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Recensione a C. Landi, Frau Merkel. Regina madre d’Europa, Passigli Edizioni, Firenze, 2021

di - 14 Luglio 2022
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Sono personalmente grato a questo libro, e al suo Autore. Il libro è appassionato, documentato, chiaro e vivace. Ma mi ha anche offerto elementi che suffragano un mio convincimento istintivo: Frau Merkel è stata una vera statista, e ci manca, ci mancherà.
Il convincimento nasceva, oltre che dalle evidenti doti intellettuali e di stile della Merkel, Cancelliera dal 2005 al 2021, da tre sue decisioni di grande momento:

  • – La fine del nucleare in Germania, decretata dalla Merkel – una scienziata – nel 2011, dopo che la centrale di Fukushima era sfuggita di mano persino ai preparatissimi giapponesi;
  • – L’accoglimento degli immigrati in fuga, in una Germania che vide il numero dei richiedenti asilo montare sino a 1,5 milioni;
  • – La risposta alla crisi economica provocata in Europa dal Covid, con la sospensione delle inadeguate regole ex-Maastricht e lo stanziamento di ingenti risorse europee, cioè tedesche, persino a favore di paesi come l’Italia, da decenni sgovernata e improduttiva.

Il libro sostanzia la mia ammirazione per queste decisioni. Furono consapevolmente impopolari e per alcune di esse i democristiani pagarono un prezzo elettorale. Ma uno statista non deve solo cercare consenso! Soprattutto, il libro documenta l’azione della Merkel per l’unità d’Europa (caso greco a parte) e per una collaborazione almeno commerciale con la Russia e con la Cina, avversate dagli Stati Uniti e dalla NATO.
Tolleranza, solidarietà, concretezza fondate sui valori della libertà unita a responsabilità: l’arte della politica come miglior compromesso possibile nel quadro di una precisa strategia.
Tutto ciò basta a corroborare l’elegia della Cancelliera cantata da Landi, che largamente condivido, salvo un punto non secondario, forse sottovalutato nel libro.
Che dire della politica economica tedesca, per la Germania e per l’Europa, nell’arco di un ventennio?
Nel ventennio pre-Covid, 1999-2019, tanto in Germania quanto in Europa, la crescita del Pil è stata lenta: poco sopra l’1% l’anno.
La crescita tedesca è stata specialmente deludente, perché inferiore al Pil potenziale. L’economia tedesca avrebbe potuto crescere di più. Lo scarto è dipeso dalla bassa dinamica della domanda interna, segnatamente dei consumi.
In Germania, dopo il 2004, il risparmio, già molto alto, è ulteriormente aumentato, dal 26 al 30% del Pil. Ha continuato a eccedere sistematicamente l’investimento, salito solo dal 20 al 22% del Pil. Il bilancio pubblico non ha compensato il vuoto della domanda privata. Dopo la recessione del 2009-2010 da un disavanzo della PA del 4,4% del Pil il bilancio ha registrato avanzi, fino all’1,5% del Pil nel 2019: una inversione di ben 6 punti di Pil dal deficit al surplus. Ciò che è più grave, gli investimenti pubblici sono stati prossimi allo zero, al netto degli ammortamenti.
In sostanza l’economia tedesca ha dissipato in termini di minore crescita almeno un punto all’anno di Pil per vent’anni. Ai valori del Pil 2019 la somma perduta ammonta a circa 700 miliardi di euri. Con queste risorse si sarebbe potuto manutenere e irrobustire infrastrutture pubbliche per più aspetti deteriorate o carenti: strade, scuole, ferrovie e soprattutto ponti, il 12% dei quali pericolanti, a cominciare da quello, strategico, di Leverkusen, da anni chiuso ai mezzi pesanti.
Le risorse inutilizzate all’interno sono defluite all’estero, attraverso avanzi di bilancia dei pagamenti di parte corrente ottenuti attraverso una bassa domanda interna, che limitasse le importazioni. Cumulati nel ventennio gli avanzi hanno avvicinato i 4 trilioni di dollari. La posizione creditoria netta verso l’estero della Germania è impressionante: oltre due trilioni di dollari, quasi il 70% del Pil. Con Giappone e Cina la Germania è il principale creditore mondiale. E’ creditrice non solo degli indebitatissimi Stati Uniti, ma anche dei partner europei indebitati con l’estero: Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Francia. Fra l’altro, sulle attività estere i capitali tedeschi, e quindi il Paese, hanno accusato perdite patrimoniali stimate in circa 600 miliardi, da aggiungersi ai 700 già citati.
Inoltre, quando la Cancelliera si pose il problema del ristagno europeo dopo le crisi Lehman e quella italiana post-2011 lo affrontò nel peggiore dei modi. Avrebbe potuto liberare dall’assurdo vincolo ex-Maastricht gli investimenti pubblici, che hanno un alto moltiplicatore di domanda e di produttività. Non lo fece e sollecitò invece i responsabili della BCE – che, lungi dall’opporsi, si lasciarono inopinatamente convincere – a un’azione monetaria espansiva, al limite dello Statuto della stessa BCE, detta quantitative easing, bazooka monetario, whatever it takes e simili slogan giornalistici. Come gli economisti e i banchieri centrali sanno, la politica monetaria, di fondamentale efficacia possibile contro l’inflazione, a differenza degli investimenti pubblici è largamente inefficace nel sostenere una domanda globale stagnante. E così fu. Mentre l’Europa rischiava addirittura la deflazione dei prezzi, l’unico effetto riscontrabile di quella linea monetaria è stato di alimentare, per anni, la speculazione borsistica al rialzo, da cui le banche centrali esperte per solito saggiamente rifuggono.
Sotto il profilo strettamente economico la politica della Merkel è quindi priva di senso, addirittura sadomasochista nei confronti del mite popolo tedesco. Non ha senso neppure se riguardata da un punto di vista ordoliberale, antikeynesiano.
La sua ragion d’essere va ricercata a monte dell’economia, perché nemmeno gli spettri economici del passato, spesso evocati, la giustificano.
La fobia dei tedeschi per l’iperinflazione stile 1923 non può non cedere di fronte al ventennio di prezzi stabili che ha coinciso con l’euro.
Così, la fobia dei tedeschi per il debito estero e i suoi oneri, scaturiti dalle sconfitte nelle due guerre, non può non cedere di fronte a una Germania divenuta creditrice sulla scia dell’accordo di Londra del 1953, quando i vincitori occidentali le abbonarono gran parte del debito in funzione antisovietica.
La terza, più che un’ipotesi è un atroce sospetto[1]. Quella della bassa crescita sarebbe una scelta geopolitica. L’obiettivo intermedio sarebbero bassa domanda interna e conti con l’estero in attivo per acquisire una posizione creditoria verso il resto del mondo. L’obbiettivo finale sarebbe una Germania non più nano politico, perché in grado di condizionare politicamente i paesi debitori, europei e non.
Se fosse fondata, l’ipotesi sarebbe gravissima, tanto da vanificare ogni prospettiva di Europa unita fra pari. Si vedrà, dopo il Covid, se Germania e Bruxelles torneranno, o meno, all’antico…
Vi saranno altre ipotesi. Ma quali?

Note

1.  Già avanzato in A.Bolaffi-P.Ciocca, Germania/Europa. Due punti di vista sulle opportunità e i rischi dell’egemonia tedesca, Donzelli, Roma, 2017.


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