Il D.L. Liquidità. Una scommessa pericolosa per le banche

La «potenza di fuoco» attivata dal Governo per rimediare alle criticità della pandemia da coronavirus evidenzia il grande impegno che anima quest’ultimo, disposto ad adoprarsi al massimo per superare l’emergenza economica causata dall’adozione di misure che hanno determinato una sospensione, quasi totale, del processo produttivo. Il provvedimento del Consiglio dei Ministri del 6 aprile u.s. intende, infatti, assicurare liquidità alle imprese, concedendo anche altri benefici che dovrebbero facilitarne la ripresa (sospensione di tasse e contributi, adozione di un golden power rafforzato, modifiche della disciplina fallimentare, ecc.).

L’Italia, in linea con la politica interventistica di altri Stati membri, ha optato per un’azione che affida a «garanzie» fornite dallo Stato la possibilità per le imprese di ottenere nuova finanza e, dunque, avviare un processo di crescita che conduca ad una «nuova primavera», secondo le indicazioni del Premier Conte. E’ stata accettata, quindi, la tesi del «più deficit, più debito», indicata nei giorni scorsi da Mario Draghi; donde l’offerta di una potenziale disponibilità di 400 miliardi, destinata ad alimentare una leva alla quale è rimessa la sperata rinascita economica.

Nello specifico, la delibera assunta dal Governo facilita l’accesso al credito, il sostegno all’esportazione e agli investimenti legandone il conseguimento ad una garanzia dello Stato, riconosciuta in misura variabile ma in ogni caso per un elevatissimo importo percentuale del finanziamento. E’ evidente come l’impianto sistemico di tale decreto faccia affidamento sul «senso di responsabilità» di coloro che beneficiano di tale intervento. Ciò si evince chiaramente dal ‘circolo virtuoso’ cui è demandato il successo dell’iniziativa, che ruota sul rapporto tra oculato utilizzo delle «provvidenze» elargite lo Stato ed impegno finanziario di quest’ultimo, il cui ammontare è correlato all’azionamento delle garanzie concesse. Ne consegue che il contenimento di nuova spesa dipende essenzialmente dalla corretta fruizione di tali «aiuti» e, dunque, dalle modalità con cui la normativa ne dispone l’erogazione.

Siamo in presenza di una scommessa – ovviamente assunta per apprezzabili finalità – che si rivelerà ‘vincente’ ove i comportamenti dei prenditori di credito non siano sviati dalla tentazione di trarre profitto dalla situazione; eventualità da non escludere, anche per le menzionate modifiche introdotte dal d.l. alla disciplina fallimentare. Ciò, col risultato di ammettere alla fruizione dei benefici in parola anche imprese prossime al default, non a causa del coronavirus bensì per pregressi inidonei comportamenti delle stesse. Indubbiamente in questi casi può riscontrarsi una realtà pericolosa per gli appartenenti al settore del credito.

Per vero, sorprende la previsione contenuta nel d.l. di una ‘procedura automatica’ per la concessione da parte delle banche di importi di limitato ammontare (25 mila euro) a persone fisiche esercenti attività di impresa, arti e professioni; forma tecnica che sembra destinata a escludere la valutazione del «merito del credito», eseguita dagli enti creditizi per assicurare la «sana e prudente gestione» richiesta dalla legge speciale (art. 5 TUB). Vengono alla mente altre erogazioni di credito «no document», che – agli inizi di questo millennio – furono alla base del fenomeno dei mutui sub prime, notoriamente all’origine della crisi finanziaria del 2007. Non a caso in un similare programma di aiuti – chiamato Sba Ppp (Small business administration Paycheck protection program) – adottato recentemente negli USA si rinviene una puntuale predeterminazione dei requisiti dei soggetti richiedenti e la predisposizione di un calcolo dei fondi ottenibili.

Da qui la necessità di introdurre – in sede di conversione di tale d.l. – opportuni ‘presidi’ che rimettano alle banche la decisione finale in ordine alla concessione del credito; evitando che queste ultime siano esposte ad una possibile nuova ondata di NPL, i quali per la loro incidenza negativa sul computo dei livelli patrimoniali determinano situazioni di difficoltà analoghe a quelle che faticosamente stanno oggi superando. Diversamente, si palesa il rischio di traslare, almeno in parte, il rischio delle imprese (in ispecie le PMI) agli intermediari creditizi, con tutte le prevedibili conseguenze negative a livello economico finanziario.