Ricordo di Giuseppe Guarino

Il 17 aprile 2020 è venuto a mancare Giuseppe Guarino. Di intelligenza straordinaria e di rara umanità, Maestro di diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto pubblico dell’economia, il suo insegnamento ha profondamente influenzato generazioni di studiosi.
Giuseppe Guarino ha sempre rifiutato l’idea che lo studio del giurista si possa arrestare al dettato delle norme. Altri elementi, accanto alle norme, sono costitutivi dell’esperienza giuridica: la struttura sociale, le forze politiche, gli interessi di parte e tutto ciò che egli indicava con il termine comprensivo di “fatto”. Anche il “fatto” deve entrare nell’indagine dell’interprete perché la scienza giuridica possa assolvere al suo compito più alto. Vivissima era nel Maestro la consapevolezza del ruolo e quindi della responsabilità fondamentale del giurista e specie dello studioso di diritto pubblico. Un argomento, questo, sul quale ha insistito fin nei suoi ultimi scritti, ma che è pienamente sviluppato già nel suo primo e fondamentale studio sullo scioglimento delle assemblee parlamentari. La postfazione al volume, nella quale pienamente sviluppa i concetti sopra sommariamente accennati, appare quasi un manifesto al quale Giuseppe Guarino è rimasto coerente per tutto l’arco della sua lunga vita di studioso. L’omaggio migliore che gli si possa tributare è riportare alcuni brevi passi di quelle dense ed attualissime pagine [1] .
“La mobilità e la complessità dei rapporti impongono al diritto costituzionale il compito nuovo di sottoporre la struttura sociale ad una indagine sistematica. Esso non è in grado di porre norme, o di controllare e prevedere gli effetti di quelle poste dal legislatore, sulla base di una conoscenza puramente intuitiva (….): per raggiungere questi fini deve invece svolgere indagini specializzate. E queste non sono per la scienza del diritto costituzionale facoltative o secondarie, devono anzi essere il suo oggetto essenziale, perché gli effetti delle norme sono più gravidi di conseguenze e possono coinvolgere l’intero destino dell’ordinamento. Non solo, ma la scienza qui compie un lavoro che nessun altro soggetto è in grado di compiere. (…) In materia costituzionale la complessità delle situazioni fa sì che nemmeno del senso acuto degli uomini politici preposti alla formulazione delle norme ci si possa fidare e sono infiniti gli esempi di norme con le quali si credeva di raggiungere un determinato fine e che hanno prodotto, invece, risultati completamente opposti. A questi fallimenti e ai gravi danni da essa provocati la scienza non è estranea; essa, anzi, ne è pienamente responsabile se nulla ha fatto per evitarli, perché essa soltanto poteva offrire al legislatore riferimenti precisi sulla reale portata delle norme emanate.
La scienza del diritto costituzionale deve, dunque, sottoporre il fatto ad una indagine sistematica per trarne delle norme. Per far ciò essa ha bisogno di un criterio di orientamento, perché la realtà da sola non offre delle norme e la scienza giuridica non vuole fare della storia, della sociologia o della statistica. Bisogna, quindi, che la scienza si munisca di principi, che le forniscano un punto d’appoggio nell’indagine.
La scienza del diritto costituzionale svolge due separate indagini, tra di loro assolutamente distinte quanto ad oggetto ed a metodo.
Con la prima, da qualificarsi interpretativa, la scienza studia le norme positive di un ordinamento. Di questo tipo di indagine non ci si è preoccupati nelle pagine che precedono e si vuole lasciare qui indiscusso se esso possa e fino a qual punto prestare attenzione al fatto come mezzo ausiliario per la conoscenza delle norme.
Con la seconda la scienza parte dal fatto per creare norme ed istituti. Questa è la funzione più alta e più piena di responsabilità della scienza: qui essa fa della alta giurisprudenza, della giurisprudenza costruttiva; e tutto ciò in modestia, avendo coscienza di non formulare verità eterne o principi universali, e che anzi i frutti del suo paziente lavoro hanno vita breve, sono destinati a cadere con il mutare della struttura sociale o delle forze politiche. La scienza giuridica è vera ancella della politica, ma ha la propria dignità e completa autonomia, sa di essere insostituibile nella sua funzione e che questa è, perciò, una missione.
(….) Per ciò che concerne in concreto lo studio della realtà sociale una verità di per sé stessa evidente, che è stata confermata dalle indagini svolte, è che l’esperienza giuridica si compone di elementi che non sono sullo stesso piano. L’osservazione, comune a tutta la dottrina, che nell’ordine normativo esiste la priorità di alcuni elementi su altri, ha validità generale per tutta l’esperienza giuridica. Gli elementi sociali, come i vari istituti positivi, si trovano disposti su gradini diversi, alcuni essenziali, collocati più in basso, e che influiscono sulla struttura degli altri, e necessari per conoscere quella struttura; altri in posizione più elevata, che hanno minore influenza sulla posizione dei sottostanti, e la cui presenza ha un valore limitato e può, in alcuni casi, essere anche indifferente.
L’esperienza giuridica appare perciò non piatta e incolore, ma secondo una solida architettura dalle grandi fondamenta e dai robusti pilastri. Gli elementi fondamentali, normativi o genericamente sociali, agiscono come principi ordinatori del tutto e sono immanenti nella struttura obiettiva dell’istituzione, ma esercitano un’influenza di fatto e non hanno efficacia normativa perché non costituiscono un sollen. Dal loro complesso sgorgano delle esigenze fondamentali, alle quali la vita concreta dell’ordinamento deve corrispondere, se vuol preservare la sua sussistenza nel tempo.
Dove è possibile tali elementi adeguano essi stessi naturalmente al loro “spirito” l’insieme degli istituti, ed un esempio in tal senso è offerto dall’Inghilterra, dove la modificazione degli elementi strutturali dell’ordinamento ha imposto una modificazione corrispondente al sistema giuridico. Questa trasformazione, che pure è stata radicale, è avvenuta senza scosse, facilitata dal carattere non rigido delle fonti. Altrove, quest’opera di adeguamento naturale non è possibile o perché le norme giuridiche appartengono a fonti di carattere meno flessibile o perché il contrasto di queste con i principi è troppo netto. L’ordinamento viene allora sottoposto a dura prova, si inceppa nel funzionamento, e la disarmonia fra i suoi elementi può anche produrre la catastrofe. La forza degli elementi primordiali, in altri termini, per servirsi di un’immagine già da altri adoperata, è uguale a quella delle acque di un fiume che, se incontrano ostacoli nel loro letto originario, sono costrette ad abbandonarlo per crearsi un’altra via e sboccare al mare, secondo il loro destino.
Data questa struttura della realtà il primo compito che la scienza del diritto costituzionale deve proporsi, nella ricerca di nuove norme o nella valutazione di quelle esistenti, è di individuare gli elementi che sono fondamentali nella determinata società e di graduare esattamente l’importanza di ogni elemento (e quindi anche di ogni istituto) rispetto agli altri
”.

Note

1.  Tutti i brani di seguito riportati sono tratti da G. GUARINO, lo scioglimento delle assemblee parlamentari, Napoli, 1948 (rist. 1990), 235 ss.