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Europa, debito pubblico e privato nell’epoca della pandemia

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Il 27 Aprile si è tenuto il seminario “Europa, debito pubblico e privato nell’epoca della pandemia” organizzato nel contesto del Master in Scienze politiche e innovazione nella Pubblica Amministrazione delle Università di Macerata e di Urbino con la collaborazione del dottorato di ricerca in Mercati, impresa e consumatori dell’Università di Roma Tre.
L’incontro, incentrato sulla risposta all’attuale crisi da parte di istituzioni e policymakers, con particolare riferimento al ruolo dell’Unione Europea, si inserisce in un progetto formativo più ampio con l’obiettivo di stimolare il dialogo tra economisti e giuristi riguardo a questioni complesse.
Il seminario è stato introdotto dagli interventi della professoressa Elisa Scotti, direttrice del MaserPA e del professor Matteo Gnes, co-direttore.
La prof.ssa Scotti ha sottolineato innanzitutto l’importanza di un approccio interdisciplinare fondato sulla ricerca di soluzioni alle questioni poste dalla pandemia che combinino la razionalità economica con le scelte di valore operate dagli ordimenti giuridici, tra cui salute, diritti fondamentali e la tutela dell’ambiente. Quest’ultimo, in particolare, assume una sua rilevanza non solo come bene da tutelare ma, nelle politiche del credito, anche per la sua rilevanza economica di fattore della produzione e di indice di sostenibilità finanziaria di Stati e imprese; il professor Gnes ha poi presentato il concetto di solidarietà come principio giuridico per l’integrazione europea, con particolare riferimento alla solidarietà finanziaria, menzionata nell’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e posta alla base degli strumenti di cooperazione economica.

Aiuti europei e investimenti pubblici: il mix che potrebbe salvare l’economia europea
Pierluigi Ciocca, economista, storico dell’economia e vicedirettore generale della Banca d’Italia dal 1995 al 2006, ha dato il suo contributo al dibattito, illustrando la questione dell’attuale crisi economica determinatasi dalla pandemia e le possibili soluzioni a livello europeo.
La sua relazione ha innanzitutto posto in evidenza le differenze tra l’attuale crisi e quella che ha colpito l’Europa a seguito della crisi finanziaria globale del 2008. Generatasi, quest’ultima, nel mondo anglosassone, si è poi tradotta, nelle economie europee più deboli, in crisi del debito sovrano e in sofferenza del settore bancario. Analizzando la risposta europea rispetto alla contrazione della domanda globale e allo shock asimmetrico che ne derivò, essa può essere ritenuta tardiva e inadeguata ancorché, per contrastare quella recessione, sarebbero bastate politiche di sostegno alla domanda e interventi mirati a supporto dei Paesi maggiormente colpiti dall’instabilità finanziaria.
Profondamente differente è lo scenario odierno, secondo Pierluigi Ciocca. Innanzitutto le previsioni attualmente disponibili sembrerebbero prefigurare, per l’anno corrente, una più severa contrazione del PIL europeo ed il numero di Paesi colpiti sarà più elevato. Ma la differenza non è solo quantitativa: la crisi odierna ha diversa natura e diverse sono le determinanti.
Oggi si assiste ad un cedimento non solo della domanda globale ma anche dell’offerta, con implicazioni e interazioni perverse ed effetti difficili da prevedere. Il calo della produzione è stato, in un primo momento, il riflesso delle misure sanitarie, cui si sono congiunti altri fattori, tra cui un pessimismo generale e la carenza di input produttivi.
Si lega a questo contesto un problema ulteriore e più rilevante: un clima di incertezza che impatta le decisioni di consumatori e produttori e nel quale, come diceva Keynes, non può funzionare il calcolo delle probabilità. Peraltro, qualora l’offerta globale dovesse cadere più della domanda, un ulteriore rischio si prefigurerebbe: quello della stagflazione, situazione che coniuga, a recessione e disoccupazione, anche l’inflazione.
Nell’affrontare questa crisi, gli interventi messi in campo fin da subito da istituzioni nazionali ed europee con politiche fiscali e monetarie espansive, nonché deroghe a principi e norme che regolano tali ambiti di policy, sono andati sicuramente nella direzione giusta, ma è necessario tenere in considerazione i rischi sopra esposti. Occorre dunque tener presente due correttivi: innanzitutto, l’opportuna graduazione dell’iniezione di risorse monetarie e fiscali per evitare l’insorgere di effetti inflazionistici, seppur molto difficile da attuare; inoltre, porre attenzione alla composizione della spesa pubblica, prediligendo gli investimenti pubblici in infrastrutture, materiali ed immateriali, piuttosto che il sostegno alla spesa corrente. Questo in primis in virtù dell’effetto del moltiplicatore associato alla spesa per investimenti stimato pari a 3 sulla base della correlazione empirica per cui ad un punto percentuale di PIL di spesa pubblica in investimenti si associa, di regola, un incremento generale del PIL di 3 punti percentuali, dunque tre volte superiore a quanto speso. Questa tipologia di investimenti, inoltre, tramite gli effetti positivi che si generano a cascata in termini di stimolo agli investimenti privati, aumento del gettito fiscale, riduzione delle spese sociali, oltre alla copertura dell’investimento iniziale determina un ulteriore beneficio: una connessa riduzione del rapporto debito pubblico/PIL. Nel caso della spesa corrente l’effetto è, invece, meno che proporzionale, con un moltiplicatore inferiore ad 1.
Pertanto, la linea conclusiva prospettata da Pierluigi Ciocca è di un giusto mix di aiuti europei ed investimenti pubblici con un orizzonte di medio-lungo periodo che potrebbe essere in grado di contenere, senza squilibri sistemici, i danni economici che la pandemia sta causando.

Integrazione europea dal basso, nel contesto della crisi pandemica
Durante la seconda parte del dibattito, per quel che riguarda la sezione giuridica, la parola è stata lasciata al professor Giancarlo Montedoro, docente di Diritto pubblico dell’economia e Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, il quale ha introdotto il suo intervento con alcune considerazioni generali.
In primo luogo – egli ha detto – per comprendere la realtà del momento, dovremmo concentrarci sul significato delle parole, sostituendo il termine crisi, usato ad esempio in merito al tracollo finanziario del 2008, con catastrofe: ci troviamo di fronte a una sciagura per il numero di morti, ma anche per il cambiamento del rapporto uomo-natura e quindi della situazione economica, di fronte alla quale non si può proporre una soluzione specifica.
Si tratta del capitalismo che incontra i suoi limiti legati all’uso delle risorse naturali ed agli inquinamenti che determinano anche crisi pandemiche come segnalato dall’OMS.
In riferimento al fulcro dell’intervento, ovvero l’Unione europea, la sua nascita può essere contestualizzata a metà del secolo breve, come Hobsbawm ha descritto il ventesimo secolo, e la sua natura riassunta come una costruzione che funziona secondo un modello di pace, irenico, non idoneo a governare le crisi ricorrenti e gli squilibri evidenti del capitalismo.
Una costruzione basata sulla politica gradualistica dei piccoli passi e sulla elaborazione di accordi graduali, prima di settore, e così abbiamo avuto Trattati sull’uso dell’energia atomica, poi sui mercati, fino alle sentenze dei giudici che hanno rappresentato il primo modello di integrazione attraverso il diritto. È da subito apparso evidente come questa integrazione miri alla fondazione di uno stato, con una vera costituzione in fieri, per la prima volta nella storia senza guerre e stermini, ma grazie all’ opera di intellettuali, nello specifico economisti e giuristi.
Nella più recente fase di costruzione della UE all’integrazione attraverso il diritto si è sostituita l’integrazione attraverso la moneta ma il processo è rimasto a metà del guado poiché esse preludeva ad un’unione politica che non si è realizzata.
Per quanto riguarda la costruzione di una giurisprudenza comunitaria, questa si è paradossalmente basata sull’eccezione al caso Meroni del 1958, che inizialmente limitava al minimo il numero di materie derogabili agli organi comunitari, arrivando alla costruzione di agenzie, networks e amministrazioni, capaci di connettere gli stati, soprattutto grazie alla creazione di vincoli finanziari, e regolare l’economia.
Nel quadro storico europeo, l’integrazione tramite diritto è stata sostituita da quella attraverso moneta, portando alla luce un problema reale, ovvero la difficoltà nel tenere in vita in maniera efficiente una ’moneta senza stato’, al quale si è cercato di ovviare tramite politiche fiscali, risultate però all’interno di un coordinamento solo parziale, che manca di meccanismi di convergenza.
Nel contesto della crisi pandemica mondiale, il professore ha poi suggerito il ricorso ad una nuova integrazione europea che non si basi sulla moneta né sul dannoso espansionismo giudiziario, ma che parta dal basso, tramite servizi sociali in sinergia con altri meccanismi. Questi ultimi, molto discussi all’interno del dibattito politico soprattutto italiano, fanno riferimento a MES, per la prima volta piegato a finalità sociali di tipo sanitario, Sure, come supporto comunitario alla cassa integrazione nazionale e Recovery Fund, basato su emissione di bond temporanei o prestiti redimibili.
In conclusione, il professor Montedoro sottolinea la necessità di porre politiche sociali e ambientali al centro del quadro europeo, cambiando la nostra concezione di Unione come prodotto della fine della storia, in riferimento alla tesi del politologo Francis Fukuyama, poiché la storia non è affatto finita, fa anzi emergere conflitti e violenti sovranismi e non vi è contesto migliore di quello che stiamo vivendo nel quale rendersi conto di questa verità.
Il quadro ideologico neoliberale nel quale vivono le istituzioni europee non può resistere senza cambiamenti e senza lo sviluppo di una profonda autocritica, occorre ormai prendere atto, come suggerito da Jan Zielonka ed Ivan Krastev, che le politiche monetariste hanno prodotto sovranismi e reazioni populistiche e devono evolvere verso un insieme di misure maggiormente equilibrate ed in grado di proteggere la coesione sociale. L’economia sociale di mercato deve essere reinterpretata mettendo l’accento sull’aggettivo “sociale” ma senza deflettere dalla logica di mercato in favore di pianificazioni antistoriche ed illiberali.


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