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Le imprese pubbliche cinesi tra disciplina antitrust e controllo sugli investimenti esteri diretti

di - 31 Ottobre 2020
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Per quanto attiene allo scrutinio della Commissione Europea su acquisizioni preventivamente notificate da imprese a partecipazione pubblica, una parte della letteratura ha tuttavia sottolineato come la Commissione Europea abbia utilizzato un diverso metro di giudizio rispettivamente per l’esame delle operazioni riguardanti imprese pubbliche partecipate da Stati membri ovvero dallo Stato cinese[16]. In particolare, rispetto alle prime la Commissione ha ritenuto insufficiente la sussistenza del controllo di diritto, ossia della possibilità in astratto di esercitare il controllo sulle imprese partecipate, richiedendo altresì l’effettività del controllo esercitato (come del resto suggerisce la lettera del citato considerando 22 del regolamento 139/2004). Infatti, in alcuni casi paradigmatici[17], nonostante la Commissione avesse espressamente riconosciuto che lo Stato membro coinvolto detenesse diritti di voto nelle imprese interessate, tali da conferire il controllo di diritto, d’altro lato aveva focalizzato l’esame sul controllo effettivamente esercitato, attestando come nei casi di specie non vi fosse alcun coordinamento statale su tali imprese suscettibile di alterare il gioco della concorrenza nel mercato interno. Tuttavia, a quanto risulta la Commissione, nell’esaminare analoghe operazioni di concentrazione riguardanti imprese extraeuropee, e specificamente russe o cinesi, ha utilizzato un diverso metro di giudizio.
Il primo caso sintomatico di tale mutato orientamento della Commissione risale al 2011, e riguarda la progettata acquisizione della società norvegese Elkem, operante nel campo della produzione del silicone, da parte della cinese China National Bluestar. Quest’ultima è una società operante nell’industria chimica controllata dalla ChemChina, a sua volta direttamente controllata dalla SASAC centrale. A differenza che nelle operazioni coinvolgenti imprese pubbliche europee, in questo caso la Commissione ha enfatizzato il carattere potenziale e probabilistico del potere dello Stato cinese di influenzare (tramite la SASAC) le condotte concorrenziali delle società partecipate nel mercato di riferimento, il che diverge con l’approccio seguito dalla Commissione nei precedenti casi europei. Nella decisione Elkem/China National Bluestar la Commissione ha infatti chiarito che l’accertamento sarebbe stato guidato «dal possibile potere dello Stato di influenzare la strategia commerciale delle imprese e dalla probabilità che lo Stato coordini direttamente la loro condotta commerciale»[18].
In un’altra decisione, relativa all’operazione riguardante le società Électricité de France/China General Nuclear/NNB Group (c.d. Hinkley Point case)[19], operanti nel settore dell’energia nucleare, la Commissione ha ancora una volta modificato orientamento, questa volta allo scopo di attrarre l’operazione in questione nell’ambito della propria giurisdizione. La decisione si è comunque risolta in un nulla osta all’operazione di concentrazione notificata, in quanto nel caso di specie non si sono rilevate minacce alla concorrenza nel mercato di riferimento, ma ciò che conta è il contenuto della relativa motivazione. Infatti, poiché il basso fatturato della Chinese General Nuclear nel mercato unico non era sufficiente al fine del calcolo del fatturato rilevante ai sensi dell’art. 5 del regolamento 139/2004, la Commissione ha considerato tutte le imprese pubbliche cinesi operanti in Europa nell’intero settore energetico come rispondenti ad un centro decisionale unitario. In altre parole, la Commissione ha ritenuto che le imprese pubbliche in quel dato mercato appartenessero a una sorta di conglomerato di imprese, ossia quello che viene diffusamente riassunto nell’espressione “China Inc.”. Nello specifico, la decisione, ai §§ 36 ss., richiama le disposizioni della Law of the People’s Republic of China on State-owned Assets in Enterprises che consentono alla SASAC di influenzare con il proprio diritto di voto importanti decisioni commerciali, e quelle che affermano che il governo può promuovere il coordinamento a livello centrale delle più importanti imprese pubbliche, ossia quelle che hanno rilievo per l’economia e la sicurezza nazionale. È vero che la decisione faceva riferimento espresso alle imprese pubbliche cinesi operanti nel settore energetico, tuttavia essa ha aperto la strada ad un’originale interpretazione estensiva, peraltro accolta favorevolmente da numerosi osservatori, alcuni dei quali ne hanno anche ampliato la portata, ad esempio suggerendo di considerare tutte le imprese pubbliche cinesi, e non solo quelle operanti nello stesso settore economico, come una singola entità economica rispondente ad un centro decisionale unitario, riconducibile alla SASAC[20]. Altri, come già visto in avvio, hanno invece proposto una soluzione onnicomprensiva, volta a ritenere tutte le imprese pubbliche e private cinesi che abbiano un nesso con il PCC come un’unità economica rilevante ai fini del regolamento 139/2004 [21].
Simili proposte interpretative sembrano condurre, da un lato, a sopravvalutare il ruolo della SASAC, dato che l’affidamento della gestione centralizzata delle partecipazioni statali ad un organismo governativo è una soluzione istituzionale adottata anche da parte di alcuni paesi europei, tra cui la Francia, che attribuisce una funzione analoga ad un’agenzia interministeriale denominata Agence des participations de l’État. Inferire l’esistenza di un centro decisionale comune a tutte le imprese pubbliche cinesi dalla presenza di una holding di Stato, come la SASAC, ovvero dall’elemento di continuità rappresentato dalla presenza di membri del Partito nei relativi c.d.a, costituisce pertanto una semplificazione eccessiva. D’altro lato, la presenza capillare del Partito non comporta necessariamente che questo eserciti il proprio potere di orientamento per perseguire obiettivi di natura commerciale, il che contribuisce ad escludere che le discipline antitrust siano lo strumento appropriato per il controllo sugli investimenti effettuati dalle imprese pubbliche e private cinesi.
Con ciò non si vuole sminuire lo scetticismo che aleggia intorno all’effettiva indipendenza dal potere politico delle imprese pubbliche cinesi, che mostrano invero diversi aspetti problematici quanto all’opacità della loro governance ed in particolare alla diffusa presenza del Partito, che grazie al sistema organizzativo descritto nel paragrafo precedente appare in grado di controllare tutte le imprese partecipate, pubbliche e private. Anzi, la posizione occupata dal Partito ai vertici di grandi imprese pubbliche e private, cinesi e stranieri, pone senz’altro il problema che questo possa, all’occorrenza, esercitare il suo latente potere di coordinamento per qualsivoglia finalità, che sia di natura politica ovvero commerciale. Un altro aspetto a ragione rilevato criticamente dagli osservatori europei attiene alla mancanza di reciprocità tra le possibilità di investimento offerte rispettivamente alle imprese cinesi in Europa e alle imprese europee nel mercato cinese, anche se forse un passo in avanti è stato fatto con la nuova legge cinese sugli investimenti stranieri (Foreign Investment Law), entrata in vigore il 1° gennaio 2020.
Tuttavia, dietro la spinta di tali pur legittime istanze, dettate dall’esigenza di porre un argine ad un enorme afflusso di capitali stranieri, che senza dubbio necessita di una forma di selezione all’ingresso, soprattutto nei settori strategici, la Commissione Europea ha operato delle forzature interpretative che rischiano di minarne la credibilità come Autorità antitrust equa e imparziale [22]. Inoltre, considerare tutte le imprese controllate dalla SASAC in un dato settore come un’unica entità economica potrebbe anche sollevare problemi di coordinamento con la disciplina sulle intese restrittive della concorrenza di cui all’art. 101 TFUE, che per definizione implica accordi o pratiche concordate intercorrenti tra imprese che facciano capo a centri decisionali indipendenti [23].

4. Conclusioni.
Dalla rassegna effettuata nell’ultimo paragrafo è emerso che la peculiare struttura istituzionale delle imprese pubbliche cinesi mal si concilia con le fattispecie fondamentali del regolamento europeo sulle concentrazioni, se non al costo di inevitabili forzature interpretative. Infatti, sembra che l’orientamento adottato dalla Commissione, e qui criticato, sia stato dettato da considerazioni di natura eminentemente politica, ossia dal timore che gli investimenti effettuati dalle imprese pubbliche cinesi possano risultare viziati dall’interesse di appropriarsi di infrastrutture strategicamente rilevanti.
Tuttavia, non sembra che simili preoccupazioni possano essere assecondate sul piano dell’interpretazione del diritto antitrust vigente, richiedendo viceversa risposte di natura politica, ed in particolare a livello di controllo degli investimenti esteri diretti, attraverso una verifica dell’impatto che una data acquisizione può avere sulla sicurezza nazionale dello Stato membro interessato. Una prima indicazione in tal senso, del resto, è offerta dallo stesso regolamento sulle concentrazioni, il cui art. 21, paragrafo 4, non esclude che un’acquisizione che la Commissione abbia giudicato di per sé non lesiva della concorrenza possa essere bloccata dagli Stati membri al fine di tutelare suoi “interessi legittimi”, individuati a titolo esemplificativo nella sicurezza pubblica, nella pluralità dei mezzi di informazione e nelle norme prudenziali. La maggiore utilità di questa prospettiva per la selezione degli investimenti cinesi in particolare, appare attestata dal fatto che nel solo 2018 gli Stati membri hanno bloccato per ragioni di protezione della sicurezza nazionale ben sette acquisizioni effettuate da società cinesi [24], diversamente dall’applicazione del diritto antitrust che, nonostante la giurisdizione esercitata dalla Commissione sulle acquisizioni operate dalle imprese pubbliche cinesi, anche ricorrendo all’interpretazione estensiva vista in precedenza, non ha portato al blocco di alcuna operazione di concentrazione notificata.
Nella direzione suggerita sembra collocarsi anche la recente approvazione del regolamento (UE) 2019/452 [25], relativo al controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione, il quale consente agli Stati membri di istituire “meccanismi di controllo” che consentano di «valutare, esaminare, autorizzare, sottoporre a condizioni, vietare o liquidare investimenti esteri diretti per motivi di sicurezza o di ordine pubblico»: così l’art. 2, paragrafo 1, n. 4. Nella prospettiva italiana, costituisce un esempio di meccanismo di controllo conforme al regolamento citato la disciplina dei golden powers di cui al d.l. 15 marzo 2012, n. 21, convertito in l. 11 maggio 2012, n. 46 [26]. Nel contempo, viene favorito un coordinamento di tali controlli a livello europeo basato sullo scambio di informazioni reciproco relativamente agli investimenti stranieri suscettibili di incidere sugli interessi protetti dal regolamento stesso. Ne consegue che acquisizioni potenzialmente rischiose potranno essere bloccate non tanto per il loro asserito rilievo anticoncorrenziale, quanto in ragione di considerazioni attinenti alla sicurezza nazionale dello Stato membro interessato, almeno quando riguardanti settori strategicamente sensibili.
Infine, resta fermo che il considerando 36 del regolamento (UE) 2019/452 fa comunque salva la concorrente applicazione del regolamento sulle concentrazioni, sicché, in caso di acquisto del controllo da parte dell’investitore estero su un’impresa operante in un settore strategico, vi dovrà essere un coordinamento tra il controllo antitrust e quello relativo all’eventuale esercizio di poteri ostativi di natura politico-strategica.
ARMANDO SANTONI

Note

16. Sul punto, si v. diffusamente A. ZHANG, (nt. 5), pp. 180 ss.

17. Si allude alle decisioni No. IV/M.931 – Neste/IVO del 2 giugno 1998 e No. COMP/M.5549 – EDF/Segebel del 12 novembre 2009.

18. Decisione No. COMP/M.6082 China National Bluestar/Elkem del 31 marzo 2011, § 10.

19. Decisione M. 7850 – EDF/CGN/NNB Group of Companies del 10 marzo 2016.

20. A. RILEY, Nuking Misconceptions: Hinkley Point, Chinese SOEs and EU Merger Law, in European Competition Law Review 37, No. 8 (2016), pp. 301 ss.

21. N. PETIT, (nt. 7), p. 12.

22. In tal senso, A. ZHANG, (nt. 5), p. 189; V. ŠMEJKAL, (nt. 15), p. 44.

23. Ma si v. il § 130 della Comunicazione consolidata della Commissione sui criteri di competenza giurisdizionale.

24. Lo riporta P. LE CORRE, On China’s Expanding Influence in Europe and Eurasia, disponibile su https://carnegieendowment.org/2019/05/09/on-china-s-expanding-influence-in-europe-and-eurasia-pub-79094.

25. Sul solco di tale regolamento sembra porsi anche il Libro bianco relativo all’introduzione di pari condizioni di concorrenza in materia di sovvenzioni estere, pubblicato dalla Commissione Europea lo scorso 17 giugno e sottoposto a pubblica consultazione con scadenza al 23 settembre 2020.

26. E per alcune indicazioni relative al necessario adeguamento di tale disciplina al recente regolamento europeo, v. G. NAPOLITANO, I golden powers italiani alla prova del Regolamento europeo, in Foreign Direct Investment Screening. Il controllo sugli investimenti esteri diretti, a cura di G. Napolitano, Bologna, 2019, pp. 120 ss.

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