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Cina e Covid-19

di - 19 Maggio 2020
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Questo ha portato a un aumento consistente sia dei casi di persone contagiate, sia di quelle decedute.
I dati sulle persone decedute a Wuhan rivelati all’opinione pubblica internazionale sono aumentati di oltre il 50% rispetto a quelli inizialmente dichiarati.
L’incertezza e i ritardi nel periodo che è passato da quando i primi casi di Covid-19 si sono manifestati in Cina a quando si è arrivati al lockdown e i modi drastici, anche con un pesante intervento dell’esercito, con i quali questo stato attuato hanno finito spesso per mettere in secondo piano il pur evidente successo nel controllo dell’epidemia.

La fase di riapertura.
Nella fase di riapertura che la Cina ha imboccato dopo la caduta dei casi di Covid-19 ci sono molte imprese che si stanno riprendendo bene, applicando diverse misure per la riduzione del rischio per i lavoratori.
Ma ci sono anche segnali di incertezza rappresentati dalla persistente paralisi di settori come quello dei servizi e da un consumo di beni rispetto al quale le famiglie cinesi appaiono ancora riluttanti.
La Cina sembra avere sofferto di una caduta di quasi il 7% del PIL nel primo trimestre del 2020, e la strategia di riapertura adottata dal governo farebbe ritenere che alla fine dell’anno il tasso di crescita potrebbe assestarsi sull’1,2%.
Questo dato è confermato dall’ultimo World Economic Outlook del International Monetary Fund, che ottimisticamente prevede un tasso di crescita del 9,2% nel 2021.
I problemi strutturali che la Cina non ha ancora affrontato in modo adeguato peseranno sulla ripresa: il persistente elevato indebitamento, l’invecchiamento della popolazione, l’elevato tasso di disoccupazione che la epidemia ha determinato e che si è rivelato particolarmente grave tra gli oltre 250 milioni di migranti che non sono coperti dai sussidi di disoccupazione.
Gli interventi di politica economica per fronteggiare la crisi sono stati in Cina di entità minore rispetto a quelli approntati dai governi delle economie occidentali. La Banca centrale ha aumentato la liquidità, ha abbassato le riserve obbligatorie, ha ridotto i tassi di interesse; ma i programmi di rilancio della spesa pubblica sono stati, almeno per ora, molto inferiori a quelli che hanno caratterizzato la reazione alla crisi globale del 2008-2009 e anche a quelli che con cui i governi dei paesi occidentali hanno reagito alla crisi attuale (Magnus, 2020).
L’operazione di riapertura e di rilancio economico avviene poi in un clima di inevitabile attenzione al pericolo di un ritorno del Covid-19.
Nella prima settimana di aprile sono scoppiati casi nella provincia dello Heilongjiang nel nord-est della Cina, alcuni anche nella città di Harbin di quasi 11 milioni di abitanti, costringendo le autorità a imporre nuove misure di lockdown.
Questi casi sono prevalentemente collegati al rientro di cinesi dalla confinante Russia, ma non solo; la stampa internazionale ha rivelato che uno studente rientrato a Harbin dagli Stati Uniti ha contagiato un gruppo di residenti.
Le misure prese a Harbin sono state drastiche anche se i casi di persone risultate positive sono stati poche decine.
Ma questo rivela la preoccupazione delle autorità cinesi per una ripresa dell’epidemia.
La Cina vuole arrivare alla eliminazione delle possibilità di ri-emergenza.
Le preoccupazioni di questo tipo sono alla base della decisione del governo cinese di impedire l’ingresso nel paese di residenti stranieri che pure hanno validi permessi di residenza.
Di fatto oggi i confini della Cina sono chiusi per quasi tutti gli stranieri, come è testimoniato dallo scarsissimo di voli internazionali che atterrano ogni giorno in Cina.
Ma questo non va certo nella direzione di favorire la ripresa economica, anche se le restrizioni agli spostamenti interni sono state allentate.

Da dove è venuto Covid-19.
Un confronto che non ha coinvolto solo esperti, ma anche la geopolitica, si è sviluppato su dove e come si è propagato il Sars-Cov-2, il virus responsabile della epidemia Covid-19..
La ricerca ha dimostrato la somiglianza tra il SARS-CoV-2 e altri coronavirus simili presenti in alcune specie di pipistrelli che potrebbero aver costituito il l’ospite serbatoio del virus.
Questi pipistrelli sono ampiamente presenti nella Cina meridionale e risultano tra i mammiferi con più “familiarità” con i virus, probabilmente a causa della elevata socialità che li porta, per il riposo o il letargo, a concentrazioni elevatissime (fino ad un milione di individui in un sito); la capacità di volare li porta a diffondere e contrarre virus su aree molto estese.
Nel 2003 una ricercatrice dell’importante Wuhan Institute of Virology (WIV) Shi Zhengli aveva individuato il virus che ha provocato la Sars (Zhengli, 2005).
Negli anni seguenti, questa ricercatrice e un suo gruppo di ricerca hanno visitato vari luoghi della Cina in cerca di virus simili a Sars-Cov e ne hanno trovato uno in un tipo di pipistrelli nello Yunnan.
E’ proprio nei genomi virali raccolti durante questi studi che, come ha rivelato la stessa Shi Zhengli, è stato trovato un virus nei pipistrelli che condivide il 96% della sua sequenza genetica con il Sars-Cov-2 (Zhengli, 2020).
Ma il problema è come il virus è passato dai pipistrelli all’uomo; se ci sia stato, e se sì quale sia stato, un ospite intermedio.
Covid-19 è scoppiato nella città di Wuhan nella provincia dello Hubei e inizialmente molti erano convinti che sia stato provocato dalla diffusione del coronavirus Sars-Cov-2 nel mercato degli animali vivi di quella città.
Ma come è passato dai pipistrelli a quel mercato? Recenti ricerche suggeriscono che Sars-Cov-2 sarebbe il risultato di una ricombinazione genomica naturale: coronavirus diversi che infettano lo stesso ospite si scambiano parti dei loro genomi.
Se un virus in un pipistrello entra in un animale già infetto da un coronavirus più adatto a infettare gli umani, la logica secondo la quale i virus cercano di massimizzare la propria sopravvivenza e riproducibilità fa nascere un nuovo virus che è ancora più in grado di infettare gli umani.
Si è ritenuto che l’ospite intermedio potesse appunto essere una specie venduta nel mercato degli animali di Wuhan.
Questa tesi sarebbe confermata dal fatto che su quasi 600 campioni prelevati da superfici intorno al mercato circa il 10% sono risultati positivi a Sars-Cov-2, e tutti erano stati prelevati in zone del mercato dove si vendevano animali selvatici.
Una tesi che trova molto credito è che a facilitare la diffusione del nuovo coronavirus potrebbero essere stati i pangolini, mammiferi con le squame a metà tra una formica e un armadillo, perché un coronavirus trovato in questi animali aveva un genoma identico a quello del Sars-Cov-2; questo suggeriva che quello sia stato il virus con il quale il virus dei pipistrelli si è ricombinato per arrivare a diventare Sras-Cov-2 (Tao, 2020).
I pangolini sono oggetto di un enorme commercio, soprattutto illegale, perché la cheratina nelle scaglie che ne ricoprono il corpo è considerata curativa e utilizzata nella medicina tradizionale orientale. A questo si aggiunge il fatto che la carne di pangolino viene considerata da alcune comunità una vera e propria prelibatezza.
Il commercio internazionale di pangolini è stato dichiarato illegale dal 2016 da una risoluzione sulla base della Convenzione internazionale che regola il commercio delle specie animali e vegetali minacciate di estinzione, ma è ben lontano dall’essere cessato.
Non sembra esservi traccia che oggi i pangolini siano venduti sul mercato di Wuhan; ma può essere che il fatto che la vendita sia illegale e che questa possa essere accusata di essere alla base dello scoppio di Covid-19, abbia indotto a ritirarlo dal mercato.

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