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Appalti e Innovazione. Un Dialogo Incompiuto. – Semplificazione, non de-regolazione, sfruttando appieno tutti gli strumenti disponibili

di e - 16 Giugno 2020
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I. – Il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recante l’attuale Codice dei contratti pubblici, ha solo quattro anni, ma è stato più volte modificato ed integrato. Additato fra le principali cause del blocco delle commesse pubbliche, le sollecitazioni ad una sua ulteriore e radicale modifica si sono fatte più pressanti in questi ultimi mesi, allo scopo di facilitare gli investimenti pubblici, che rappresentano una potente leva per il rilancio del Paese nella gestione del post Covid-19.
Perché ciò possa accadere, appare indispensabile allentare i mille lacci e lacciuoli, che da troppo tempo frenano gli investimenti pubblici. Il problema si pone innanzitutto per i lavori, dove i tempi richiesti dalla decisione sulle opere, dalla programmazione, dallo sviluppo di tre livelli di progettazione, dalle procedure per l’approvazione del progetto ed il rilascio dei vari permessi richiesti, nonché dalla necessità di assicurare il finanziamento dell’opera, fanno sì che un decennio possa non bastare per vedere i risultati. In realtà, secondo i dati recentemente diffusi dall’ANCE, la gestione di progetti di un certo rilievo, ad esempio per le infrastrutture, sembra molto più lunga e può richiedere fino a 18 anni. Anche i settori di servizi e forniture, dove pure la realizzazione si misura in tempi certamente inferiori, non sono esenti da difficoltà: carenze di programmazione e scarsa conoscenza del mercato, assenza di una adeguata progettazione, frequente impreparazione delle amministrazioni nella gestione delle procedure e nel cambiare appaltatore alla scadenza del contratto, rapida obsolescenza degli acquisti, sono fra gli elementi che più contribuiscono ad alimentare criticità.
Testimoni dell’attuale deterioramento del sistema sono la diffidenza che impronta i rapporti delle stazioni appaltanti nei confronti degli operatori economici e, viceversa, la scarsa fiducia che questi ultimi ripongono nella capacità di gestione delle amministrazioni.
Per ovviarvi, da più parti si prospetta la necessità di superare gli ostacoli caratterizzanti le procedure ordinarie, adottando, sulla spinta dell’attuale situazione di emergenza, paradigmi derogatori a diversi livelli: semplificazione amministrativa, nomina di commissari straordinari dotati di particolari poteri, maggiore flessibilità delle procedure – intesa come possibilità di fare acquisti senza i vincoli della gara europea -, sino ad arrivare alla ‘sospensione’ dell’attuale codice per consentire una ‘applicazione diretta’ delle direttive comunitarie, aventi ad oggetto la disciplina degli appalti pubblici nei settori ordinari, nei settori speciali nonché delle concessioni (direttive 2014/23/UE, sulle concessioni; 2014/24/UE, sugli appalti nei settori ordinari; 2014/25/UE, sugli appalti nei settori speciali).
Spesso la critica all’attuale sistema è così radicale che si auspica una ‘de-regolazione’, all’insegna della massima flessibilità nell’organizzazione dell’appalto secondo quanto si ritiene preferibile per quell’acquisto e in quel momento.
Ovviamente, in un paese appesantito da un profluvio di leggi, decreti, e regolamenti, la deregulation rappresenta una sorta di chimera e può esercitare un fascino irresistibile.
Peraltro, il nostro Paese non è nuovo all’esperienza di una normativa che valorizzi l’emergenza per superare, attraverso procedure in deroga, le criticità del sistema ordinario. Basti ricordare la superfetazione degli strumenti introdotti dalla vecchia legge sulla protezione civile del 1992, che ha caratterizzato i primi anni di questo secolo provocando il moltiplicarsi delle dichiarazioni di emergenza, legate ai fattori più disparati: in materia di rifiuti, nel settore idrico ovvero per i c.d. grandi eventi. Le maglie della legge vennero dilatate per consentire l’accentra-mento del potere decisionale e di amministrazione attiva, semplificare le procedure – in particolare, l’esperimento di procedure di gara non vincolate al rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici -, e facilitare la disponibilità delle risorse necessarie.
Nonostante il Commissariamento di ampie porzioni del territorio nazionale, tuttavia, spesso i progetti non sono stati realizzati o hanno richiesto tempi consistentemente più lunghi, tanto che l’Italia è stata censurata in sede comunitaria con la (ripetuta) condanna da parte della Corte di Giustizia. Infine, il sistema approntato sulla base della legge del 1992 è stato sostanzialmente smantellato dopo qualche anno, a causa delle molte deviazioni che ne erano derivate.
In passato, sposare la logica dell’emergenza non ha garantito il raggiungimento dei risultati sperati. Perché ciò avvenga, occorre si crei un contesto favorevole al raggiungimento del risultato. Inoltre, e prioritariamente, è necessario fare chiarezza su quali siano i risultati che si intendono raggiungere.
Superata la prima fase di emergenza ‘imperativa’, volta a fronteggiare i bisogni impellenti dopo l’esplosione dell’epidemia, si afferma l’obiettivo di un rilancio del Paese, attraverso la valorizzazione degli investimenti e l’utilizzo della potente leva rappresentata dalla domanda pubblica.
Il raggiungimento di un simile ed ambizioso obiettivo necessita di una prospettiva che vada oltre l’attuale contingenza e di strumenti adeguati a tal fine.
Ci pare quantomeno dubbio che una sostanziale deregulation possa superare gli ostacoli che caratterizzano le procedure ordinarie: a maggior ragione, se a tale deregulation si arrivi attraverso una sospensione del Codice. Per quanto presenti fortissime lacune, carenze e contraddizioni, ed anche molte ridondanze nell’aver attratto materie che avrebbero dovuto essere regolate altrove (ad es., programmazione, ciclo del progetto, norme tecniche sulle costruzioni), il d.lgs. 50/2016 ha ormai una esperienza di applicazione di oltre tre anni, nell’arco dei quali si è visto un progressivo incremento delle procedure di gara.
Una sua sospensione oggi introdurrebbe un regime transitorio, che – in attesa del nuovo assetto regolatorio – rischierebbe di alimentare ulteriori incertezze e conflitti. Inoltre, ci pare una soluzione inidonea ad assicurare un contributo costruttivo al rilancio del Paese.
II. Gli appelli a favore di una sostanziale sospensione del Codice concentrano l’attenzione soprattutto sui lavori pubblici e sembrano dimenticare i motivi strutturali della oramai lunga crisi del settore, che investono la pubblica amministrazione e lo specifico mondo delle costruzioni: questioni quali il processo decisionale, la struttura delle imprese di costruzione, l’alimentazione finanziaria dei lavori, i rapporti con le pianificazioni di area e di settore.
Sottendono inoltre una cronica sottovalutazione degli appalti di servizi e forniture, nonostante che in questi ultimi anni i due comparti abbiano sopravanzato, in termini di valore, quello dei lavori pubblici, acquisendo una rilevanza fondamentale dal punto di vista strategico.
Parimenti ignorati sembrano altresì i numerosi strumenti cui le direttive europee, approvate nel 2014, hanno affidato la modernizzazione della domanda pubblica. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità, per le stazioni appaltanti, di svolgere market test e di esperire procedure di gara scegliendo quella che più si adatta al bisogno di acquisto nel caso concreto: le direttive offrono modelli differenziati di procedure – oltre a quelle tradizionali e al dialogo competitivo, già presente nelle precedenti direttive –, caratterizzate da gradi diversi di discrezionalità e flessibilità nelle negoziazioni e volte ad un graduale affinamento della domanda nel corso della procedura, grazie al dialogo fra stazione appaltante e operatori partecipanti alla procedura. Queste procedure sono poco o nulla utilizzate nel nostro sistema.
Si noti che il problema della sottovalutazione riguarda non solo il D.lgs. 50/2016 – che, al di fuori dell’appalto di lavori, trascura completamente la dimensione progettuale -, ma altresì l’emanando Regolamento attuativo del Codice. Le bozze che sono state diffuse dedicano alla disciplina degli appalti di servizi e forniture pochi articoli – ma questo non sarebbe di per sé un difetto – di contenuto esclusivamente formale; per quanto ci consta, inoltre, non spendono nemmeno una parola sulle procedure diverse da quelle tradizionali.
In questo modo, si trascurano elementi che potrebbero rappresentare la vera leva per valorizzare il settore – anche nel mondo delle costruzioni – a seguito di ricerche di base ed applicate, e con essi gli strumenti amministrativi che sarebbero utilizzabili, ma che, purtroppo sono poco utilizzati da una amministrazione che non li conosce o è impaurita nell’usarli.

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