scritte sono raccolte e sintetizzate dal responsabile del dibattito nel documento finale ed il responsabile può pure selezionare le osservazioni “meritevoli di considerazione”.

La valutazione degli esiti del dibattito è rimessa alla stazione appaltante che può tenerne conto ai fini della redazione dei successivi livelli di progettazione (art. 40, comma  6).

In buona sostanza, nell’assetto configurato dalla disciplina che a breve entrerà in vigore la gestione del dibattito pubblico spetta alla stazione appaltante che assume l’iniziativa, cura l’informazione, valuta gli esiti.

Manca dunque una qualsiasi figura indipendente e neutrale a garanzia del rispetto dei principi che presiedono al dibattito e la cui osservanza è però essenziale perché questo possa effettivamente coinvolgere le collettività locali e conseguire i suoi obiettivi.

 

  1. Una conclusione – si spera – provvisoria.

Il dibattito pubblico ex art. 22 del codice del 2016 (o meglio il modello risultante dalle numerose e a volte contraddittorie disposizioni di rango primario e secondario che lo hanno via via modellato dal 2016 al 2022) è, o era, sicuramente perfettibile. Alcuni limiti della disciplina e alcune proposte migliorative erano state sottoposte alla attenzione della Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato da membri della Commissione per il dibattito pubblico, profittando dell’invito a formulare suggerimenti pubblicato il 26 luglio 2022 sul sito del Consiglio di Stato[2]. Il documento sottolineava gli aspetti positivi della breve esperienza maturata e come i dibattiti pubblici fino ad ora svolti abbiano nella assoluta maggioranza dei casi consentito di far emergere dal territorio proposte migliorative e più aderenti alle aspettative e ai bisogni delle collettività coinvolte, così stemperando le possibili conflittualità. Al tempo stesso evidenziava i punti dolenti della disciplina con alcune proposte di revisione del ruolo e dei compiti della CNDP e del coordinatore del dibattito pubblico.

Per quanto riguarda la CNDP, si rappresentava l’esigenza di: i) rinforzare i presidi, anche formali, di neutralità ed indipendenza, i quali sarebbero meglio garantiti da un incardinamento formale della Commissione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri piuttosto che presso il Ministero delle infrastrutture; ii) di munire la Commissione di risorse strumentali ed umane proprie; iii) di ridefinirne le competenze attribuendo alla Commissione il potere di individuare le opere pubbliche e private da sottoporre a dibattito pubblico, in ragione del loro impatto ambientale o sociale, e un ruolo attivo, e non già di mero monitoraggio, nella conduzione del singolo dibattito.

A proposito poi delle modalità di svolgimento dei dibattiti, il documento evidenziava come la scelta operata dal d.p.c.m. del 2018 che è stata quella di affidarne la conduzione del dibattito ad  un singolo, il “coordinatore”, si sia rivelata poco opportuna. L’esperienza fino ad oggi maturata ha dimostrato che la funzione di organizzazione e di gestione del dibattito richiede necessariamente l’apporto di una pluralità di competenze. È questa probabilmente la ragione per la quale, in tutti i dibattiti pubblici realizzati fino ad oggi, il ruolo del coordinatore è stato assolto non già da un dirigente pubblico (era questa la preferenza espressa dl d.p.c.m. del 2018 anche sulla base dei rilievi del Consiglio di Stato nel parere  del 2018 reso sul d.p.c.m. stesso) bensì da soggetti provenienti dal settore privato. Il professionista individuato in base ad una sorta di selezione comparativa, ha la possibilità di nominare, in base a una sua scelta assolutamente discrezionale, un gruppo di collaboratori cosa che non sarebbe consentita al dipendente pubblico. La soluzione suggerita era quella di investire la Commissione del compito di gestire il dibattito tramite un ufficio collegiale costituito in buona misura da proprio personale, integrato – aggiungo – da due membri esterni: il primo espressione della comunità interessata o di una associazione ambientale, l’altro della stazione appaltante.

Lo schema di codice prende decisamente un’altra strada. La Commissione è soppressa. La gestione del dibattito resta affidata ad un singolo i cui legami con la stazione appaltante sono ancora rafforzati.

In definitiva, l’istituto che esce dalla novella disattende così tanto i suoi principi conformativi – indipendenza, neutralità, informazione, partecipazione – e talmente radicale è l’assenza di ogni forma di garanzia del rispetto di quei principi da legittimare il dubbio che del dibattito pubblico resti solo il nome, decisamente altisonante rispetto a quella che è, in realtà, una modesta forma di contradittorio procedimentale.

Resta il rimpianto per un’occasione persa poiché nel breve periodo in cui ha funzionato, pur tra mille incertezze ed alcuni passi falsi, il dibattito pubblico ha dato risultati estremamente positivi in termini di miglioramento dei progetti e di composizione di situazioni potenzialmente conflittuali.

 

 

[1] L’art. 46 del d.l. 31 maggio 2021, n. 77,“Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, conv. in l. 29 luglio 2021, n. 108 ha attribuito alla CNDP: i) il compito di proporre alla approvazione del Ministro delle infrastrutture soglie dimensionali delle opere finanziate dal PNRR da sottoporre obbligatoriamente a dibattito pubblico inferiori rispetto a quelle individuate dal d.p.c.m. 76 del 2018; ii) il compito di istituire un elenco di soggetti in possesso di comprovata esperienza nella gestione di processi partecipativi ovvero nella gestione ed esecuzione di attività di programmazione ed esecuzione di opere pubbliche cui conferire l’incarico di coordinatore del dibattito pubblico; iii) poteri sostitutivi in caso di inerzia della stazione appaltante. Lo stesso aspetto della assoluta gratuità dell’incarico dei componenti la Commissione, istituita senza oneri per la finanza pubblica, è stato rivisto – invero solo sulla carta – dall’art. 5 del d.l. 10 settembre 2021, n. 121, conv. in l. 9 novembre 2021 n. 15, che aveva stanziato una spesa annua complessiva di 20.000 euro per rimborsi spese e dall’art. 10 comma 4 del  d.l. 16 giugno 2022, n. 68 conv. il l. 5 agosto 2022, n. 108 che aveva autorizzato la spesa di € 150.000 per l’anno 2022 e di € 300.000 per l’anno 2023 per il funzionamento della CNPD con disposizione mai attuata.

 

[2] Nel sintetico documento, a firma del prof. Massimo Morisi e di chi scrive, erano evidenziati, assieme ai risultati positivi, le criticità emerse nel breve periodo di funzionamento. o meglio di rodaggio, del dibattito pubblico.


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