Dibattito pubblico e dl semplificazioni

La discussione aperta dal contributo del prof. Lazzara sollecita un approfondimento sull’istituto del dibattito pubblico, previsto dall’art. 22 del codice dei contratti (d. lgs. 50 del 2016), disciplinato nel dettaglio dal dpcm 78/2018, e già oggetto di due recenti interventi normativi.

Il primo intervento si è avuto con il comma 6 bis dell’art. 8 (Altre disposizioni urgenti in materia di contratti pubblici) della legge 120/2020 di conversione, con modificazioni, del d.l. 76/2020 (Decreto Semplificazioni), il quale consente di derogare al dibattito pubblico, in ragione dell’emergenza sanitaria e delle “conseguenti” esigenze di accelerare l’iter autorizzativo di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città o sull’assetto del territorio, sino al 31 dicembre 2023: su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, le regioni, se ritengono le opere di particolare interesse pubblico e rilevanza sociale, in presenza di parere favorevole della maggioranza delle amministrazioni provinciali e comunali interessate, possono autorizzare le amministrazioni aggiudicatrici a procedere direttamente agli studi di prefattibilità tecnico-economica nonché alle successive fasi progettuali, evitando il dibattito pubblico.

L’intervento, la cui medesima ratio non è chiarissima, dal momento che sarebbe stato giustificato eventualmente per interventi connessi all’emergenza sanitaria (ad es. costruzione di ospedali, strutture per la vaccinazione o per i test) e non per tutte le opere “di interesse pubblico e di rilevanza sociale” (formulazione evidentemente molto ampia), restituisce all’interprete una lettura dell’istituto del dibattito distorta, che sopravvaluta e sottovaluta l’istituto. Lo sopravvaluta, dando per scontato che il dibattito pubblico sia un istituto diffuso, responsabile del rallentamento i procedimenti, quando la durata prevista per lo stesso è di quattro mesi. Lo sottovaluta, perché il dibattito pubblico è un istituto che potrebbe pur avere qualche utilità e che, in alcuni ambiti, come ad esempio in materia ambientale, è quasi doveroso, visto che la Convenzione di Aarhus comunque vincola gli Stati a prevedere forme di partecipazione: l’istituto è infatti stato progettato per stimolare un dialogo regolamentato in maniera neutrale con i cittadini, non come strumento decisorio ma istruttorio, in quanto interviene in sede di studio di fattibilità, quando tutte le alternative sono possibili, con finalità evidenti di deflazione del contenzioso, con l’obiettivo di pervenire ad una decisione più informata e adeguata, e, in ultima analisi, di realizzare in maniera più spedita un’opera.

Il secondo intervento, ancora più recente, sembra procedere in direzione differente. La formulazione contenuta nel d.l. 77/2021 (cd. semplificazioni 2) prevede che il decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, su proposta della Commissione nazionale per il dibattito pubblico, individui soglie di dibattito pubblico più basse di quelle previste per gli interventi di cui all’art. 44, indicati nel dettaglio nell’allegato IV (tra i quali le ferrovie Palermo-Catania-Messina, Verona – Brennero, Salerno-Reggio Calabria, ecc.), nonché per quelli finanziati con risorse del PNRR e del PNC; in secondo luogo consente di ridurre i termini a trenta giorni, e della metà per i casi di cui all’allegato IV. In caso di inosservanza da parte della stazione appaltante dei termini di svolgimento del dibattito pubblici dei casi previsti dall’art. 44, la Commissione nazionale, sulla base di un elenco da essa predisposto di soggetti di potenziali coordinatori del dibattito pubblico, esercita i poteri sostitutivi.

In questi casi non è quindi prevista una deroga al dibattito pubblico, e anzi si persegue l’applicazione dell’istituto in maniera decisa con l’introduzione dei poteri sostitutivi.

Tuttavia lo stesso appare svuotato, dal momento che la preoccupazione principale dell’intervento normativo è relativa ai tempi, strettissimi, con l’effetto di rendere il dibattito un mero onere procedimentale, che non consenta di elaborare le critiche e le proposte alternative e quindi di modificare i progetti.

In aggiunta, lo scivolamento sul rispetto delle soglie (che è già in astratto problematico, in quanto la facilmente prevedibile tendenza della politica alla deresponsabilizzazione, mediante accoglimento dell’istanza di dibattito anche su progetti di rilievo contenuto, appare un plastico sintomo della crisi della decisionalità pubblica e dell’assenza di una filiera della decisionalità stessa), viene qui consacrata dalla previsione esplicita di riduzione delle soglie, il che mina la possibilità di successo dello strumento, il quale richiede di essere gestito in maniera accurata da soggetti con esperienza e competenze adeguate..

All’esito di questi due interventi, abbiamo un quadro ancora più composito e problematico, per un istituto che non ha ancora avuto modo di essere realmente applicato, e quindi rispetto al quale non sappiamo ancora di quali riforme ci sia realmente bisogno. Da un lato esso è depotenziato, in quanto derogabile (semplificazioni 1). Dall’altro, è già sdoppiato in una procedura ordinaria e una procedura speciale (semplificazioni 2). La procedura ordinaria mostra una grande attenzione nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice e della realizzazione dell’opera (si vv. art. 6 comma 3, art. 9, focalizzati sull’amministrazione aggiudicatrice); la procedura speciale mira all’unico risultato di una conclusione rapida.

L’istituto appare così già bisognoso di un ripensamento. Peraltro, l’ordinamento non sembra avere sinora colto che il grande nodo, oggetto di storico disinteresse da parte del nostro ordinamento, è relativo alle compensazioni, il che rende il tema difficile da affrontare sin dalla radice.

Tutto ciò al netto del fatto che, come è stato mostrato ancora prima che il dibattito pubblico venisse introdotto nell’ordinamento italiano, in altri sistemi, a partire da quello francese, l’opposizione allo strumento (il cui effetto di riduzione del contenzioso appare peraltro limitato) è rilevante e l’istituto è oggetto di riforma, dal momento che appare più proficuo spostare il dibattito sui piani e sulle politiche che non sui singoli interventi[1].

Note

1.  https://www.apertacontrada.it/2016/04/07/debat-public-allitaliana-ovvero-come-mutuare-nozioni-senza-innovare-comportamenti/
https://foim.org/wp-content/uploads/2019/10/Paper_FOIM_3_2019_Decidere_sulle_grandi_opere.pdf