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Gli effetti della riforma dell’Art. 9 della Costituzione sulla pianificazione paesaggistica e territoriale- urbanistica: una prima interpretazione

di - 6 Aprile 2022
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ApertaContrada ha meritoriamente ospitato di recente saggi molto importanti di ricostruzione giuridica della nozione e “interesse” ambiente e di esplorazione prospettica, quasi di “frontiera”, sulla recente riforma della Costituzione, artt. 9 e 41.
Soprattutto è l’art.9 che qui interessa.
Il primo saggio, di Francesco De Leonardis,[1] ricostruisce il percorso della riflessione del legislatore costituzionale sull’ambiente, confutando le tesi allarmistiche – che a parere di chi scrive sembrano anche troppo estreme -, sulla presunta pericolosità della riforma espresse da alcuni commentatori[2]. La questione sarebbe quella del depotenziamento dell’interesse “paesaggio”, rispetto a quello di “ambiente”.
Da ciò conseguirebbe (ma forse, più propriamente consegue) una sorta di dequotazione della stessa pianificazione del paesaggio, sia nella dimensione della tutela che della valorizzazione rispetto alla disciplina di altri interessi ugualmente di valore costituzionale.
Il secondo, di Giancarlo Montedoro[3], oltre alla analitica ricostruzione della nozione di ambiente nella Costituzione originaria e di quella conseguente alla riforma dell’art. 117 (Titolo V) del 2001-, ha il grande pregio di chiarire l’entità della riforma sotto il profilo non solo giuridico, ma anche operativo. Il tutto con grande serenità di giudizio.
Un terzo contributo che qui pure interessa, è una intervista di Alessandro Cioffi[4] a Rosario Ferrara, coautore del volume “Casi di diritto dell’ambiente (Giappichelli,2020), che introduce il tema della “non distinzione” tra ambiente e paesaggio, in quanto tra ambiente e paesaggio vi è una speculare implicazione di valore nella dimensione visiva, più volte ricordata dalla Corte Costituzionale (ad esempio, sentenza 367/2007).
Questa interpretazione delle implicazioni speculari è forse la più compatibile secondo Alessandro Cioffi, con il nuovo dettato costituzionale, anche perché ambiente e paesaggio oramai vivono nello stesso testo costituzionale. L’ambiente è proposto nella sua dimensione totale, si é ricompreso anche  l’interesse all’ambiente delle future generazioni e degli animali.
L’ambiente peraltro potrebbe vivere come bene giuridico a sé stante, perché equiordinato con l’interesse paesaggio, ha però necessità che nella operatività (decisioni varie), sia continuamente bilanciato con l’interesse paesaggio.
Sostenere, come fa anche Giancarlo Montedoro, che i due interessi – ambiente e paesaggio -,  a seguito della riforma sono oggi  equiordinati, significa anche dire che non c’è più alcuna gerarchia tra le forme di disciplina – piani ed altro -, dei due interessi.
E come potrebbe non essere così? Il paesaggio è solo la «facies» dell’ambiente, dove con “solo” non si intende affermare che ha poco valore.
Cade così una sorta di “dogma” che si è venuto affermando in Italia dopo la legge n. 431/1985 e soprattutto dopo il Dlgs n. 42/2004: il paesaggio, meglio l’interesse paesaggio, è prevalente su ogni altro interesse e quindi il piano che lo disciplina su ogni altra forma di pianificazione.
Anche nelle porzioni di territorio non ricomprese nei cosiddetti “beni paesaggistici”, come segmento della più generale nozione di “bene culturale”.
Chi scrive[5] e ad altri ben più autorevoli[6], quale ad esempio l’Arch. Giancarlo De Carlo non da ora, sostiene che al paesaggio ed alla sua disciplina operativa si è voluta riconoscere una latitudine troppo ampia.
Al punto da ritenere di potervi ricomprendere anche l’ambiente e non solo nella dimensione più facilmente percepibile di acqua, aria e suolo, ma anche nelle componenti costitutive dei tre elementi fondamentali, fisiche e chimiche.
A giustificazione di questa interpretazione e posizione culturale tanto estensiva – da Petrarca in qua il paesaggio è sempre stato il visibile, cioè la “parte emersa di quell’iceberg che è l’ambiente”; così si diceva in occasione delle prime riflessioni iniziali sugli SIA e la VIA –, è stata posta la assenza, date le indubbie difficoltà di pianificare l’ambiente nella sua interezza e integrazione, di una compiuta pianificazione ambientale che per essere tale dovrebbe superare la pianificazione per settori e/o singole componenti.
Questo assenza non giustifica però che possa essere la pianificazione paesaggistica a svolgere il ruolo proprio della pianificazione dell’ambiente.
La conferma della parzialità e debolezza della pianificazione paesaggistica risiede nel fatto che i piani paesaggistici – peraltro ancora ben pochi quelli formati ai sensi del Dlgs 42/2004 -, non hanno avuto efficacia se non nella capacità di “vincolo”, vale a dire di impedimento di certe trasformazioni. Cosa non disprezzabile in assoluto, ovviamente, che limita comunque, se non accompagnata dalla capacità positiva, quale quella del recupero, del ripristino dei paesaggi, ecc., la efficacia stessa della pianificazione paesaggistica.
Ed ora, a seguito della riforma costituzionale, cosa potrebbe (o dovrebbe) accadere?
Di piani paesaggistici come ricordato rispondenti al Dlg 42/2004 ne esistono pochi: quattro (Emilia-Romagna, Puglia, Toscana, Sardegna), o cinque, se si può considerare tra questi anche quello della Regione Lazio, che è stato oggetto di annullamento da parte della Corte Costituzionale e poi faticosamente riproposto.
Alcune regioni associano ancora il piano paesistico, o meglio assegnano valenza paesistica, a strumenti di pianificazione territoriale quando addirittura semplici piani quadro di assetto territoriale, che in qualche caso non arrivano neanche a “vestire” i vincoli “nudi” ex lege.
Paradossalmente si potrebbe dire che forse hanno visto “lungo” rinunciando a formare piani vincolistici e prescrittivi per ampi territori, in assenza di precise domande di trasformazione.
Potrebbe infatti accadere che quelle pianificazioni operate in assenza di domanda certa di trasformazione, ma su categorie generali di beni, dovranno essere rivisitate.
Secondo l’interpretazione di Giancarlo Montedoro, infatti, la valutazione degli interessi dovrebbe essere fatta su ogni singolo progetto di trasformazione in rapporto allo “specifico” paesaggio.
Come noto oggi i piani paesaggistici disciplinano il territorio anche senza una specifica domanda di trasformazione, vale a dire di puntuali progetti di trasformazione.
Tanto più ciò rileva dal momento che con questi piani si è voluto disciplinare non solo il passato – di fatto la «facies», corrispondente ad un preciso momento di un territorio –, ma anche il futuro dello stesso.
Il tutto, in assenza di domanda certa di trasformazione, pretendendo però di prevederla quando addirittura non anche di determinarla: da qui la di onnipotenza, o meglio la crisi di onnipotenza, del pianificatore di cui al mio articolo citato in nota n. 5.
Si dovrà riprendere il cammino della pianificazione paesaggistica daccapo? Riproponendola in simbiosi con quella territoriale-urbanistica o anche in autonomia, ma in modo più contenuto?
Comunque senza incorrere in quella crisi di onnipotenza che ha colpito il precedente pianificatore.
Come si farà a superare la garanzia dell’operare ex lege –nel caso dei vincoli “Galasso” soprattutto – se ci si devesse incamminare nel difficile cammino della contemperazione puntuale e contestuale degli interessi ambiente e paesaggio?
Avremo bisogno di una nuova capacità culturale e di mezzi operativi notevoli per poter effettuare una nuova valutazione. Dovremo concedere molto alla valutazione oggettiva e quantitativa.
Questo ragionamento richiede che la pianificazione ambientale, quella cioè degli elementi e delle componenti fondamentali dell’ambiente, venga fatta cercando il più possibile di utilizzare descrittori, indicatori, metri e misure condivisi anche negozialmente, nonché armonicamente coordinati, allo scopo di superare la separatezza che oggi caratterizza “le” pianificazioni ambientali. Raggiungere l’obiettivo di “una” integrata pianificazione ambientale-paesaggistica per territori omogenei/unità di pianificazione, non sarà semplice.
L’esperienza deludente dell’attuale pianificazione paesaggistica dovrebbe insegnare a non commettere gli stessi errori di ordine teorico, metodologico ed operativo.
Con le riforma dell’art. 9 della Costituzione, l’assetto istituzionale degli interessi è stato ricomposto e riequilibrato; c’è tutto lo spazio per una vera “governance” ed un vero “government” dell’ambiente (compreso il paesaggio).
L’obiettivo non può non essere quello di coordinare il «progetto» dell’ambiente con il «controllo» dello stesso: le due dimensioni specifiche del governo dell’ambiente considerato nella sua globalità.
Sulla questione paesaggio è necessario che i ministeri competenti (certamente MIC e MISM, ma anche il MITE dovrebbe essere interessato), chiariscano quale è divenuto, di fatto, il “dominio” della pianificazione paesaggistica.
Ciò è’ stato fatto – e chissà che non si debba intervenire di nuovo -, nel caso degli interventi di abbattimento e ricostruzione di edifici a seguito degli equivoci interpretativi creatasi con gli ultimi interventi del legislatore sul “Testo unico sull’edilizia” in materia di abbattimento e ricostruzione di edifici nelle zone al di fuori dei beni paesaggistici, ma oggetto di disciplina da parte dei piani paesaggistici[7].
Oggi il problema sembra ben maggiore.

Note

1.  Francesco De Leonardis, “La riforma bilancio dell’art. 9 Cost. e la riforma “programma” dell’art. 41 Cost: suggestioni in prima lettura” 28 febbraio 2022.

2.  G. Severini, P. Carpentieri, “Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’art. 9 della Costituzione”, in «Giustizia insieme.it», 22 ottobre 2021.

3.  G. Montedoro, “Costituzione ed ambiente. Effetti sulla divisione dei poteri di una riforma costituzionale largamente condivisa”14 marzo 2022

4.  A. Cioffi, “Ambiente e costituzione. Introduzione al tema con un intervista a Rosario Ferrara”, «Giustizia insieme.it» (in corso di pubblicazione).

5.  Francesco Karrer, “Tra onnipotenza e riduttivismo: una via praticabile per la pianificazione paesaggistica”, «Rivista Interdisciplinare di Studi Paesaggistici», 2006.

6.  G. De Carlo Editoriale del n. 54/1999 di «Spazio e Società»: “E’ tempo di girare il cannocchiale”.

7.  Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici – Sezione Prima, adunanza del 24 gennaio 2022, prot. n. 95/2001. “Richiesta di parere – Art.3, lettera d) D.P.R. 380/2001 e s. m. i. Interventi di ristrutturazione edilizia in ambiti sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D. Lgs. 22 gennaio 2004, n.42. Precisazioni applicative del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici – Servizio Tecnico Centrale del 11.08.2021, prot. n. 7944”.


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