Breve Storia ed Attualità delle Zone Economiche Speciali in Cina

Quello della Zona Economica Speciale (经济特区 – jingjitequ) è un fenomeno da tempo associato allo sviluppo economico della Repubblica Popolare Cinese nell’era delle riforme, a partire dai primi anni ottanta del secolo scorso.
Nell’immaginario collettivo, le ZES riportano alla mente la repentina trasformazione dei paesaggi urbani di città quali Shenzhen, passata, in un trentennio, dall’essere un villaggio di pescatori di trentamila anime ad un hub commerciale di profilo internazionale, sede di giganti dell’economia globali, tra i quali Tencent e Huawei.
Nella monumentalità dei loro risultati, le zone speciali cinesi marcano la peculiarità che le contraddistingue. Di zone speciali e zone franche, motori di attrazione degli investimenti, è piena la storia, sin da quando l’isola di Delo fu designata porto franco dalle autorità romane nel 166 a.C[1]. Sono moltissimi oggi i paesi di tutto il globo che hanno riservato a specifiche aree del proprio territorio nazionale misure fiscali e doganali di favore a fini promozionali. Erano, tradizionalmente, isole o zone di confine a candidarsi ad assumere questa “specialità”, come è accaduto anche in Italia, con i comuni di Livigno o di Campione.
La stessa Cina, sconfitta nella prima guerra dell’oppio (1839-1842) e costretta ad aprire l’umiliante stagione dei c.d. “trattati ineguali”, cedette Hong Kong alla corona britannica, la quale ne fece un porto speciale, dalla quasi imposta vocazione internazionale[2].
Le ZES cinesi dell’era delle riforme sono state e sono tutt’ora molto più che semplici aree per l’attrazione degli investimenti. Luoghi come Shenzhen e Zhuhai hanno simboleggiato la reinvenzione di un modello di sviluppo socio-economico attraverso un costante processo di sperimentazione di soluzioni originali di governance, che dalle zone speciali, ove testate positivamente, sono poi state diffuse nell’intera Cina[3].
Tra gli esempi più recenti e significativi, quello del regime degli investimenti esteri: sin dalla sua istituzione nel 2013 la Shanghai Free Trade Zone implementò un modello di regolazione degli investimenti basato su di una c.d. «lista negativa», ossia un elenco degli investimenti proibiti o limitati, e non più, come in passato, su di una lista positiva, che specificasse invece gli investimenti consentiti. Dopo un quinquennio di sperimentazione, dal 2018 questo modello è stato esteso a tutto il territorio della Cina continentale (ad esclusione di Hong Kong e Macao), pur in una versione leggermente più restrittiva rispetto a quella in vigore nelle zone speciali.
Questo esempio proietta, temporalmente, ben oltre l’avvio delle riforme un quarantennio fa ed impone di distinguere le fasi che hanno caratterizzato, negli scorsi decenni, lo sviluppo e l’evoluzione delle zone speciali in Cina. Le zone di più recente creazione e risonanza mediatica, come quella di Shanghai nel 2013 o la recentissima Hainan Free Trade Zone del 2018, appartengono infatti alla «terza generazione» di ZES, ben diverse dalle loro progenitrici in quanto a scopo e disciplina.
La prima generazione di ZES conobbe il suo apogeo tra l’avvio delle riforme ed il 1992-1993. Si trattava di vere e proprie «isole» di mercato nell’oceano della pianificazione che ancora all’epoca funzionava su meccanismi fortemente dirigistici e burocratizzati, di impronta sovietica[4].
La provincia del Guangdong fu scelta per ospitare delle zone speciali che potessero da un lato incamerare investimenti stranieri e dall’altro consentire la sperimentazione di elementi capitalistici nella gestione dell’impresa e delle transazioni commerciali. Non è un caso che due delle prime ZES, Shenzhen e Zhuhai, siano città di confine con, rispettivamente, Hong Kong (allora colonia britannica) e Macao (allora colonia portoghese)[5].
Queste prime ZES funzionavano, a tutti gli effetti, senza una disciplina specifica che le riguardasse e ne specificasse scopo, organizzazione e poteri. Esse erano definite «per sottrazione», nel senso che al loro interno non si applicavano tutte quelle regole di diritto economico connesse al funzionamento della pianificazione. La definizione «in positivo» del diritto di queste ZES era rimessa a valutazioni prese, caso per caso, dalle autorità competenti, in primo luogo dalle autorità della provincia in cui la zona si trovava[6]. Un regolamento sulle ZES del Guangdong approvato dal Congresso Nazionale del Popolo nel 1980, oltre a demandare agli appositi organi provinciali la gestione operativa delle zone, definiva un regime preferenziale di base, introducendo ad esempi aliquote ridotte sui redditi d’impresa, la possibilità di costituire imprese a capitale interamente privato e la possibilità di aprire conti bancari su cui effettuare movimenti in valuta straniera. In questi ultimi due casi era richiesta la previa approvazione, rispettivamente, dell’autorità amministrativa competente e dell’istituto di credito (nella fattispecie, la Bank of China)[7].
Per il resto, gli affari correnti della ZES e nella ZES sottostavano a regole incerte. Formalmente, le zone speciali non godevano di alcuna autonomia legislativa, ma di fatto si tollerava che la ZES emanasse regole proprie sia di implementazione alla normativa generale predisposta dalla provincia, sia al fine di riempire i veri e propri vuoti di legislazione causati dalla disapplicazione delle regole della pianificazione[8].
La ZES, quale istituzione economica, era una parte fondamentale del discorso politico del Partito Comunista Cinese, l’avanguardia di una nuova strategia di sviluppo. Per tutti gli anni ottanta del novecento, le ZES cinesi divennero una componente fondamentale dell’economia cinese, non tanto per la loro diffusione (rimasero in numero tutto sommato esiguo) quanto per la loro capacità di veicolare imponenti riforme che progressivamente scardinarono gli schemi della vecchia pianificazione. Ad un regime di operatività più liberista si affiancarono quindi costanti misure di supporto pubblico in termini economici e finanziari. Le imprese che operavano nelle ZES acquisirono, per forza di cose, una rilevanza strategica e per questo godevano di esenzioni e sconti fiscali, di sussidi, di facile credito fornito dalle banche in mano pubblica[9].
Nel 1988 il governo di Pechino si decise a designare l’intera isola di Hainan zona economica speciale, concedendole contemporaneamente lo status di provincia ed accordandole i conseguenti poteri regolatori[10]. Fu il culmine del percorso avviato un decennio prima, ma in qualche modo fu anche un punto di non ritorno. L’economia socialista di mercato, strutturata proprio a partire dalle soluzioni adottate nelle ZES, si stava ormai affermando come una dottrina di sviluppo organica, adatta a funzionare in tutta la Cina. Ci vollero ancora quattro anni perché il socialismo di mercato sostituisse l’economia pianificata quale modello economico «ufficiale» della Repubblica Popolare Cinese e nello stesso anno (il 1992) alle autorità municipali di Shenzhen fu accordata finalmente una formale autonomia legislativa[11].
Più che la prosecuzione o l’avanzamento di un ciclo, tuttavia, questo passaggio rappresentò piuttosto l’apertura di una stagione nuova. Le «vecchie» ZES non vennero affatto meno, ma l’attenzione della leadership politica doveva concentrarsi ora sulla costruzione del mercato nel resto della Cina. Shenzhen poteva essere (come è infatti stata ed è ancora) un volano della crescita e dell’innovazione cinese, ma la capacità innovativa delle sue sperimentazioni economiche si era in qualche modo attenuata. La «bontà» delle soluzioni costruite dalle ZES era stata ormai compresa e non necessitava di ulteriori legittimazioni pratiche.

Dopo una leggera battuta d’arresto a seguito degli incidenti di Piazza Tienanmen, il c.d. «Tour del Sud» di Deng Xiaoping – che nel 1992 visitò proprio quelle zone speciali nate su suo impulso – riaffermò definitivamente il cammino delle riforme. Il modello delle zone speciali si rese subito utile alle nuove esigenze dello sviluppo cinese, ma fu opportunamente riadattato. Fiorì così una seconda generazione di ZES, fondata su una decisa diversificazione degli obbiettivi perseguiti. Le «onnicomprensive» zone speciali furono così affiancate dalle zone per l’esportazione, dalle zone di sviluppo tecnologico, dalle zone di sviluppo regionale e così via[12]. Si tratta di zone che, al di là dello specifico focus, condividono una caratteristica: quella di essere rivolte al potenziamento dello sviluppo di determinate regioni o settori dell’economia domestica, piuttosto che alla sperimentazione di nuovi modelli di governance economica. Qui, la «specialità» consiste in larga parte nelle misure di sostegno economico e finanziario concesse a favore delle imprese che vi si stabiliscono. Oggi, il loro numero è difficilmente quantificabile, ma è nell’ordine (almeno) delle centinaia. Ve ne sono di diversi tipi: le zone di sviluppo tecnologico sono tra le più diffuse e si fondano su schemi di sostegno alle imprese che operano ed investono in settori ad alto grado di innovatività. Per quanto più integrate nella struttura amministrativa di quanto non lo fossero le prime ZES degli anni 1980, queste ZES «domestiche» tendono comunque ad organizzarsi come unità distinte e dotate di propri organi, non solo amministrativi ma anche giudiziari, come sistemi di tribunali di primo grado[13].
E’ nel pieno di questa seconda generazione che la zona speciale viene progressivamente integrata nel sistema di diritto positivo della Repubblica Popolare Cinese. La Legge sulla Legislazione, promulgata nel 2000, introduce all’articolo 74 una disposizione di carattere generale che accorda ai parlamenti delle province o città in cui è sita una zona speciale di promulgare regolamenti da applicarsi entro la zona, previa una decisione di attribuzione di potere da parte del Consiglio di Stato. Queste decisioni, in uso sin dai primi anni delle riforme, sono in realtà enunciazioni piuttosto vaghe che di rado entrano nel merito delle specifiche disposizioni da adottare, al punto che qualche studioso cinese le ha definite «assegni in bianco»[14]. La Legge sulla Legislazione quindi perfeziona quel processo di formalizzazione dell’autonomia locale in merito alle ZES iniziata nel 1992 a Shenzhen.
A partire dagli anni duemila, però, la seconda generazione di ZES accompagna un altro cambiamento ancora più rilevante sul piano istituzionale, vale a dire la rivoluzione nei rapporti tra zone speciali e pianificazione. Le zone di prima generazione, come visto, erano pensate per funzionare al di fuori dei piani, per testare l’efficacia di elementi di libero mercato, svincolandosi dai rigidi schemi della pianificazione in stile sovietico. Negli anni duemila, però, si perfeziona anche un altro processo evolutivo, riguardante proprio le strutture della pianificazione cinese, che da rigida, verticale e dirigista diviene sempre più flessibile, coordinativa ed inclusiva, tesa alla direttiva più che all’obbiettivo numerico di piano e per questo più adatta a governare lo sviluppo di un’economia mista[15].
La zona speciale diventa pertanto uno strumento organizzativo per implementare le direttive di piano, per favorire il coordinamento tra operatori economici sostenuti (e sussidiati) sulla base dei piani, per il fine ultimo dello sviluppo di determinate regioni o settori. E’ un cambio di paradigma abbastanza rilevante: la ZES «rientra» nell’alveo della pianificazione e si subordina ad essa. I piani, dal canto loro, iniziano ad occuparsi sempre più spesso di zone. Il tredicesimo (ed attuale) piano quinquennale menziona ben quattordici progetti per la costruzione di zone pilota e zone sperimentali e dedica le sezioni 1 e 2 del capitolo 42 alla costruzione di «zone funzionali» per la sperimentazione di nuovi modelli di governance ambientale.
L’integrazione delle ZES nel tessuto del diritto economico cinese potrebbe dirsi quindi completa, e con riferimento a questa seconda generazione di zone certamente lo è. D’altro canto, lo stesso sistema del diritto economico cinese vive una crescente tensione dovuta al confronto con gli standard del diritto del commercio internazionale, a seguito dell’ingresso della Cina nell’OMC (2001) ma soprattutto della crescita delle controversie sorte, in seno all’Organizzazione stessa, con riferimento alle estensive politiche di sussidi praticate dal governo cinese, fra le quali rientrano gli schemi preferenziali applicati alle ZES[16]. Di per sé, l’Accordo dell’OMC sui Sussidi e le Misure Equivalenti non menziona le ZES e non fa quindi distinzioni tra politiche preferenziali applicate fuori e dentro le zone.
Nel Protocollo di ammissione della Cina all’OMC erano elencate una serie di misure preferenziali riservate alle «vecchie» ZES istituite negli anni 1980, fra cui Shenzhen, Pudong, Zhuhai, Hainan. Al contempo, la Cina s’impegnava a comunicare alle autorità internazionali qualsiasi nuovo schema preferenziale adottato. In pratica, dal 2001 a questa parte la specialità delle ZES di prima generazione, sotto il profilo delle misure preferenziali, si è andata esaurendo. La parziale autonomia legislativa consente certo di introdurre in queste ZES procedure di semplificazione burocratica, ma i pacchetti di sussidi ed incentivi fiscali sono stati progressivamente smantellati[17]. Rimane in piedi, ancora valida per tutte le ZES, un’esenzione fiscale di due anni seguita da una riduzione del 50% dell’aliquota per i successivi tre anni a beneficio delle imprese hi-tech stabilite entro i confini delle zone speciali[18].
Le ZES di seconda generazione, anche per la loro minore esposizione mediatica e la loro proiezione tutta interna, sono certamente meno rapide nel rinunciare a quelle stesse misure preferenziali che ne hanno fatto la fortuna ed ancora oggi posso contare su pacchetti di sussidi o politiche creditizie più lasche per le imprese che vi operano[19].
La risposta più significativa alle pressioni dell’ordine economico internazionale sulle ZES cinesi è stata però un’altra, vale a dire la teorizzazione di un nuovo e più moderno modello di zona speciale, una zona di terza generazione: la zona di libero commercio (自由贸易区 – ziyoumaoyiqu). Ancora una volta, il nome non deve trarre in inganno: di zone di libero scambio o commercio ne esistono numerosissime anche fuori dalla Cina e sono ben note. Il modello cinese della zona di libero scambio, o meglio, della Pilot Free Trade Zone, si pone però in continuità con il percorso evolutivo delle ZES.
E’ di questa categoria che fanno parte la Shanghai Pilot Free Trade Zone, salutata con un certo clamore mediatico nel 2013, e la recente Hainan Pilot Free Trade Zone, che copre l’intero territorio della provincia di Hainan e sostituisce completamente la «vecchia» ZES del 1988.
Strutturalmente, queste nuove zone non differiscono da quelle precedenti: sono (perlomeno formalmente) le autorità provinciali e municipali a detenere potere legislativo nei confronti della ZES[20]. Al tempo stesso, la Legge sulla Legislazione come riformata nel 2015 intende chiaramente canalizzare questa autonomia locale entro una generale competenza di autorizzazione e coordinamento da parte del governo centrale. Lo confermano due disposizioni di nuovo conio: l’Art. 13 che consente, in via generale, al Congresso Nazionale del Popolo di sospendere o calibrare l’applicazione a livello locale di norme giuridiche per rispondere ad esigenze di sviluppo e di riforma. L’Art. 98 (5) prevede invece un obbligo di report da parte delle autorità di gestione della ZES a quelle centrali indicate nella decisione di attribuzione del potere di cui all’Art. 74 della medesima legge. In particolare, si prevede che le autorità locali forniscano spiegazioni in merito al grado di specificazione o di deroga che la legislazione della ZES introduce rispetto alla normativa generale.

Le due disposizioni, lette in coordinamento, indicano chiaramente come lo scopo delle ZES cinesi sia sempre meno una avventurosa sperimentazione di modelli economici alternativi e sempre più una programmata regolamentazione di spazi di libero mercato. Ancora, le nuove Pilot Free Trade Zones sono sempre più funzionali a favorire non solo l’ingresso di investimenti stranieri ma anche e soprattutto l’internazionalizzazione delle imprese cinesi. E’ la lettura dei documenti a convincere di quanto detto.
In primo luogo, le ZES di terza generazione sono costituite sulla base di precisi piani di sviluppo che ne indicano l’oggetto e gli scopi. Questi piani collocano le zone speciali in una decisa prospettiva transnazionale, con l’obbiettivo dichiarato di renderle punti d’aggregazione multiculturali ove le transazioni commerciali siano regolate da una legislazione comprensiva della zona stessa, adeguata agli standard del diritto internazionale dell’economia. Su singoli settori dell’economia si concentrano poi interventi mirati da parte di ciascuna ZES. Così, la disciplina giuridica della Hainan Pilot Free Trade Zone ha previsto la possibilità di scambi di personale esperto in consulenza legale tra studi legali cinesi e stranieri con uffici di rappresentanza entro la ZES, in deroga non solo alla disciplina generale ma anche a quella speciale prevista dalla «lista negativa» per gli investimenti nelle Pilot Free Trade Zones[21]. Ancora, il piano-quadro della zona di Hainan prevede il supporto alla costituzione di sedi operative di compagnie di trasporto navale straniere[22], rassicurando gli operatori esteri su di un punto che invece la zona di Shanghai aveva approcciato in prospettiva più protezionistica, sollevando dubbi e proteste fra gli stakeholders[23].
Di assoluta rilevanza è poi l’attenzione riservata ad attività economiche strategiche per un’economia avanzata e volta all’internazionalizzazione, come il turismo. La volontà di rendere la ZES di Hainan un polo turistico internazionale è stata dichiarata dalle autorità cinesi, che vogliono far leva sulla tradizionale attrattività paesaggistica dell’isola di Hainan, già meta di un consistente turismo interno. Il primo passo verso l’obbiettivo è una decisa promozione verso lo stabilirsi di agenzie turistiche anche a capitale interamente straniero, le quali sono ammesse a richiedere autorizzazione per l’esercizio di attività turistiche verso l’esterno[24].
Si tratta, come è evidente, di numerose disposizioni che messe a sistema rendono l’idea di una zona speciale di carattere più avanzato rispetto al passato. Si pone anche qui, al di là delle proclamazioni di principio, il problema concreto del rispetto degli standard del commercio internazionale e di una generale «neutralità della concorrenza» (竞争中立 – jingzhengzhongli), concetto quasi per scontato nelle ideologie liberali dell’antitrust ma che nel contesto cinese va posto in relazione dialettica con un apparato di regole che esplicitamente protegge e promuove il ruolo di imprese ritenute strategiche per l’economia nazionale, oltre che con un sistema di pianificazione per lo sviluppo molto ramificato e ancora in gran parte fondato su erogazione di sussidi[25].
Le ZES di terza generazione, come quella la Pilot Free Trade Zone di Hainan, non prevedono, formalmente, schemi promozionali né sussidi specifici. Certo, in via generale la loro «specialità» implicherebbe l’applicazione dei benefici fiscali previsti dalla normativa generale. Inoltre, l’assenza di benefici derivanti dalla legislazione della zona non esclude che le imprese cinesi che vi investano possano godere di posizioni di vantaggio in virtù delle operazioni svolte in Cina al di fuori della ZES. Si pensi soltanto alle numerose imprese di stato che hanno investito nella costruzione delle infrastrutture della ZES di Hainan e che, in quanto operanti in settori strategici dell’economia pubblica (l’energia su tutti) godono di un regime differenziato di applicazione delle regole antitrust.
Il quadro è pertanto molto fluido e la dialettica tra regole della ZES e standard internazionali è ancora problematico. Alcuni primi sviluppi pratici suggeriscono un’attenzione delle autorità non solo amministrative ma anche giudiziarie alla protezione avanzata di diritti sensibili ai fini della neutralità concorrenziale, come quelli di proprietà intellettuale, che una recente decisione della Corte Intermedia della città di Sanya ha definito come essenziali per la costruzione e lo sviluppo del mercato della ZES, anche in virtù di ciò modulando il risarcimento dovuto in sede civile dal responsabile della loro violazione[26].
Molte sono le variabili da tenere in considerazione. La distanza rispetto a modelli più tradizionali di zona speciale pare però evidente. E’, del resto, una conseguenza naturale dell’evoluzione dell’economia cinese e della sua proiezione internazionale.
Le ZES hanno accompagnato tutto il percorso delle riforme cinesi e continueranno a farlo. Modelli diversi hanno convissuto e continuano a convivere in un costante processo di stratificazione e diversificazione. Una nuova generazione di ZES non ha mai voluto dire la scomparsa della precedente, quanto piuttosto la presa d’atto che la nozione e la struttura della zona speciale potesse servire ad obbiettivi diversi nel corso del tempo. Dalla terza generazione di ZES si passerà perciò ad una quarta, come, in via embrionale, sta già accadendo a livello di dibattito scientifico: sono diversi infatti gli studiosi che vedono nel modello della ZES la naturale base di partenza per la costruzione della Greater Bay Area (大湾区 – dawanqu), un gigantesco triangolo industriale i cui vertici dovrebbero essere Guangzhou, Hong Kong e Macao[27]. Si tratta, ad ora, di pura teoria, per quanto la volontà politica dell’iniziativa sia abbastanza chiara. E’, tuttavia, un ulteriore esempio di come la ZES sia un’idea pienamente integrata nell’apparato socio-economico cinese.
Ripercorrere la storia delle ZES significa interrogarsi su un aspetto importante delle riforme economiche cinesi degli ultimi quattro decenni. Significa anche interrogarsi su come il socialismo con caratteristiche cinesi voglia confrontarsi con le crescenti pressioni del diritto internazionale dell’economia, pressioni dovute alla presenza della stessa Cina quale attore protagonista dell’OMC. L’attualità suggerisce ulteriori spunti di riflessione, come ad esempio i dubbi circa la possibilità di utilizzare le ZES proprio quale motore per la promozione di settori rimasti particolarmente colpiti dalla crisi da COVID-19, primo fra tutti il turismo, che pure, si è visto, è fra le priorità della Hainan Pilot Free Trade Zone.
La duttilità della ZES e la sua capacità di reagire sempre fruttuosamente alle esigenze che di volta in volta l’economia cinese nel suo complesso ha presentato la rendono un oggetto d’analisi particolarmente interessante, anche quale cartina di tornasole degli orientamenti del sistema-Cina.  

Note

1.  Sulla storia del «porto franco» di Delo v. M.Nocita, Scontri di Civiltà per il Mercato a Delo, in ὅρμος – Ricerche di Storia Antica, Vol. 6, 2014, 71-89.

2.  V. J.M.Carroll, A Concise History of Hong Kong, HKU Press, 2007.

3.  V. He Jiahua (何家华), 经济特区立法权继续存在的正当性论证 (The Continuing Existence and Legitimacy of the Power to Formulate Regulations and Rules for the Special Economic Zones), in Local Legislation Journal, Vol. 3(2), 2018, 72-83.

4.  Ibid.

5.  V. Tao Yitao, Special Economic Zones and China’s Path, in Yiming Yuan (edited by), Studies on China’s Special Economic Zones, Springer, Singapore, 2017; A.Fenwick, Evaluating China’s Special Economic Zones, in Berkeley Journal of International Law, Vol. 2(2), 1984, 376-397.

6.  V. Wang Chengyi (王成义), An Analysis on the Delegated Legislative Power in Shenzhen Special Economic Zone History, Theory and Practice (深圳经济特区立法权: 历史、学理和实践), in Local Legislation Journal, Vol. 4(1), 2019, 1-9.

7.  Per un’analisi del Regolamento v. S.Nishitateno, China’s Special Economic Zones: Experimental Units for Economic Reform, in The International and Comparative Law Quarterly, Vol. 32(1), 1983, 175-185; v. anche A.Fenwick, op. cit.

8.  V. Wang Chengyi, op. cit.

9.  V. G. Sabatino, Chinese Special Economic Zones and International Economic Law:Diversification, Expansion, Containmentand Circulation of a Cryptic Legal Model, in Transnational Dispute Management, 2020, in corso di pubblicazione (online advance publication nel Maggio 2020).

10.  V. Lin Yan (林彦), Review of the Special Economic Zones Legislation (经济特区立法再审视), in Strategies, Vol. 29(5), 2019, 179-186.

11.  V. Wang Chengyi, op. cit.

12.  V. A.Rinella, I.Piccinini (a cura di), La Costituzione Economica Cinese, il Mulino, Bologna, 2010, 158.

13.  Ho trascorso un anno e mezzo della ricerca tesi di dottorato presso la Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan, sita nella East-Lake Hi-Tech Development Zone. Proprio a poca distanza dal campus della ZUEL sorge il Tribunale della Zona Speciale.

14.  V. Huang Jinrong (黄金荣), The exercise of the special legislative rights of Special Economic Zones under the background of the construction of the Greater Bay Area (大湾区建设背景下 经济特区立法变通权的行使), in Journal of Law Application, Vol. 21, 2019, 66-76.

15.  V. S.Heilmann, O.Melton, The reinvention of Development planning in China, 1993-2012, in Modern China, Vol. 39(6), 2013, 580-628; G.Sabatino, Legal Features of Chinese Economic Planning, in I.Castellucci, Saggi di Diritto Economico e Commerciale Cinese, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, 33-78.

16.  V. S. Shadikhodjaev, SEZs under the WTO’s Scrutiny: Defining the Scope of Trade Issues, in J. Chaisse, J.Hu (a cura di), International Economic Law and the Challenges of Free Zones, Kluwer Law International, Alphen aan den Rijn, 2019, 213-231.

17.  V. Huang Jinrong, op. cit.

18.  Measures for the Handling of Matters concerning Preferential Enterprise Income Tax Policies (国家税务总局关于发布修订后的《企业所得税优惠政策事项办理办法》的公告), emanate nel 2018, spec. v. n. 38 dell’Allegato.

19.  V. G. Sabatino, Chinese Special Economic Zones and International Economic Law, cit.

20.  V. Research Group of Shanghai Pudong New District People’s Court, Rule of Law Framework for Free Trade Port Construction with Chinese Characteristics: Goals and Paths (中国特色自由贸易港建设的法治框架: 目标与路径), in Journal of Law Application, Vol. 17, 2019, 3-17.

21.  Notice of the Trial Implementation in Hainan PFTZ of the Policies Implemented in Other Pilot Free Trade Zones, Par. 10.

22.  Framework Plan for the Hainan Pilot Free Trade Zone, Par. 13.

23.  V. Zhang Yaoyuan (张耀元), A Study on the Coastal Pilot Policy in Free Trade Zone and Legal Issues of WTO Most-Favoured-Nation Treatment (自贸区沿海捎带政策与 WTO 最惠国待遇法律问题研究), in南海法学 (nanhaifaxue), Vol. 12(6), 2018, 63-72.

24.  Framework Plan, Par. 12.

25.  V. Sun Jin, Xu Zelin (孙晋, 徐则林), The Legal Realization of Competition Neutrality in Chinese Free Trade Ports (竞争中立在中国自由贸易港的法律实现), in Journal of Law Application, Vol. 17, 2019, 26-35.

26.  Decisione n. 108 del 2019.

27.  V. Huang Jinrong, op. cit.