Il rapporto franco-tedesco nella costruzione europea e il ruolo dell’Italia
Le due più significative organizzazioni internazionali nate dalla solidarietà tra i Paesi occidentali dopo la seconda guerra mondiale – la NATO e le Comunità Europee – furono concepite con obiettivi specifici diversi: di cooperazione militare, per far fronte alla minaccia sovietica, la NATO; di cooperazione economica, per ricomporre definitivamente le rivalità intraeuropee e promuovere uno sviluppo economico condiviso, le Comunità Europee. Le due Organizzazioni hanno avuto tuttavia sin dall’inizio anche un obiettivo comune, non dichiarato ma di rilevanza primaria almeno per l’Europa: contenere la Germania coinvolgendola nella stessa iniziativa collettiva.
Avendo in mente questo obiettivo, la Francia si è fatta promotrice nel 1950 del primo progetto di integrazione europea – la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio – associandovi immediatamente la Germania e poi Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Il piano proposto nel 1955 dal Ministro degli Esteri olandese Beyen, presidente di turno del Benelux, per la creazione della Comunità Economica Europea, trae origine dalle idee di Jean Monnet che avevano ispirato la dichiarazione Schuman del 1950 (nel 1955 Jean Monnet era Presidente dell’Alta Autorità della CECA). Francia e Germania hanno svolto di comune accordo un ruolo determinante per il progresso del processo di integrazione, con il costante e talvolta determinante contributo dell’Italia. Negli anni ‘70 Giscard e Schmidt sono stati tra i più convinti sostenitori dei vari progetti miranti alla stabilizzazione delle monete europee: progetti che si sono tradotti prima nel Serpente Monetario Europeo, poi nel Sistema Monetario Europeo e infine nella Moneta Unica nel 1992, passando per il Mercato Unico nel 1987. L’unione monetaria fu proposta dalla Germania ad Hannover nel giugno 1988: fu approvata a Madrid nel giugno 1989 (prima della riunificazione tedesca) – con ottimi risultati – ed estesa su iniziativa francese all’unione politica – con risultati insoddisfacenti – in occasione del Consiglio Europeo di Strasburgo del dicembre dello stesso anno (dopo l’unificazione tedesca).
Il contributo dell’Italia è stato costantemente ricercato dalla Francia – quando da parte italiana si manifestavano la disponibilità e la capacità a rispondere positivamente – anche ma non solo per riequilibrare il rapporto con Berlino: rapporto che diventava sempre più squilibrato man mano che la posizione della Germania si rafforzava. Ricordo alcuni passaggi fondamentali del contributo dell’Italia alla costruzione europea: Conferenza di Messina nel 1955 sotto presidenza italiana del Consiglio dei Ministri della CECA, che ha dato vita alla Comunità Economica Europea e all’Euratom; Consiglio Europeo di Milano del giugno 1985, che portò al Mercato Unico; Consigli Europei di Roma dell’ottobre e dicembre 1990, che lanciarono le due conferenze intergovernative su, rispettivamente, unione monetaria e unione politica (poi confluite nel Trattato di Maastricht del 1992); Consiglio Europeo di Maastricht del dicembre 1991, quando Andreotti e Mitterrand convinsero Kohl ad accettare una data finale e non procrastinabile – il 1998 – per la decisione definitiva sull’entrata in vigore dell’EURO (soluzione che metteva fine ai tentennamenti sulla moneta unica esistenti in alcuni ambienti tedeschi).
Il rapporto franco-tedesco è stato da sempre complicato: “Difficile vicinanza sul Reno” è il titolo eloquente di un interessante libro tedesco degli anni ‘80 sulle relazioni con la Francia. E’ entrato in crisi a partire dai primi anni 2000 per il verificarsi di alcuni eventi di grande portata: innanzitutto e soprattutto la riunificazione della Germania e il senso di superiorità che ha dato ai tedeschi, riaccendendone le pulsioni egemoniche; l’ampliamento dell’Unione ad EST che ha ingrandito il “giardino di casa” della Germania e ulteriormente rafforzato la sua posizione; infine l’indebolimento del ruolo dell’Italia sulla scena europea negli ultimi venti anni, a seguito della perdita di credibilità del nostro Paese per l’incapacità di riformarsi (perdita di credibilità rispecchiata dalla qualità di alcuni dei nostri leader).
La Francia si sta sforzando di riportare il rapporto con la Germania a livelli di cooperazione soddisfacenti. A tal fine si propone di riuscire finalmente a riunire, dopo una lunga interruzione, il Consiglio dei Ministri congiunto franco-tedesco. Gli elementi di frizione si sono infatti moltiplicati negli ultimi anni in vari settori: energia, politica di bilancio, riforma del patto di stabilità, politica industriale, aiuti di stato, trasporti, relazioni con la Cina, solo per citarne alcuni. E anche in materia di difesa, dove la Francia pensava di avere un rilevante punto di superiorità rispetto alla Germania: ricordo in particolare la decisione della Germania di aumentare la spesa militare da 56 a 80 miliardi l’anno (in pratica il doppio della Francia) e di costruire un sistema anti-missile con altri 13 Paesi europei, inclusa la Gran Bretagna, ma senza la Francia, l’Italia e la Spagna. In queste decisioni di Berlino è stato assente qualsiasi riferimento a una capacità di difesa dell’insieme dei Paesi dell’Unione Europea: assenza rimarcata nelle reazioni francesi.
Dopo il Trattato di Lisbona del 2007 la Germania – non più “contenuta” da una coalizione di Paesi a vocazione europeista e anti-egemonica facente capo alla Francia ma anche all’Italia – ha frenato ogni tentativo di approfondire il processo di integrazione: per decidere a nome di tutti. Ha frenato in particolare il completamento dell’unione monetaria mediante una vera unione economica, nonostante i tentativi fatti da Francia e Italia. E ha obbligato tutti gli altri Paesi fino al 2020 a politiche recessive.
E’ urgente una chiarificazione sulle regole di funzionamento dell’Unione Europea. Il processo decisionale è diventato ancora più tortuoso dopo l’ampliamento del 2004. Le decisioni nelle politiche più sensibili sul piano della sovranità (politica estera, sicurezza, difesa, fiscalità) sono bloccate dalla regola dell’unanimità. Ma anche in altre politiche, come immigrazione ed energia, posizioni comuni sono ostacolate dai contrasti di interessi tra gli Stati Membri, dato il loro numero non più governabile con le regole attuali. Se ne potrebbe uscire, come sostenuto da alcuni illuminati europeisti, costituendo un nucleo duro di Paesi disposti a rinunciare alla regola dell’unanimità, nella speranza che gli altri Paesi si convincano a seguire. Ma anche per muoversi in questa direzione è necessario il concorso della Germania, che continua a mantenere un atteggiamento ambiguo su tutti i temi europei. E’ essenziale che i Paesi interessati a evitare egemonie in Europa (Italia, Francia, Spagna, Belgio, Portogallo e persino i Paesi Bassi, in passato molto attenti agli equilibri europei) superino i pregiudizi reciproci e i contrasti di interessi e costituiscano quella massa critica dotata di volontà comune che possa indurre la Germania a una maggiore cooperazione con gli altri Paesi Membri. In questa prospettiva l’apporto dell’Italia potrebbe essere cruciale, come lo è stato nelle storiche occasioni che ho ricordato.
L’attuale costruzione europea è l’unica della quale disponiamo: dopo settanta anni di pazienti tentativi e incessanti lavori, altre non se ne vedono, nonostante le invocazioni – che vengono da destra e da sinistra – di costruire “un’altra Europa”, non meglio identificata peraltro in termini concreti negli obiettivi e nei contenuti. La costruzione europea va certamente completata e migliorata. In alternativa la si può distruggere: distruggere è certamente più facile che costruire. E accettare che la Germania determini le scelte di tutti gli altri. Come avveniva prima della creazione della Banca Centrale Europea, quando le banche centrali dei Paesi europei attendevano le decisioni della Bundesbank in 3 materia di tassi di interesse, per adeguarsi. Tanto da indurre il Financial Times a suggerire, in uno straordinario editoriale scritto nella prospettiva del Consiglio Europeo di Roma del 27 e 28 ottobre 1990 dedicato alla moneta unica, che fosse preferibile “avere un seggio nella futura Banca Centrale Europea che nessuno nella Bundesbank”.
Roberto Nigido
Si ricorda che il Circolo di Studi Diplomatici è nell’elenco degli Enti di ricerca che possono essere destinatari del cinque per mille. Il beneficio può esserci attribuito indicando il codice fiscale del Circolo (80055250585) nel relativo riquadro del modello per l’attribuzione del cinque per mille per la ricerca.
L’Archivio del Circolo di Studi Diplomatici è consultabile al link https://circolostudidiplomatici.unilink.it
CIRCOLO DI STUDI DIPLOMATICI «Lettera Diplomatica»
Direttore Resp.: Paolo Casardi
Autorizzazione Trib. Roma N. 249/82 del 30-6-82
La riproduzione, totale o parziale, di questa pubblicazione è autorizzata a condizione di citare la fonte.
Direzione, Redazione: Piazzale della Farnesina, 1 – 00135 Roma
Per gli abbonamenti: Tel: 340.86.57.044 – e-mail: studidiplomatici@libero.it
Conto corrente bancario: UniCredit S.p.A. – Distretto ROMA Via del Corso “A”
Via del Corso, 307 – 00186 Roma
c/c n° 000401005051 – IT 84 P 02008 05181 000401005051