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Pandemia e merito di credito: gli orientamenti ABF

di - 19 Maggio 2021
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SOMMARIO: 1. La peculiare doppia cognizione dell’Arbitro Bancario Finanziario; 2. Struttura e portata applicativa della norma del “decreto liquidità”; 3. Merito di credito e segnalazioni prefettizie; 4. Conclusioni.

1. La disciplina sui metodi alternativi di composizione delle controversie in materia di consumo portata dal d. lgs. 6 agosto 2015, n. 130 di attuazione della direttiva UE 6 febbraio 2013, n. 11 (che ha, in parte qua, modificato il codice del consumo attraverso l’introduzione di un Titolo II – bis, artt. 141 ss.) prevede che l’Arbitro Bancario Finanziario (nel seguito ABF) faccia parte degli organismi delle ADR di consumo in materia bancaria, che sia iscritto nel relativo elenco di cui all’art. 141 nonies e assoggettato alla sorveglianza della Banca d’Italia.
Il perimetro della legittimazione attiva al ricorso a tale organismo comprende tuttavia fin dal c.d. “decreto Pinza” (d. lgs. n. 303/2006) correttivo della legge n. 262/2005 sulla tutela del risparmio (attraverso sostituzione nell’art. 128 – bis del Testo unico bancario dell’inciso “controversie con i consumatori” con “controversie con la clientela”) oltre ai consumatori in senso stretto ogni altra (e diversa) controparte del rapporto con l’intermediario (e dunque professionisti e imprenditori individuali o personificati), differenziandosi così profondamente dalle ADR di consumo. Ciò si riflette, tra l’altro, nella diversa composizione dell’organo giudicante, a seconda che vengano in gioco controversie dei “consumatori” o (con formula sintetica) dei “non consumatori”.
Ho – per inciso – a tale proposito altrove osservato (avendo riguardo alla Relazione della Banca d’Italia per il 2018) che il dato relativo ai ricorsi dei non consumatori, pari a solo il 3 per cento del totale (cresciuto nel 2019 al 4 per cento) segnala una criticità del sistema che non appare in grado di intercettare la potenziale, importante domanda di giustizia di un significativo bacino di utenza dei servizi (in senso lato) bancari [1]. Certo il ricorso all’ABF appare ontologicamente inadeguato a soddisfare le ragioni della grande impresa, per la quale resta preferenziale la scelta dell’arbitrato, della nuova lex mercatoria e, in casi estremi, del giudice. Ma il nostro tessuto economico è composto (diversamente da altri Paesi) prevalentemente da piccole e medie imprese (oltre che da imprenditori individuali), ai quali l’ABF potrebbe invece giovare, con riflessi importanti anche in punto di efficienza, di crescita economica, di conformazione delle condotte da parte degli intermediari. In via di prima approssimazione, mi sembra che giochi senz’altro il diverso peso delle regole che informano la disciplina di questo settore rispetto a quello connotato dalla presenza del consumatore. Sul piano domestico, la stagione di studi sul c.d. “terzo contratto” [2] sembra essersi esaurita senza risultati di rilievo di ordine normativo o giurisprudenziale. Sotto le mentite spoglie della tutela del contraente c.d. “debole”, il diritto dell’Unione continua, dal suo canto, a perseguire obiettivi di conformazione del mercato coerenti con le dinamiche economiche post industriali nelle quali non è più la produzione quanto piuttosto il consumo di beni e servizi il vero motore dello sviluppo economico [3].
Tutto ciò giustifica la dilatazione (concettualmente dubbia) della nozione di consumatore anche a contesti nei quali – a seconda dei casi – la qualità soggettiva dell’oblato o quella del bene di riferimento difficilmente appaiono sussumibili nella fattispecie generale. Giova, a tale riguardo, solo ricordare, da un lato, l’estensione nella giurisprudenza della Corte europea della disciplina speciale al garante-consumatore [4]; dall’altro, lo specifico capo regolamentare sul credito immobiliare ai consumatori dove tanto il finanziamento quanto il bene al cui acquisto il credito è volto, a rigore, sfuggono alla dinamica dei c.d. “scambi senza accordo” [5] per soggiacere alla ordinaria trattativa dei contratti tra uguali del codice civile [6].

Incrementi della competenza per valore dell’organismo (uguali per i due insiemi e pari, dopo le ultime modifiche regolamentari, a 200 mila euro) con specifico riguardo a questo segmento disciplinare potrebbero tuttavia aiutare. Ciò segnatamente in quanto, per un verso, le controversie relative ai “non consumatori”, senz’altro più complesse, di norma sfuggono alla prevalente serialità che invece caratterizza il comparto dei “consumatori”; per altro verso perché, diversamente da queste, la stragrande maggioranza dei procedimenti in parola sono difficilmente riferibili a mere small claims, sottendendo invece valori monetari di ben più cospicuo ammontare. Una regolazione asimmetrica della competenza per valore risulterebbe pertanto maggiormente incentivante, più consona a principi di uguaglianza sostanziale e più rispondente agli obiettivi di efficacia ed effettività della tutela offerta in ragione dell’interesse generale al quale l’organismo si ispira [7]. Magari insieme a un allargamento della platea associativa del comparto di riferimento, con conseguente maggior attivismo in ordine alla descrizione e diffusione dei vantaggi rivenienti da questa giustizia alternativa.


(*): Relazione al Convegno Webinar “L’impresa, il credito e la concorrenza dopo la pandemia”, organizzato dall’Università degli Studi del Molise e dall’Associazione Gian Franco Campobasso il 12 marzo 2021. Le opinioni espresse sono e restano esclusivamente personali.

Note

1. : V. il mio Riflessioni sulle Relazioni annuali della Banca d’Italia sull’Arbitro Bancario Finanziario, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Annali, 2019, 52.

2. : Sul c.d. “Terzo contratto” v. l’omonimo collettaneo curato da G. GITTI e G. VILLA, Bologna, 2008 con precipui approfondimenti sull’abuso di potere contrattuale. Formula, codesta, “magica” e a un tempo – come avverte R. PARDOLESI nelle Conclusioni – “sdrucciolevole, perché il suo accertamento individualizzato…è esposto a vistosi rischi di incoerenza ed arbitrarietà” (348).

3. : V., per tutti, A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in AA. VV., Trattato di diritto europeo (a cura di N. LIPARI), III, PADOVA, 2003, che spiega le ragioni anche di ordine economico sulla scorta delle quali “si è assistito al passaggio da una fase in cui il momento strategico era costituito dalla produzione in quanto tale, ad una fase – quella che attualmente viviamo – in cui non è già la produzione, bensì il consumo, vale a dire la capacità di collocare sul mercato finale il prodotto, ad assumere un rilievo fondamentale nel ciclo economico” (26). Circostanza che giustifica le ragioni in base alle quali la legislazione, segnatamente comunitaria, si fa carico della regolazione “dei mercati finali nei quali sono coinvolti i consumatori” (37). Perspicue valutazioni critiche sulle tecniche giuridiche e sulle stesse linee di policy che affondano le radici nella c.d. economia sociale di mercato sono in A. SOMMA, Il diritto privato europeo e il suo quadro costituzionale di riferimento nel prisma dell’economia del debito, in AA. VV., I nuovi confini del diritto privato europeo (a cura di G. ALPA), MILANO, 2016, 253 ss.

4. : Il riferimento è alla evoluzione della giurisprudenza della Corte dal c.d. professionista “di rimbalzo” (sentenza “Dietzinger” di cui alla decisione del 17 marzo 1998, causa C – 45/96, in Foro it., 1998, IV, 129 con osservazioni di A. PALMIERI) al “garante – consumatore” (ordinanze “Tarcau” del 19 novembre 2015, causa C- 74/15; “Dumitras” del 14 settembre 2016, causa C – 534/15), dove “in luogo di una qualità del debitore principale che attrae a sé quella del fideiussore, adesso è invece la qualità di consumatore a veicolare una traslazione di disciplina” (così S. PAGLIANTINI, Consumerizzazione dei rapporti bancari: un sintagma polisemico nel ciclo di vedute dalla Cattedrale, in AA. VV., La trasparenza bancaria venticinque anni dopo, a cura di A. BARENGHI, NAPOLI, 2018, 143). Quest’ultimo orientamento viene divisato dal Collegio di coordinamento ABF nella decisione n. 5368/2016 su questione rimessa dal Collegio di Napoli nonché, da ultimo, da Cass., 16 gennaio 2020, n. 742, in Banca, borsa etc., 2020, II, 685 ss. con nota di U. MINNECI.

5. : Evoco, è appena il caso di ricordarlo, il titolo del noto saggio di N. IRTI (in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 347), al quale hanno fatto seguito le contrarie valutazioni di G. OPPO, Disumanizzazione del contratto? in Riv. dir. civ., 1998, I, 525; di M. BIANCA, Diritto civile, 3, Milano, 2000, 43 e (successivamente) di F. GAZZONI, Contratto reale e contratto fisico (ovverossia l’accordo contrattuale sui trampoli), in Riv. dir. comm., 2002, 655, con repliche ai primi dello stesso IRTI, rispettivamente in E’ vero ma…., in Riv. dir. civ., 1999, I, 273 e Lo scambio dei foulards, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2000, 601 (controreplica di M. BIANCA, Acontrattualità dei contratti di massa? in Vita not., 2001, 1120).

6. : Avverte opportunamente S. PAGLIANTINI, Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali (ne AA.VV., I mutui ipotecari nel diritto comparato ed europeo. Commentario alla direttiva 2014/17/UE, a cura di P. SIRENA, Milano, 2016) che “l’obbligo di assistenza chiarificatrice e di avvertimento è un contrappunto legale avente una natura bicefala: è in primis una tecnica di regolazione del mercato e, nel contempo, uno strumento responsabilizzante il professionista a protezione del mutuatario” (34).

7. : Ho sempre dubitato della equiparazione dell’Arbitro Bancario Finanziario agli altri organismi di adr di consumo previsti dal decreto n. 130/2015 per un insieme di argomenti.
Il primo è di ordine cronologico: l’ABF è stato istituito insieme alla camera di conciliazione della Consob (poi sostituita dall’omologo ACF ex d. lgs. 130/2015) dalla legge sulla tutela del risparmio del 2005 (in risposta agli scandali finanziari di quel torno d’anni), ben prima perciò del graduale sviluppo della c.d. “cultura della mediazione” nel nostro Paese.
Il secondo è di ordine oggettivo, riguarda i beni tutelati dal sistema di risoluzione stragiudiziale. Non vengono qui in gioco beni reali ma beni virtuali. Il bene di consumo può essere anche sensorialmente apprezzato. I trasferimenti di “ricchezza futura contro ricchezza presente e di ricchezza presente contro ricchezza futura” (P. FERRO LUZZI, Attività e prodotti “finanziari”, in Riv. dir. civ., 2010, I, 134) no. La fiducia nei c.d. credence goods è un bene immateriale rappresentativo della qualità del prodotto. Presuppone il possesso, da parte del fiduciario (tanto nella veste di emittente quanto in quella di collocatore), di elevati standards reputazionali faticosamente conquistati nel periodo medio – lungo in misura inversa alla facilità della loro immediata dispersione. Concorrono, a tal fine, molteplici fattori non sempre e non soltanto patrimonialmente rilevanti. Se, in particolare, l’oggetto del contratto tra cliente e intermediario è sempre meno un bene predeterminato nel suo ammontare (il denaro), consistendo invece nella promessa di un bene futuro (incerto nell’ammontare, nella consistenza, talora nella sua stessa individuazione), diviene decisivo, ai fini dell’adozione di scelte razionali, il possesso di un elevato grado d’informazione e conoscenze, peraltro strutturalmente estraneo alla maggioranza di questi utenti sia per assenza di professionalità specifica che per costi transattivi proibitivi. Il consumatore di questi prodotti non legge mai un bilancio dell’emittente e comunque ha difficoltà a capirlo. Raramente legge un prospetto informativo, una nota informativa, un foglio analitico. La “razionale ignoranza” rispetto a siffatte linee di politica del diritto si giustifica in ragione dell’impraticabile costo transattivo non dell’acquisizione dell’informazione ma della sua fruibilità (c.d. information overloading) ai fini della realizzazione di una volontà consapevole (e quindi della scelta) (cfr. R. NATOLI, Il contratto “adeguato”, Milano, 2013, 84). Diverse sono dunque le tecniche di tutela (le regole di condotta, non a caso ora estese anche a un significativo segmento del mercato creditizio dall’art 124 del Tub, divengono nel mercato, in senso lato finanziario, essenziali) e diversa “l’arte del giudicare”.
Il terzo risiede nei diversi scopi (tutela della “fiducia” nel sistema, che connota anche sul piano degli obiettivi della vigilanza la valenza di interesse generale sottesa a questi organismi a fronte della mera composizione della lite) e nella funzione conformativa delle condotte degli intermediari sottesa agli indirizzi ABF (rilevanti anche nelle verifiche ispettive c.d. “di trasparenza”). Non è casuale che la legge sulla tutela del risparmio rappresenti l’epifania più prossima della stessa devoluzione all’autorità settoriale del nuovo compito di tutela (in senso lato) dell’utente ex art. 127 Tub, compito che permane in capo alle autorità nazionali anche dopo la riforma della vigilanza unica europea. Ciò conduce a qualificare come inutilmente sterile la tradizionale contrapposizione in parte qua dell’interesse pubblico a quello privato. Si è infatti “venuto progressivamente sfaldando il confine, un tempo rigido, tra pubblico e privato, tra interesse generale e interessi particolari. Il privato comunica al pubblico strumenti e forme di azione (contratto, impresa, società, associazione, fondazione). Se si privilegia la categoria come elemento indirizzante dell’operazione ricostruttiva, sorge il problema di come il carattere privato dello strumento possa adeguarsi, e con quali adattamenti, all’interesse generale senza che sia snaturato il fine e senza che sia snaturato il mezzo. Se invece si riconosce che la categoria è solo il punto d’arrivo, allora si tratta di ripensare ciascuno di quegli strumenti in funzione di una realtà del tutto nuova. D’altra parte, l’interesse generale penetra sempre più in aspetti peculiari della vita privata, ad esempio limitando l’autonomia negoziale in nome di valori imperativamente imposti alle scelte dei privati, a cominciare dal rispetto di regole di uguaglianza sostanziale destinate a far premio rispetto a qualunque principio di uguaglianza formale” (N. LIPARI, Le categorie del diritto civile, MILANO, 2013, 84).
Ricorre, infine, un ultimo argomento di stretto diritto positivo. Non sono chiarissime le interferenze e i nessi tra la disciplina ADR portata dal decreto 130/2015 e il d. lgs. n. 28/2010. Mi sembra tuttavia di poter affermare con sufficiente ragionevolezza che mentre è escluso che il ricorso agli organismi di ADR sia idoneo a realizzare la condizione di procedibilità della domanda giudiziale prescritta dall’art. 5 del “decreto Alfano”, risulti invece incontrovertibile che l’attivazione del procedimento innanzi all’ABF prefiguri espressamente il presupposto processuale voluto da quel legislatore. Tanto che lo stesso decreto 130/2015 si affretta a precisare, quanto all’omologo organismo istituito presso la Consob che il ricorso a questi assolva (del pari) alla medesima condizione di procedibilità per i contratti (in senso lato) finanziari. Peraltro, il rinvio non investe la sola norma primaria istitutiva di ABF e ACF ma le stesse regole del procedimento attuative di quella (e dunque la disciplina regolamentare) che pertanto a questi fini assurgono al rango di norme primarie. Questa differenza mi sembra significativa per un doppio ordine di ragioni. Sul piano generale infatti i sistemi riconducibili alla sintesi verbale ADR sono (o possono essere) tra loro estremamente diversi, essendo tale formula generica e inadeguata a consentire un’esatta qualificazione di ognuno di essi. Per altro verso, non può non rilevarsi la strutturale diversità dei procedimenti ABF e ACF rispetto alle ordinarie condizioni di procedibilità di tipo conciliativo, venendo qui in gioco un apparato procedimentale funzionalmente volto al diverso risultato del decidere, certo non dell’accordo amichevole di definizione della controversia, da un lato; una legittimazione circoscritta alla sola clientela a fronte della indifferenza soggettiva nel ricorso alla mediazione, dall’altro. Ciò che si riflette, a ben vedere, sulla stessa domanda giudiziale, atteso che – nel caso di mediazione – questa avrà a oggetto le pretese delle parti contrapposte mentre, se proposta successivamente alla pronuncia ABF/ACF, non potrà prescindere da una sorta di impugnazione della decisione nei presupposti di fatto o in quelli di diritto che ne costituiscono il fondamento. Maggiori riferimenti nel mio L’arbitro Bancario Finanziario presso la Banca d’Italia: genesi, struttura e funzioni, in AA.VV., Trattato di diritto dell’arbitrato (diretto da D. MANTUCCI), XV, NAPOLI, 2020, soprattutto 45 ss.

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