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Gli accordi tra Vaticano e Cina sono stati rinnovati

di - 21 Dicembre 2020
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Gli Accordi firmati dal Vaticano e la Cina nel 2018 sono stati rinnovati per due anni. Sebbene le previsioni di dettaglio siano segrete, è stato divulgato che gli Accordi riconoscono allo Stato cinese il potere di partecipare al processo decisionale relativo alla nomina dei vescovi[1]. Ciò comporterà il superamento della cosiddetta “Chiesa sotterranea”, la comunità di cattolici che fin dagli anni ‘50 ha continuato a riunirsi nell’illegalità, al di fuori dunque della legalità dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese. La riunione delle Chiese cattoliche cinesi comporterà la possibilità per il Vaticano di influenzare il modus operandi delle missioni, degli ospedali e delle scuole cattoliche, che fino al 2018 facevano riferimento al Movimento delle Tre Autonomie.

Commentare gli Accordi nel dettaglio è impossibile, appunto perché segreti. Eppure, è opportuno svolgere alcune considerazioni di carattere generale sui rapporti tra la Cina e la religione cattolica. Si deve in primo luogo evidenziare come i recenti accordi siano stati conclusi a compimento di un processo di riavvicinamento voluto da Giovanni Paolo II, il cui avvio ha coinciso con la c.d. politica della porta aperta in Cina. Nella Lettera per l’inizio del Nuovo anno Cinese del 1982, oltre ad invocare più volte in preghiera il martirio dei cattolici cinesi durante il maoismo, si fa in più passaggi riferimento alla “spiritualità ed all’umanità del retaggio storico e attuale della grande nazione cinese”. Con queste parole, Giovanni Paolo II affronta il tema focale dei rapporti tra religione cattolica e Cina, o meglio tra la Cina e tutte le religioni dogmatiche, che è l’adattamento della religione alle peculiarità cinesi. Centrale è in particolare il confronto tra la religione e la filosofia confuciana. Quest’ultima, per molti versi, pure è religione, ma laica, autoctona ed in rapporto simbiotico con lo Stato. Il confucianesimo si caratterizza infatti per l’enfasi sui di riti ancestrali ed il culto degli antenati. I riti, o li, affondano le proprie radici in antiche religioni sciamaniche e nel culto degli antenati, ma interessano allo Stato confuciano come strumenti di trasmissione di contenuti normativi e per la fissazione di gerarchie sociali. Verso le altre religioni siano esse autoctone o “straniere” come il cattolicesimo, il confucianesimo ha un approccio utilitarista, ripreso in parte dall’interpretazione cinese delle dottrine marxiste leniniste.

Ma tornando per un attimo alla tradizione cinese, si deve tenere a mente come il confronto con il confucianesimo percorra come filigrana i rapporti tra Cina e cristianesimo fin dai tempi di Matteo Ricci. Sono rapporti caratterizzati da alterne vicende, ma soprattutto dall’oscillare delle valutazioni ideologiche al mutare dei rapporti di forza reciproci. Ricci, un dotto gesuita marchigiano vissuto nella Pechino del 1600, da molti considerato uno dei padri della sinologia, riuscì a convertire un certo numero di mandarini, sedotti se non altro dalla padronanza che i gesuiti dimostravano sulle scienze matematiche e sull’astrologia. Divenuta una presenza stabile alla Corte imperiale, la Compagnia di Cristo riuscì persino a cavalcare la sanguinosa successione dinastica tra Ming e Qing. La diffusione del cattolicesimo in quest’epoca storica non ebbe mai natura di missione pastorale alla conversione delle masse cinesi. Si limitò invece al dialogo con la classe dominante cinese. Ed è proprio a Ricci che è dedicato un Giovanni paolo IIo importante intervento di Giovanni Paolo II, il Messaggio ai Partecipanti al Convegno Internazionale “Matteo Ricci: Per un dialogo tra Cina e Occidente”, nel 2001, tenutosi in occasione del quattrocentesimo anniversario dell’approdo di Ricci a Pechino. Nell’enfatizzarne la figura di ponte tra Occidente ed Oriente, Giovanni Paolo II individuò i due tratti fondamentali dell’opera del gesuita nel rispetto per la sovranità imperiale e nell’aver saputo fondere il messaggio del Vangelo con quanto di “bello, buono, giusto e santo” la tradizione cinese, paragonata dal Papa alla cultura greco-romana, aveva intuito.

Nel Messaggio, Wojtyla svolse un passaggio però ulteriore. Guardava, infatti, con simpatia ai progressi economici e sociali svolti dalla Cina. Oltre a rivalutare l’opera di Ricci, sostenne che è a questa opera che i rapporti odierni tra Chiesa e Cina dovrebbero essere ispirati. Il Papa, in anticipo rispetto alla maggioranza degli osservatori occidentali, riconobbe implicitamente una continuità tra l’operato del Partito Comunista Cinese e la tradizione confuciana. Il Messaggio si conclude peraltro con le scuse per gli errori della Chiesa durante l’epoca coloniale, quasi a cercare un punto di contatto con la narrativa del Partito Comunista, che con la commistione tra cattolicesimo e forze coloniali ha sempre giustificato (e continua a giustificare) il martirio dei cattolici a cui lo stesso Giovanni Paolo II faceva riferimento nel 1982 e le gravose limitazioni imposte alla libertà religiosa dei cittadini cinesi.

Nell’epoca pre-coloniale, i rapporti tra Chiesa e Cina non si limitarono agli scambi tra intellettuali cinesi e gesuiti. Fin dall’arrivo dei francescani e dei domenicani in Cina, attorno al 1630, si instaurò la cosiddetta controversia dei riti. Alla fine del 1500, padre Alessandro Valignano, evangelizzatore attivo in Giappone al seguito dei portoghesi e maestro di Matteo Ricci, aveva sostenuto l’inutilità di vietare usi e costumi lontani dalla cultura europea, purché “non immorali”. La questione aveva ad oggetto alcuni culti ancestrali, rivolti agli antenati ed al cielo. Erano riti indispensabili per i mandarini che attraverso la loro celebrazione, inscenavano e trasmettevano alla popolazione valori centrali nella cultura di governo cinese, quali il rispetto degli anziani e dell’imperatore. Tali riti erano considerati come elemento di una liturgia civile, tanto che gli stessi gesuiti residenti in Cina vi partecipavano.
Ulteriore questione riguardava il nome di Dio, ovvero, nel caso cinese, la traducibilità dei concetti tradizionali di Tian (cielo) e Shangdi (il signore supremo delle antiche religioni cinesi e antenato dei primi imperatori), come “Dio”. La questione venne esacerbata, come si diceva, dall’arrivo in Cina dei francescani e dei domenicani e dalla presa di potere della dinastia Qing. I nuovi signori di etnia manciù tendevano a concepire il sapere scientifico occidentale come una risorsa strategica di propria esclusiva competenza, e quindi a limitare ancora di più l’accesso dei missionari cristiani ai contatti con la popolazione. D’altro canto, limitò gradualmente l’uso dei termini Tian e Shangdi e la celebrazione dei riti, oltre ad esigere un giuramento di fedeltà dai gesuiti. La questione venne definitivamente chiusa nel 1742, con la bolla Ex iquo singulari di Benedetto XIV, che bandiva definitivamente i riti ed imponeva ai gesuiti una presa di posizione netta, incompatibile con gli obblighi che l’accesso alla Corte imperiale cinese imponeva.

Una ripresa delle attività cattoliche in Cina si ebbe solo dopo il 1842. La sconfitta cinese nella prima guerra dell’oppio portò alla conclusione del Trattato di Nanchino tra l’impero britannico e l’impero Qing. Questo, in virtù della clausola della nazione più favorita, portò ad una serie di trattati c.d. “ineguali”, che garantivano vari privilegi agli europei, tra cui il libero accesso in un gran numero di città cinesi ed il privilegio dell’extraterritorialità. Ciò consentì l’accesso in Cina di un gran numero di missionari, protestanti e cattolici. Nel contesto della competizione tra le potenze coloniali europee in Cina, le missioni cattoliche caddero sotto l’influenza del potere coloniale francese. L’evangelizzazione, in questa fase, si presentò come missione civilizzatrice volta alla liberazione di masse contadine abbrutite, nella prospettiva di liberarle dal giogo di una cultura barbarica e primitiva. Allo stesso tempo, il clero cattolico era esclusivamente composto da cittadini francesi o comunque europei. Poiché il processo di conversione procedeva di pari passo con l’espansione dell’influenza francese, era frequente che si convertissero interi villaggi, in cui il clero cattolico si sostituiva alle autorità tradizionali in opere come la cura degli orfani, l’intercessione presso le autorità imperiali e la gestione di scuole e ospedali. Ciò comportò una crescente ostilità della popolazione verso il cattolicesimo, che spesso sfociò in episodi di violenza. Fu solo al seguito del massacro di oltre 30.000 cattolici (principalmente cinesi) nel corso delle rivolte dei boxer, al deterioramento dei rapporti tra il Vaticano e la Francia ed a ripetuti tentativi di stabilire canali di comunicazione diretti da parte della morente dinastia Qing, che la Chiesa si convinse della necessità di orientare le proprie relazioni con la Cina alla protezione delle comunità di cattolici cinesi, affrancando l’attività evangelica in Cina dalle esigenze politiche francesi . La missiva apostolica Maximum Illud emanata dal Papa Benedetto XV ribadì la missione evangelizzatrice della Chiesa ed il suo diritto a stabilire direttamente contatti con i popoli pagani. La missiva conteneva inoltre importanti indicazioni sulla formazione di un clero locale e sull’organizzazione ed il coordinamento delle varie missioni cattoliche. Successivamente, Pio IX, continuò a percorrere la via dei rapporti diretti tra la Chiesa e le missioni cinesi. L’enciclica Rerum Ecclesiae incoraggiava il clero italiano a contribuire alla missione di evangelizzare la Cina. L’invio un Nuncio apostolico, Celso Costantini, deve essere letto come un tentativo di strutturare un clero autoctono, allo scopo di affrancare i cattolici cinesi dalla mediazione del clero francese. Nel 1924, Costantini celebrò la conferenza episcopale di Shanghai, in seguito alla quale sei vescovi Cinesi vennero nominati a Roma. Negli anni successivi, furono fondati il Collegio Cattolico del Fujian ed un gran numero di seminari. Nonostante il rientro di Costantini a Roma nel 1933, questi furono anni di proficua attività cattolica in Cina. Di fondamentale importanza fu inoltre una riapertura, con un approccio più aperto, alla questione della compatibilità del credo cattolico con i riti ispirati al culto laico di Confucio.Nel 1946, il clero cinese aveva trovato un’organizzazione definitiva, con 20 arcidiocesi. In Cina vi erano 3,5 milioni di cattolici e quasi 6000 preti, la metà dei quali cinesi. Con l’abrogazione dei trattati ineguali, nel 1942, il protettorato francese venne definitivamente meno.

Note

1. https://www.nytimes.com/2020/10/22/world/europe/vatican-china-bishops.html

Pagine: 1 2


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