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Cina e Covid-19

di - 19 Maggio 2020
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SOMMARIO: Tre rapporti su la Cina e il Covid-19; Il controllo del virus e l’intelligenza artificiale; I tempi e i modi dello sviluppo dell’epidemia in Cina; La fase di riapertura; Da dove è venuto Covid-19; Le difficili prospettive di una cooperazione internazionale.

Tre rapporti su la Cina e il Covid-19.
Alla fine di febbraio 2020 è stato reso pubblico il rapporto steso da un gruppo di studiosi della World Health Organization (WHO, 2020) che ha visitato la Cina per rendersi conto di come il paese aveva affrontato la crisi del Covid-19.
Nel rapporto si afferma che il gruppo ha visitato ospedali, laboratori, imprese, mercati nei quali si vendevano animali vivi, stazioni ferroviarie, uffici dei governi locali e ha analizzato i dati raccolti dagli scienziati cinesi.
Dal rapporto risulta circa l’80% delle persone infettate ha avuto una malattia che si può considerare leggera o di gravità moderata; il 14% ha avuto sintomi di notevole serietà; il 6% ha avuto un esito mortale in conseguenza di crisi respiratorie, shock settici e crisi di altri organi.
La mortalità è risultata più elevata tra le persone con più di 80 anni, e in particolare tra coloro che presentavano ipertensione, malattie cardiache, diabete; i bambini colpiti sono stati il 2,5% dei casi e nessun bambino è stato colpito in modo grave.
I sintomi più comuni sono stati febbre e tosse secca; molto meno, raffreddore. Per i casi lievi o di moderata intensità il tempo medio di guarigione è stato di due settimane.
Secondo il rapporto, l’epidemia alla data del 20 febbraio aveva colpito più di 75 mila persone (oggi si riconosce che hanno superato gli 80 mila). Il picco dell’epidemia si è manifestato tra il 20 e il 23 gennaio con oltre 3500 casi giornalieri a Wuhan e oltre 5000 casi giornalieri in tutta la Cina.
Da allora, in seguito alle misure del governo, i casi sono continuamente diminuiti fino a raggiungere i 400 in tutta Cina al 20 febbraio, quando il gruppo della WHO ha concluso le sue analisi.
Secondo il rapporto della WHO, la lotta della Cina è stata un successo.
Il 22 aprile il quotidiano China Daily ha pubblicato un rapporto steso dal China Watch Institute in collaborazione con l’Institute of Contemporary China Studies at Tsinghua University e la School of Health Policy and Management del Peking Union Medical College su come la Cina ha affrontato l’epidemia di Covid-19 (China Watch Institute, 2020).
Come c’era da aspettarsi, si tratta di un rapporto auto-elogiativo che sottolinea i successi della Cina ancora di più del rapporto della WHO.
Il rapporto mette in evidenza vari aspetti del successo contro il Covid-19: l’uso delle tecnologie digitali e delle applicazioni dell’intelligenza artificiale nell’individuazione dei contagiati e dei portatori del virus; l’utilizzo di sistemi per il trattamento medico visualizzato a distanza e per apparecchi di intervento medico e chirurgico basati sulla rete 5G non solo per il trattamento dei pazienti infetti, ma anche per ridurre la trasmissione negli ospedali; l’impegno di personale nelle comunità urbane e nei villaggi rurali del paese per raccogliere i test e informare e aiutare le famiglie isolate anche con la fornitura di beni di prima necessità; l’impegno degli esperti per analizzare i dati raccolti, la storia medica dei casi confermati e di quelli venuti a contatto con questi.
Sulla capacità di eseguire test e di aumentare il tasso di esecuzione di questi test, in particolare quelli sull’acido nucleico per individuare la presenza di anticorpi, il rapporto riferisce che la capacità nella provincia dello Hubei è aumentata da 300 al giorno al momento dello scoppio della malattia a 20 mila al giorno, con una velocità di risposta caduta da sei giorni a quattro-sei ore.
Il rapporto però tace sulla effettiva capacità dei test di individuazione degli asintomatici, probabilmente molto più elevata delle persone risultate positive.
Infine un aspetto interessante del rapporto è l’attenzione dedicata ai trattamenti medici: l’uso di prodotti per il trattamento della medicina occidentale e di plasma prelevato da persone infette sarebbe stato combinato con successo con trattamenti basati sulla medicina cinese tradizionale.
Un terzo rapporto interessante su quello che è successo in Cina per quanto riguarda la diffusione del Covid-19 è quello dell’International Food Policy Research Institute (IFPRI), con un team di ricercatori della Stanford University, sulla diffusione del virus nelle aree rurali (Rozelle e altri, 2020).
Si tratta di un argomento del quale si sa molto poco, o comunque molto meno di quello che è successo nelle aree urbane; ma è un argomento importante dato il grande numero di migranti nelle città, anche dello Hubei, che sono ritornati in campagna prima del lockdown.
Il team ha condotto una ricerca telefonica su un campione di 726 persone in villaggi di sette province rurali al di fuori di quella dell’Hubei chiedendo quanti contagiati e quanti morti vi erano stati in ciascun villaggio, quali misure erano state prese per il controllo della malattia, e quali erano stati gli effetti di queste misure in termini di occupazione, e di situazione sanitaria e educativa.
La ricerca ha rivelato che in tutti i villaggi erano state prese misure di isolamento molto strette, che in più del 95% dei villaggi erano disponibili strumenti di distanziamento sociale come le mascherine. Queste misure hanno avuto effetto. Solo 4 dei 726 intervistati sono stati contagiati e dei circa 70 mila abitanti nei villaggi coinvolti solo il 10% era stato contagiato, senza nessuna morte.
Le conseguenze sociali sono però state pesanti: oltre il 90% degli intervistati ha dichiarato di aver perso il lavoro e quindi di aver avuto pesanti tagli di reddito, nonostante i peraltro magrissimi aiuti pubblici; le conseguenze sono state aggravate dall’aumento dei prezzi dei beni alimentari; l’80% degli intervistati ha denunciato un impatto negativo sull’istruzione dei figli anche se molti hanno riconosciuto l’intensificazione dell’educazione on-line; il 60% ha dichiarato di aver avuto serie difficoltà nella cura di malattie che non fossero il Covid-19.
Gli effetti sono stati aggravati dalla impossibilità dei migranti rientrati nelle campagne di ritornare di nuovo a lavorare nelle città, sia per le restrizioni ai movimenti, sia per la mancanza di lavoro nelle aree urbane.

Il controllo del virus e l’intelligenza artificiale.
Nella battaglia contro il Covid-19 la Cina ha messo a frutto con successo i recenti progressi fatti nel campo delle tecnologie digitali e delle applicazioni dell’intelligenza artificiale.
Una interessante analisi è quella di Qi Xiaoxia, Direttore del Bureau of International Cooperation della Cyberspace Administration of China, riportata da World Economic Forum (Qi Xiaoxia, 2020).
Secondo Qi Xiaoxia, durante lo sviluppo dell’epidemia varie società hanno messo a disposizione i loro algoritmi di intelligenza artificiale per sostenere la ricerca su come tracciare e combattere il virus.
Ad esempio, Baidu ha messo a disposizione un suo algoritmo per l’analisi della struttura del RNA del virus, riducendo il tempo per ottenere risultati da un’ora a pochi secondi.
Il Center for Disease and Control and Prevention ha lanciato una piattaforma per l’analisi del genoma basata su un algoritmo di intelligenza artificiale sviluppato dall’Accademia DAMO (Discovery, Adventure, Momentum, Outlook) di Alibaba.
Alibaba Cloud ha messo a disposizione delle istituzioni di ricerca il suo potere di calcolo mediante intelligenza artificiale per accelerare lo sviluppo di nuovi trattamenti medici e di un vaccino.
Linfei Technology ha lanciato una piattaforma blockchain per il monitoraggio dell’epidemia in tempo reale su tute le province del paese.
La stampa internazionale ha dato ampia evidenza del successo della Cina nella applicazione di tecnologie contactless ma per misurare le temperature ed effettuare diagnosi a distanza, per controllare gli individui infetti e rafforzare in modo più mirato l’isolamento.

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