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Dalle fiction alle cripto-valute. E viceversa

di - 29 Novembre 2021
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di Gianfranco Trovatore*

“Squid Game” è una fiction: termine di origine inglese, derivante a sua volta dal latino fingere, che indica una narrazione basata su fatti inventati in contrapposizione al discorso fondato sulla realtà. Con l’etimologia si va sul sicuro. E quanti hanno acquistato di recente una cripto-valuta denominata Squid, proprio perché ispirata alla fiction più vista su Netflix, avrebbero dovuto prestare più attenzione all’etimo. Avrebbero potuto così intuire che la cripto-valuta, inizialmente offerta al modico prezzo di un centesimo di dollaro e in pochi giorni schizzata ben oltre i quattro dollari, era una pura invenzione, un bene inconsistente, un investimento dissennato.

Questi i fatti: a fine ottobre un team di sviluppatori di software offre sul web i “Play-to-Earn Token” (lo Squid, appunto) occorrenti per partecipare a un videogame ispirato all’omonima serie televisiva, il cui unico vincitore si sarebbe aggiudicato il 90% delle somme rivenienti dall’adesione all’offerta (il restante 10% avrebbe remunerato, giustamente, gli sviluppatori del software). Da qui l’invito degli offerenti a partecipare in massa per assicurarsi un cospicuo montepremi, ambìto da tutti e incassato da uno solo, analogamente a quanto narrato nella fiction dove persone a corto di soldi si contendono la lauta vincita messa in palio da una cerchia di sadici miliardari che si sollazzano nel vederli competere in giochi apparentemente infantili ed innocui; ed invece spietati e letali.

Ma torniamo alla realtà. Nei giorni immediatamente successivi al lancio dello Squid, decine di migliaia di persone aderiscono all’offerta, la cripto-valuta si rivaluta del 44.000%, il montepremi raggiunge all’incirca i tre milioni di dollari. All’alba della festa d’Ognissanti l’operazione si profila per tutti vantaggiosa: i creatori del gioco intascheranno trecentomila dollari; i gamers si contenderanno un montepremi milionario (soltanto uno di loro diventerà ricco, è vero, ma anche per gli altri sarà comunque valso provarci con divertimento); gli investitori, infine, potranno lucrare la plusvalenza assicurata dalla repentina crescita esponenziale delle quotazioni. All’improvviso, tuttavia, il gioco si fa serio, anzi spietato e letale: i canali web dell’offerta diventano irraggiungibili, le negoziazioni della cripto-valuta s’interrompono, il prezzo crolla al di sotto del centesimo iniziale, gli sviluppatori del gioco si dileguano in un attimo. La truffa è servita.

In pochi hanno perso grandi somme, si capisce. Chi ha inizialmente acquistato a qualche centesimo i 456 Squid necessari per giocare, infatti, lamenterà pochi dollari di danno. Non altrettanto può dirsi per quanti hanno acquistato la cripto-valuta a prezzi tali da far supporre un intento più speculativo che ludico. E poiché una truffa non rende di per sé truffaldina l’attività che gli fa da sfondo, è facile prevedere che il settore, nel complesso, non ne risentirà affatto. Tant’è vero che le quotazioni delle cripto-valute di più lungo corso, quali Bitcoin ed Ether, continuano imperterrite a crescere, benché con oscillazioni di rilievo.

Per rimarcare la distinzione tra riserve auree e valute tradizionali, da un lato, e cripto-valute dall’altro, non occorre necessariamente rifarsi alla differenza tra costruttore saggio che erige la casa sulla roccia e costruttore stolto che la erige invece sulla sabbia, ma resta il fatto che il valore delle cripto-valute più diffuse tra gli investitori è slegato da asset reali non avendo altri fondamentali fuori della dinamica tra domanda e offerta. A proposito di fiction, di schemi truffaldini, di case dalle solide fondamenta, di concentrazione della ricchezza e diffusa povertà, di finanza virtuale opposta all’economia reale, la mente non si ferma a “Squid Game” e corre ad un’altra seguitissima serie televisiva intitolata “La casa di carta”, dove un gruppo di rapinatori dapprima s’introduce nella Zecca per stampare forsennatamente moneta e poi tenta di rubare tutto l’oro della Banca di Spagna.

E se non fossero soltanto fiction?

* Le opinioni espresse impegnano sotanto la persona dell’autore e non coinvolgono in alcun modo l’Istituzione di appartenenza


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