Cina e Covid-19
Bisogna comunque tenere presente che gli ospiti intermedi potrebbero anche essere altri. Non si può nemmeno escludere che il virus sia arrivato a Wuhan da qualche altra parte. Dopo tutto nel mercato di Wuhan andavano persone che venivano da ogni parte della Cina. E non si può nemmeno escludere che un ospite intermedio non ci sia stato cioè che il virus sia passato direttamente da un pipistrello a un uomo.
Questa ipotesi è avanzata in una intervista (Boezi, 2020) da David Quammen, autore del libro Spillover (Quammen, 2014), diventato famoso perché aveva preannunciato lo scoppio di una epidemia globale derivante da contagio da parte di animali selvatici.
Quammen ricorda che dei primi 41 pazienti di Covid-19 documentati dall’articolo su Lancet del 24 gennaio, 27 avevano avuto contatti con il mercato del pesce di Wuhan, ma non gli altri 14 e si chiede dove e come erano stati contagiati gli altri casi.
E avanza l’ipotesi che qualcuno, magari un cacciatore, potrebbe aver catturato un pipistrello in campagna, portandolo poi nella città in casa in una gabbia. La moglie del cacciatore potrebbe essersi ammalata per un contatto con il pipistrello senza mai essersi avvicinata al mercato.
Ma si è fatta strada anche un’altra teoria, di tipo “cospirativo”, ed è che il Sars-Cov-2 sia in qualche modo connesso con la ricerca virologica in Cina, tenendo conto che proprio nel Wuhan Institute of Virology si è fatta e si sta facendo molta ricerca sui coronavirus e sulla loro possibilità di diffusione attraverso gli animali.
Si cita il fatto che nel 2017 il Wuhan Institute of Virology ha aperto un laboratorio nel quale si fa ricerca sui patogeni più dannosi e sul potenziale di trasferimento agli umani di virus che circolano tra i pipistrelli.
Può sempre succedere che i virus ottenuti come risultato di queste ricerche sfuggano accidentalmente.
Ma in un articolo pubblicato su Nature Medicine nel marzo di quest’anno (Andersen, 2020) un gruppo di cinque tra i migliori studiosi di evoluzione virale ha esaminato il genoma di questo virus analizzando proprio la possibilità di una origine in laboratorio del Covid-19, concludendo contro questa possibilità.
Uno studio ulteriore appena pubblicato su Current Biology (Hong Zhou e altri, 2020) riporta la scoperta di un nuovo coronavirus in pipistrelli cinesi nello Yunnan, a quasi duemila chilometri di distanza da Wuhan, con caratteristiche molto simili a quelle di Sars-Cov-2.
Il nuovo coronavirus condivide per il 93,3% l’identità dei nucleotidi con Sars-Cov-2, ma l’identità sale al 97,2% per uno specifico gene. Ci sono poi forti somiglianze nella cosiddetta proteina spike che avvolge il nucleo e che serve al virus per il suo attacco alle cellule ospiti.
Secondo gli autori dell’articolo, la loro ricerca non solo conferma che i pipistrelli sono un importante ospite serbatoio naturale per i coronavirus, nel quale si trovano i parenti più prossimi del Sars-Cov-2, ma che mutazioni come quelle nella proteina spike che sembravano essere possibili solo come risultato di ricerche in laboratorio, avvengono invece in natura nella fauna selvatica.
Questo è un ulteriore segnale che Sars-Cov-2 non sia stato creato in un laboratorio.
Ma lo studio indica anche che molto deve essere ancora fatto per trovare il progenitore di Sars-Cov-2
Comunque, fino a che non si è sicuri di avere delle prove che smentiscano definitivamente la possibilità che, magari per un errore o una svista, uno dei virus ai quali la ricerca effettuata ha portato sia stato proprio Sars-Cov- 2, è difficile spazzare via questa ipotesi.
E proprio questa ipotesi è diventata una tesi nelle accuse fatte dagli Stati Uniti contro la Cina.
Le difficili prospettive di una cooperazione internazionale.
Questo è solo un segno del pericolo che l’epidemia di Covid-19 venga utilizzata come strumento di scontro geopolitico piuttosto che di una invece necessaria collaborazione internazionale.
Si invoca da più parti la necessità e l’urgenza di una cooperazione internazionale per combatterla, per trovare le cure più adatte, per arrivare alla individuazione di un vaccino, per agire affinché una nuova pandemia magari anche più distruttiva di questa si ripeta.
Ma invece che avere la necessaria priorità scientifica, il problema sta sempre più diventando un problema geopolitico. E questo rischia di creare ulteriori divisioni in un modo già diviso dallo scontro tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia globale.
La Cina ha molte responsabilità. Non ci sono solo i ritardi, le intimidazioni, le incertezze, il modo con cui è stato attuato il lockdown, solo in parte riconosciuti; ci sono stati anche comportamenti da parte di autorità cinesi che sembravano fatti apposta per alimentare le reazioni che soprattutto negli Stati Uniti, non solo da parte del Presidente Trump, si sono scatenate contro la Cina.
Basta citare il caso del portavoce del Ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian che ha insinuato che poteva essere stato l’esercito americano a portare l’epidemia a Wuhan. Fortunatamente è stato smentito dall’ambasciatore delle Cina negli Stati Uniti Cui Tiankai che ha definito quelle insinuazioni una follia (Cunnigham, 2020).
Al di là di episodi come questi appare comunque evidente che la Cina ha un problema di ricostituire il ruolo di potenza responsabile e determinante nell’ordine geo-economico e geopolitico, ruolo che questa epidemia ha quanto meno scosso.
Secondo uno stile che gli è tipico Xi Jinping sta tentando di rilanciare la Cina come attore responsabile della collaborazione internazionale; come già è avvenuto negli anni recenti rimane aperta la questione se sia sincero o se la sua non sia altro che una applicazione di una logica del “soft power” che nasconde il rilancio di una prospettiva egemonica che ha trovato il suo punto di riferimento nella Belt and Road.
Gli Stati Uniti, non solo il loro presidente, non sembrano avere dubbi che la prospettiva egemonica sia prevalente.
Ma resta il fatto che a livello globale ci sono la necessità e l’urgenza di sviluppare strumenti diagnostici e terapeutici per contrastare il virus, di capire meglio la natura del virus, ad esempio la sua mutabilità, e di individuare un vaccino che sia efficace e sicuro.
A questo scopo il contributo della Cina può essere essenziale, per gli sforzi che ha fatto per trattare la malattia, e per quelli che sta facendo per capire meglio la natura del virus e trovare un vaccino.
I risultati delle ricerche dovrebbero essere diffusi e discussi dalla comunità scientifica internazionale, senza condizionamenti politici.
Così come sarebbe importante riconoscere il ruolo che la Cina può avere se viene coinvolta nello sforzo necessario per il rilancio dell’economia globale.
E ancora il contributo della Cina sarebbe necessario per creare le condizioni di sostenibilità ecologica globale necessaria per la prevenzione e comunque una minore diffusione delle epidemie.
Questo punto è di particolare importanza. È molto importante che continui la ricerca per arrivare a capire sempre meglio il meccanismo di spillover che ha portato negli umani Sars-Cov-2, e che questa ricerca sia fatta in modo trasparente e in collaborazione internazionale.
Ma ci sono anche altre cose che è necessario fare. Si sa che dietro la diffusione di molte epidemie, a anche di quest’ultima, c’è il commercio, spesso illegale, di animali selvatici vivi e di loro parti del corpo.
Il 60% delle malattie infettive sono zoonosi, ossia sono trasmesse da animali all’uomo, e il 72% di queste zoonosi originano da animali selvatici.
Il commercio illegale di specie selvatiche costituisce nel mondo il quarto mercato criminale più importanti e diffuso e genera profitti immensi, valutati dalle Nazioni Unite nell’ordine almeno di una decina di miliardi di dollari l’anno.
La recente decisione della Cina di vietare sul proprio territorio nazionale il commercio di animali vivi a scopo alimentare rappresenta una scelta importante e necessaria, ma ancora non sufficiente. Anche dopo la SARS il governo cinese aveva vietato questo commercio, salvo consentire che riprendesse dopo la scomparsa della malattia.