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L’economia cinese dopo il Covid-19

di - 9 Dicembre 2020
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La ripresa economica in Cina.
Dopo il successo della Cina nel contrastare e mettere sotto controllo l’epidemia di Covid-19, e nell’impedirne nuove ondate, l’economia cinese si sta riprendendo in un quadro di grande incertezza dell’economia mondiale.
Il Fondo Monetario Internazionale prevede una caduta del PIL mondiale del 4,4% nel 2020 e dovrà certamente rivedere le ottimistiche previsioni di un aumento del 5,2% nel 2021.
Il PIL della Cina, nel primo trimestre del 2020 era caduto del 7%, ma nel terzo trimestre è cresciuto del 4,9% su base annua;  per l’intero anno il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita dell’1,9%.
Le previsioni sono molto più ottimistiche, probabilmente troppo, per il 2021: il 9,2% per il Fondo Monetario e il 7,9% per la Banca Mondiale.
La spinta all’aumento del PIL è venuta soprattutto dalla produzione industriale, aumentata in settembre del 6,9%, lo stesso tasso di crescita sperimentato nel dicembre 2019 prima dello scoppio del coronavirus.
Ci sono segnali che la ripresa si sta estendendo ai consumi, dato che in ottobre le vendite al dettaglio sono cresciute del 3,3% dopo mesi di caduta.
La ripresa economica ha generato un aumento delle importazioni, ma anche le esportazioni hanno ripreso a crescere, e più delle importazioni, anche per la domanda di beni cinesi nel campo sanitario e degli strumenti, come i personal computer,  necessari per il sostengo del lavoro online: il surplus delle partite correnti ha quindi ripreso a crescere arrivando a oltre il 4% del PIL.
A questo ha corrisposto anche un aumento del tasso di cambio, cresciuto nell’anno di più del 5,5%.
Le misure economiche che sono state intraprese in Cina per fronteggiare la crisi economica determinata dall’epidemia sono state meno forti di quelle decise dai paesi del mondo occidentale.
Per quanto riguarda la politica fiscale, durante la riunione del Congresso Nazionale del Popolo, il parlamento cinese, tenutasi a Pechino nel maggio 2020, il premier Li Keqiang aveva annunciato un aumento del deficit pubblico dal 2,9% del PIL nel 2019 al 3,6% nel 2020, anche se con un aumento della spesa militare del 6,6% rispetto all’anno precedente.
Ma nel complesso la politica fiscale espansiva in termini di investimenti, benché abbia favorito la ripresa industriale, è stata meno forte di quella usata per reagire alla crisi del 2008-2009.
Inizialmente la Banca del Popolo, la banca centrale della Cina, ha aumentato la liquidità e ridotto i tassi interesse; ma dopo poco tempo la strategia monetaria è diventata meno espansiva.
Dietro la maggiore cautela dimostrata dalla leadership cinese sta probabilmente il timore dell’aumento del già molto elevato indebitamento complessivo dell’economia.
Ad esempio, uno dei segni della ripresa economica è stato l’aumento dei valori delle proprietà immobiliari nelle più importanti città, sostenuto, come in passato, dall’indebitamento delle imprese di costruzione.
La autorità cinesi hanno quindi introdotto delle regole per limitare l’indebitamento nel settore immobiliare, volte a legarlo di più a indicatori del successo previsto e all’afflusso di risorse proprie rappresentato da azioni delle società coinvolte.
Queste misure sembrano aver avuto un certo successo dato il rallentamento recentemente manifestatosi nell’aumento dei valori delle proprietà immobiliari.
Ma questo non è stato l’unico segnale della persistenza del problema dell’indebitamento nell’economia cinese.
Un numero di recenti fallimenti nelle imprese di Stato che si erano eccessivamente indebitate ha indotto il presidente del Comitato per la Stabilità Finanziaria, il vice-premier Liu He a dichiarare che d’ora in poi verrà adottato un approccio di “tolleranza zero” nei confronti di comportamenti errati nelle questioni finanziarie, modificando così la strategia che in questo settore era prevalsa anche nel recente passato.
La ripresa dell’economia cinese in un quadro internazionale dominato dall’incertezza ha provocato un aumento della domanda di attività finanziarie cinesi sui mercati internazionali.
Gli investimenti esteri in Cina sono cresciuti in Ottobre per il settimo mese consecutivo, con un tasso di crescita del 18% su base annua.
Ci sono invece rallentamenti ed esitazioni negli investimenti cinesi all’estero; e questi sono certamente legati alla maggiore attenzione del governo nei confronti delle imprese che li intraprendono, dopo le crisi derivanti dall’eccessivo indebitamento con cui alcune di esse, specialmente nel campo assicurativo, li avevano finanziati nel periodo tra il 2015 e il 2017 e in settori non produttivi quali quello alberghiero, degli spettacoli e dei giochi d’azzardo.
Il governo ha preso decise azioni di contenimento rispetto a queste imprese (con arresti di alcuni dei responsabili) e da allora gli investimenti cinesi all’estero hanno mostrato quanto meno una maggiore cautela.
L’afflusso di investimenti esteri non sembra tuttavia, almeno per ora, presentare segni di rallentamento anche dopo alcune iniziative prese dalle autorità di regolazione finanziaria cinese che intervengono con modalità senza precedenti nel sistema finanziario, anche se qualche problema si è creato nelle borse di Hong Kong e Shanghai.
Il riferimento è al blocco da parte delle autorità della IPO di 37 miliardi di dollari che Ant Financial, la società finanziaria di Alibaba, si era preparata a lanciare sulle borse di Hong Kong e Shanghai alla fine di ottobre.
Durante un meeting finanziario a Shanghai il 24 ottobre, Jack Ma, il fondatore di Alibaba, era intervenuto sostenendo che le banche cinesi, la maggior parte delle quali è in mano pubblica, hanno una mentalità da “banco dei pegni” dato che richiedono eccessive garanzie e collaterali per concedere prestiti, e affermando che la Cina non  ha bisogno di questo tipo di banche, ma di società finanziarie più coraggiose, come Ant, che richiedono meno collaterali e fanno maggior utilizzo delle opportunità offerte dalle tecnologie digitali.
A quella stessa riunione era però presente anche Wang Qishan, vice presidente della Repubblica Popolare della Cina, e certo l’uomo più potente della Cina dopo Xi Jinping; e Wang Qishan aveva lanciato un messaggio completamente opposto sostenendo la priorità della stabilità finanziaria e la necessità di combinare l’innovazione e l’apertura finanziaria con una appropriata regolazione.
Qualche giorno dopo Jack Ma venne convocato dai regolatori cinesi a Pechino, e subito dopo l’IPO di Ant è stata sospesa.
Del resto i regolatori  avevano nei mesi recenti già preso iniziative per limitare il potere monopolistico dei giganti tecnologici cinesi, annunciando nuove regole riguardanti come le società dovrebbero usare i dai dei clienti, i criteri che esse dovrebbero seguire nel determinare i prezzi delle loro offerte di credito, che tipi di promozioni e di sussidi si possono usare per attrarre clienti.
Le maggiore novità delle nuove regole sono però che esse colpiscono anche le clausole che riducono la concorrenza, come ad esempio quelle che impediscono di usare WeChat Pay di Tencent per comprare prodotti dai siti online di Alibaba come Taobao.
Inoltre le regole prevedono un deciso intervento sulle possibilità  dei giganti tecnologici cinesi di quotarsi all’estero condizionandole ad una esplicita autorizzazione da parte dell’ autorità antitrust nazionale.
Insomma la ripresa economica è contrassegnata da passi alquanto significativi nella direzione di costruire un futuro “fintech” nel quale però non è chiaro quanto la preoccupazione delle autorità sia realmente quella di promuovere una maggiore concorrenza e una maggiore stabilità, o non piuttosto quella di evitare il rischio che i giganti “fintech” cinesi sfuggano al controllo delle autorità, e in ultima analisi del Partito Comunista Cinese.
Non sembra però che le autorità cinesi siano così miopi da compromettere l’obiettivo a medio lungo termine più volte dichiarato di condurre la Cina a una posizione di leadership mondiale nel campo delle nuove tecnologie e quindi anche nel settore “fintech”.

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