Intervista a Jean Bernard Auby su Roma Città metropolitana

Secondo l’Onu ormai il 50 per cento della popolazione del Pianeta vive nelle città ed entro il 2050 tale percentuale sale salirà al 70 per cento. Sempre secondo l’Onu, al 2019 la città più popolosa al mondo è Chongqing in Cina, con più di 30 milioni abitanti, cioè la metà di tutta la popolazione italiana. Seguono Shanghai e Pechino.
Per trovare una città europea nella classifica occorre scendere al 18º posto e trovare Londra, con quasi 9 milioni abitanti. Roma con poco più di 2,8 milioni di abitanti, è al 69° posto. I dati riguardano le città con uno status amministrativo caratterizzato da un governo locale. Banalizzando, potremmo quindi riferirci ai comuni. Il tema emergente però è che in realtà i territori su cui ricadono questi grandi comuni sono sempre più caratterizzati da un fenomeno di gravitazione che fa sì che anche oltre gli stretti confini amministrativi del comune principale, si manifestano una forte espansione edilizia e demografica provocate dall’attrazione che tali città esercitano nei confronti della popolazione della regione, o addirittura provocando fenomeni migratori dal resto della nazione o dal di fuori dello Stato stesso. L’attrazione è provocata da un complesso di fattori, quali le opportunità di lavoro, l’offerta di servizi e la qualità della vita, che gli altri territori non sono in grado di garantire. Il prodotto di tale fenomeno può essere definito “città metropolitana”. La città metropolitana di Roma, tanto per fare un esempio, ricomprende, oltre al Comune di Roma con i suoi 15 municipi, 120 comuni e si estende per 5.352 kmq (la città metropolitana di Chongqing si estende per 82.500 kmq, un quarto dell’estensione di tutta l’Italia) e riguarda una popolazione al 2014 di 43 milioni di abitanti. L’emergere del fenomeno delle città metropolitane ha posto tutta una serie di quesiti e di tematiche che sono spesso contrastanti con le logiche e la dottrina che hanno informato sin qui sia il comparto amministrativo-giuridico sia quello urbanistico. Come è noto, Apertacontrada si occupa a 360° dell’analisi critica della dottrina amministrativa e, in tal senso, ha ritenuto che una riflessione sul tema delle città metropolitane, e delle future ricadute sul piano amministrativo, meritasse un approfondimento. L’occasione gli è stata offerta da Prometeo, un libero raggruppamento di professionisti e dirigenti pubblici, che sta approfondendo il tema della città metropolitana di Roma come componente di una più vasta piattaforma di studio, denominata Laboratorio Permanente per Roma, promosso dall’associazione ASPESI Real estate. Prometeo si è spontaneamente costituito grazie all’iniziativa di Filippo Bucarelli, Franco Leccese, Filippo della Cananea e Levino Petrosemolo. Grazie anche al contributo di Giacinto della Cananea, professore di diritto amministrativo all’Università Bocconi di Milano, Prometeo ha intercettato in una delle sue visite romane all’Università di Tor Vergata, dove tiene periodicamente lezioni, il professor Jean Bernard Auby. Auby è un amministrativista francese e il suo campo d’azione è quello dei rapporti tra privati e pubblica amministrazione. Ricopre, tra i molteplici incarichi, anche quello di visiting professor presso l’Università La Sapienza di Roma. Auby ha sviluppato un particolare interesse per le dinamiche dei rapporti pubblico/privato all’interno delle amministrazioni locali e per tale motivo Prometeo ha ritenuto interessante approfittare della sua presenza a Roma e intervistarlo, insieme agli amici di Apertacontrada, sul suo pensiero e le sue esperienze nei confronti del tema della città metropolitana. Quello che segue è il resoconto dell’incontro.
Giacinto della Cananea introduce brevemente il profilo del professor Auby e lo definisce un giurista “non mainstream”, nel senso che, al contrario di molti suoi colleghi, non sempre si ritrova allineato con l’indirizzo del Conseil d’Etat. Il suo spazio operativo è Science Po, lo storico istituto di studi politici di Parigi (di cui è Decano Enrico Letta), all’interno del quale ha introdotto il tema di seconda generazione sulla Comunità e, in particolare, ha approfondito il tema del Diritto Globale, sovente di non facile trattazione in Francia, specie se viene collegato agli aspetti locali. Conduce collaborazioni stabili con atenei spagnoli e italiani. Nel suo libro “Droit de la Ville” mette in luce come il tema degli enti locali goda di una scarsa attenzione in Francia, mentre da noi in Italia è fortemente segmentato in trattazioni interdisciplinari.

Levino Petrosemolo

grazie professor della Cananea. Professor Auby, Prometeo si pone l’obiettivo di analizzare e mettere a confronto le esperienze delle aree metropolitane europee, sia quando queste costituiscono una realtà di fatto, ancora scarsamente operative e strutturate, come la realtà di Roma, sia quando invece sia in atto anche un accompagnamento istituzionale, o un complesso di elementi amministrativi che legittimino la definizione di città metropolitana anche dal punto di vista della governance. Per tale motivo la sua presenza a Roma ci ha spinto a contattarla. L’architetto Filippo della Cananea ha predisposto quattro quesiti che desidererebbe sottoporle. la sede che ci ospita, quella di Apertacontrada, è l’ambiente ideale anche per permetterle di declinare le sue riflessioni sotto un profilo specificatamente giuridico.

PRIMO QUESITO
Filippo della Cananea

professor Auby, il fenomeno della città metropolitana, che come vediamo è in continua espansione a livello planetario, ha davanti a sé una prospettiva positiva dal punto di vista esistenziale o è inevitabilmente legato a essere portatore di valori negativi? In altre parole, lo sviluppo delle città metropolitane è legato fondamentalmente alla loro capacità di attrazione nei confronti delle persone, delle attività, delle merci, da contrapporre ai territori rurali che non sono in grado di offrire tutto ciò. Queste caratteristiche sono portatrici di valori positivi in assoluto o comportano alla lunga distorsioni legate all’aumento della segregazione, al disagio sociale e alla solitudine? Inoltre, è possibile identificare delle dinamiche comuni tra le varie realtà metropolitane, oppure prevalgono delle invarianti legate alla peculiarità di ogni singola realtà che suggerisce l’adozione di misure istituzionali differenziate città per città? Per esempio, consideriamo il caso di Roma che, allo stato attuale, è la sesta metropoli dell’area Ue. Essa presenta indubbiamente caratteri anomali rispetto alle sorelle maggiori, Londra, Parigi, Berlino, Madrid, Barcellona, e anche rispetto alla stessa Milano, che pure è molto più piccola di Roma stessa. In particolare, si evidenziano l’isolamento geografico sia rispetto al contesto europeo sia localmente, in quanto posta al centro di una regione a densità abitativa molto bassa, e il sottosviluppo infrastrutturale ed economico all’interno di un quadro istituzionale-amministrativo incompiuto.

Jean Bernard Auby

da un certo punto di vista le metropoli europee non sono poi così differenti l’una dall’altra, anzi hanno dei connotati comuni che, viceversa, non hanno certamente le città americane. Per esempio, le città europee hanno tutte una struttura radiocentrica, il che comporta delle conseguenze particolari dal punto di vista della maglia infrastrutturale. Un altro tratto comune europeo è la organizzazione multilevel del governo delle città. Quale più e quale meno, tutte le città europee hanno un’origine molto più antica delle città americane e quindi la loro organizzazione di governo ha subito nei secoli un’evoluzione che da semplice è passata al complesso e che tende al sempre più articolato, ma mantenendo la matrice originaria, perché non è facile superarla o accantonarla. In tutto ciò, per quanto riguarda nello specifico Roma, resto sempre abbastanza sorpreso dal permanere di una mancanza di pianificazione strategica, sia a livello comunale sia a livello metropolitano. Un esempio chiaro si ha mettendo a confronto Roma con Parigi, che pure non rappresenta una best practice, se paragonata con altre realtà della stessa Francia, come dirò meglio di seguito. Una pianificazione strategica si rende assolutamente necessaria per questioni pratiche, legata quindi allo sviluppo delle infrastrutture così come alla programmazione della governance delle singole porzioni urbane e che non si riduca a una mera regolazione urbanistica. Come agire nei confronti dei territori metropolitani? Inevitabilmente un punto di partenza è costituito dalle strutture esistenti. La Francia è caratterizzata fondamentalmente da comuni piccoli e dipartimenti forti. I dipartimenti costituiscono la suddivisione di secondo livello del territorio francese, dopo le regioni, e sono 101, a cui occorre aggiungere Lione, alla quale è attribuito uno status speciale. È proprio l’esperienza di Lione che potrebbe costituire un punto di riferimento per avviare un serio approccio al tema delle città metropolitane. Tutto parte dalla Fondazione nel 1966 della Comunità Urbana di Lione aperta (Gran Lyon). Nel 2015 nasce la metropoli di Lione dalla fusione della vecchia Comunità Urbana di Lione con il Dipartimento del Rodano. La nuova entità territoriale cnosta di 59 comuni. L’ente nasce dalla legge MAPTAN, di riorganizzazione istituzionale dei territori di tutta la Francia. In pratica è la legge che istituisce le aree metropolitane, conferendo ampi poteri alle stesse, di fatto sottraendoli sia ai dipartimenti che ai comuni. In questo senso è simile e nello stesso tempo molto differente alla vostra Legge Del Rio, la quale istituisce le città metropolitane, ma non gli attribuisce nessun potere sostitutivo a quelli dei comuni. L’esperienza di Lione è particolarmente significativa soprattutto perché l’intesa, con la conseguente cessione di poteri, è stata raggiunta molto velocemente tra tutti gli enti locali interessati. In estrema sintesi, la Metropoli di Lione ha piena competenza in materia di pianificazione urbanistica, gestione dei rifiuti, igiene, servizi idrici, gestione degli ambienti umidi, riduzione dell’inquinamento atmosferico e acustico e realizzazione di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici. Il Consiglio Costituzionale, una sorta di Corte Costituzionale italiana, ne ha dichiarato la legittimità, pur con qualche riserva. Ma la sostanza è che funziona. Lo stesso non si può dire del tentativo fatto a Marsiglia (Metropole D’Aix-Marseille e Provence) dove le reticenze locali hanno di fatto ritardato di molto l’applicazione della legge e con risultati molto meno efficaci rispetto a Lione. Per quanto riguarda Parigi, anche lì i risultati non sono paragonabili a quelli di Lione. La Metropole du Grand Paris (Haute-de Seine, Seine, Saint-Denis, Val de Marne), nonché i comuni de l’Ile de France, già appartamenti a un’EPCI, (etablissement public de cooperation intercommunale), è destinata a raggruppare diversi comuni contigui allo scopo di mettere insieme i mezzi disponibili e realizzare un’azione collettiva in materia di pianificazione, sviluppo economico, sviluppo sociale e culturale del territorio, accrescimento di competitività e innovazione energetica. Inoltre, la legge prevede che i dipartimenti e le regioni potranno trasferire alle metropoli l’esercizio di altre competenze tra quelle di loro pertinenza. La Metropole du Grand Paris sostituisce così ben 169 Intercomunalità esistenti nella Petit Couronne e viene investita delle funzioni di pianificazione urbanistica e di tutela e valorizzazione del territorio. Sotto il punto di vista dei risvolti pratici, però, l’unico effetto di tale accorpamento riguarda il sistema dei trasporti pubblici, peraltro non trascurabile, vista l’estensione del territorio e l’ammontare complessivo della popolazione, soprattutto se paragonato come problema a quello di Roma. Uno degli aspetti più critici della concreta transizione verso un sistema di città metropolitane è quindi rappresentato dalla cessione delle competenze, che comporta la cooptazione di prerogative pregresse e la creazione di nuove. Tale tema riporta immediatamente al tema della governance, ovvero della rappresentanza elettiva di tali nuove entità. Qual’é il sistema migliore per l’individuazione dei rappresentanti? È una carica elettiva concreta o solo simbolica? In Francia e in Inghilterra il problema è comunque minore rispetto all’Italia o alle Germania. Infatti, nei primi due paesi il peso e il potere delle regioni è molto meno rilevante rispetto ai secondi e questo condiziona molto meno le scelte da operare sui territori perché la filiera burocratico-amministrativa che separa lo Stato dai governi locali è molto più corta.

Franco Leccese

nel corso dei decenni in Italia si è dibattuto su quale dovesse essere il grado di autonomia degli enti locali. Di città metropolitane si iniziò a parlare per la prima volta nel 1990 con la legge 142. Solo nel 2001, con la modifica del titolo quinto della Costituzione, la riforma investe le aree metropolitane che acquisiscono dignità costituzionale e le città metropolitane sono incluse tra gli enti territoriali che costituiscono la Repubblica Italiana. Occorre poi arrivare al 2014 con la legge 56, cosiddetta Del Rio, per definire completamente le “disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”. La legge ha previsto nelle regioni a statuto ordinario l’istituzione di 10 città metropolitane, identificando la loro delimitazione territoriale con quella della relativa provincia, contestualmente soppressa. Il problema è che però a tali nuovi enti territoriali non è stata finora fornita nessuna potestà di governo superiore ai comuni che ricomprendono, come per esempio nessuna delega sulle politiche della casa, né tanto meno una dotazione finanziaria tale da far presupporre una reale capacità di sviluppo di tali organismi. Il bilancio della Città Metropolitana di Roma che ricomprende 121 comuni, gode di una dotazione di 650 milioni di euro, Roma Capitale di 5 miliardi di euro. Professor Auby, da dove si può cominciare? Da qualche parte le competenze vanno pure cedute. Quale potrebbe essere un percorso realistico?

Jean Bernard Auby

a mio avviso, una concreta possibilità che le città metropolitane assurgano ad un reale livello di dignità istituzionale dipende da tre fattori: a) la distribuzione della legittimità politica, ossia ridisegnare la geografia elettorale degli ambiti territoriali in cui ricadono le città metropolitane, b) le competenze, ovvero il tema della cessione delle competenze da parte degli altri enti, di cui abbiamo già accennato e c) le risorse finanziarie, senza le quali ogni provvedimento o attribuzione di competenza è del tutto sterile. Sulla questione delle competenze, nel sistema francese l’organizzazione delle città metropolitane è la stessa dell’aggregazione di comuni. Il principio base è il contingentamento delle competenze: se si viene a formare una comunità di comuni, i rifiuti sono di competenza della comunità. Poi il confine spesso non è così netto, perché la cessione delle prerogative incontra sempre delle resistenze- Però alla fine ci si arriva. Sulla questione delle risorse, direi che la valutazione è abbastanza elementare: attribuire funzioni senza fornire risorse è un esercizio totalmente artificiale e teorico. Parigi è un esempio emblematico di ciò: Grand Paris non ha nessun potere legale né risorse e l’unico elemento realmente positivo che caratterizza il suo territorio è costituito dalla rete dei trasporti pubblici, organizzato, come si sa, su vari livelli infrastrutturali e che contribuisce non poco a rendere coeso il territorio metropolitano e consentire la pianificazione dello sviluppo urbano in prossimità delle stazioni e delle infrastrutture intermodali. Un risvolto negativo dell’assetto metropolitano si è riscontrato nel turismo: quando le competenze sono state trasferite alle comunità, i singoli comuni hanno perso tutti i benefici.

Anna Romano

Professore, si può affermare che nella gerarchia delle competenze alla fine chi prende le decisioni è un solo responsabile?

Jean Bernard Auby

sì, è decisamente corretto, ed è comunque questo il risultato dell’azione sulle rappresentanze, cioè la riforma elettorale

Giacinto della Cananea.

È interessante rilevare come si vengono a formare dei fronti tra i giuristi: per esempio, in campo tedesco prevale la linea di chi difende lo status quo specifico di ogni Stato e quindi afferma la realtà delle invarianti tra i singoli Stati. Mentre invece tra i giuristi scozzesi prevale la tesi che il diritto ha una storia caratterizzata da continui trapianti. La situazione romana ha una sua connotazione particolare. Gli studi preparatori alla legge 142/90 evidenziano l’assenza di qualsiasi nozione di specificità legata alla tradizione. Forse sarebbe il caso di concentrarsi sul funzionale, sulla magnitudo dei problemi.

SECONDO QUESITO

Filippo della Cananea.

Roma è di fatto periferica rispetto alle altre realtà metropolitane europee. Il suo riassetto istituzionale potrebbe costituire una leva per il suo rilancio? E a quale prezzo?

Jean Bernard Auby

Partiamo dalla considerazione base: la città metropolitana è una realtà completamente nuova, in particolar modo dal punto di vista delle esigenze organizzative. La dinamica evolutiva è molto spinta e continua, considerando per esempio anche il solo dato del 50% della popolazione concentrata nelle città, che è in aumento. Ciò porta inevitabilmente alla necessità di dotarsi di una legislazione totalmente nuova, basata su questi nuovi modelli insediativi. Quindi, la risposta nello specifico per quello che riguarda Roma è certamente sì, l’assetto metropolitano, con una conseguente nuova struttura di tipo amministrativo, può senz’altro essere una spinta al suo rilancio. D’altra parte, tutte le metropoli europee mantengono ancora il proprio assetto originario. L’unico esempio virtuoso forse è rappresentato da Lione, che abbiamo già citato, e che, sola, in Europa, costituisce un caso veramente innovativo. La difficoltà consisterà nell’inventarsi qualche cosa di totalmente inedito pur non abbandonando del tutto i tradizionali sistemi di governo territoriale. In tal senso, per esempio, è molto sentito in Francia il dibattito sulle misure da prendere sul rapporto che si deve stabilire tra le città ed il resto del territorio non metropolitano, che rischia di desertificarsi, data la crescente forza di attrazione delle aree metropolitane. La popolazione territoriale porta verso due tipi di desertificazione demografica. la prima è quella, più accentuata, che riguarda i territori decisamente lontani dalle realtà urbane, la seconda è quella dei territori che sono in forte relazione con le metropoli. A tale scopo è stata creata una “agenzia per la coesione”. L’orientamento sta portando verso la convinzione che le metropoli debbano farsi carico dei territori periferici più svantaggiati.

TERZO QUESITO

Filippo della Cananea

È un dato di fatto che a Roma si vive meglio nei comuni della provincia, cioè dell’area metropolitana, che nelle periferie della Capitale, dove il fenomeno della segregazione è particolarmente sentito. Assumendo quindi l’obiettivo di mitigare sempre di più la segregazione urbana ed ampliare l’accesso ai servizi essenziali, quali sono gli strumenti che possono essere messi in campo in modo più efficace e più a portata di mano?

Jean Bernard Auby

Il punto di partenza è costituito senza dubbio dai problemi di funzionalità principale e quindi dalla distribuzione dei relativi servizi. La mobilità forse rappresenta il servizio più importante, ma sono altrettanto essenziali quello dell’acqua, i rifiuti, il sociale e, fondamentale, l’energia. Sugli strumenti da adottare è necessaria una riflessione sistemica. C’è da domandarsi su quale sia il livello adeguato per uno qualunque dei servizi di base. La risposta non è sempre ovvia, ma possono venire in ausilio criteri tecnici e giuridici. L’altra vera domanda è se l’attuale livello di organizzazione territoriale sia in grado di fornire adeguate risposte alla situazione emergente. Per fare un esempio: l’energia. È sempre stato un tema centralizzato, di natura statale. Con l’evoluzione metropolitana sta cominciando ad essere affrontato a livello locale, non solo dal punto di vista dell’utenza, ma anche da quello della produzione. Un altro aspetto riguarda la determinazione dei driver strategici, e qui si ripropone il tema del sistema del trasporto. Un fattore però totalmente mancante dal dibattito in corso è quello della gestione degli spazi pubblici, caratterizzato oggi dalla sempre crescente competizione tra pubblico e privato. Questo è sicuramente un tema che avrà notevolissimo impatto sulla questione dello sviluppo metropolitano. In tal senso potranno giocare un ruolo molto importante tutte le innovazioni che rientrano nel quadro dei dibattiti riguardanti le smart cities.

Levino Petrosemolo

Il tema degli spazi e dei servizi pubblici ci porta inevitabilmente verso la questione della fiscalità legata ai territori metropolitani. Questione che vede Roma fortemente penalizzata rispetto a realtà metropolitane come Milano e Londra caratterizzate da un prodotto interno lordo molto più elevato di quello di Roma, oltre che da una densità abitativa pari a più del doppio, con la conseguenza che il gettito fiscale di Roma, e del suo territorio metropolitano, non le consentono, allo stato attuale, di essere competitiva con le altre metropoli.

Jean Bernard Auby

Sull’evoluzione della fiscalità locale c’è un dibattito molto diffuso in Europa. Tendenzialmente si assiste a una progressiva transizione da una fiscalità fondamentalmente incentrata sull’immobiliare a una fiscalità mirata sul rapporto reddito/spese e orientata quindi verso una fiscalità locale di tipo diretto.

Filippo Bucarelli

Se è vero che le metropoli sono fortemente differenziate tra loro, è però possibile identificare dei dati positivi negli orientamenti dell’organizzazione istituzionale?

Jean Bernard Auby

si può certamente essere ottimisti. Con l’eccezione di Parigi, le città metropolitane francesi vanno piuttosto bene. Sono stati ideati ed introdotti strumenti per vivere insieme che dimostrano una notevole efficacia, come i patti della governance, che sono Stati formalizzati, ma non sono ancora vincolanti, e quindi sono affidati al grado di coesione spontanea espresso dalla collettività, e questo è un dato sicuramente molto positivo.

Filippo Bucarelli

la legge 56/14, la Del Rio, attribuisce molta rilevanza allo strumento del piano strategico, lei come lo considera?

Jean Bernard Auby

sono convinto che si tratti di uno strumento indispensabile, specie se declinato su due livelli: uno operativo ed uno strategico di medio-lungo termine.

QUARTO QUESITO

Filippo della Cananea

guardando in prospettiva ai prossimi 20 anni e facendo particolare riferimento al “droit de la ville”, è possibile supporre che le metropoli europee sapranno mantenere il ruolo centrale che hanno registrato fino a oggi? E come può essere immaginato un ruolo di Roma in questo scenario?

Jean Bernard Auby

Ritengo che il ruolo della città metropolitana si rafforzerà sempre di più e diventerà il fulcro dell’azione pubblica e della democrazia, anche se non è pensabile una riduzione del ruolo degli Stati. Sarà però sempre più difficile per i singoli Stati recuperare un ruolo di preminenza sulle città metropolitane. Questo pone un quesito, un dilemma: il processo di polarizzazione incrementerà livello di segregazione o le opportunità di crescita offerte della metropoli contribuiranno a mitigarla? Allo stato attuale è indubbio che uno dei rovesci della medaglia del fenomeno metropolitano è proprio l’accentuarsi della segregazione, ed è un fenomeno che rischia di investire dopo le periferie anche i territori più esterni che progressivamente vengono depauperati a favore dell’espansione metropolitana. Sarà quindi indispensabile uno sforzo per conseguire un equilibrio nella distribuzione della ricchezza e trovare forme di perequazione territoriale.

Pierluigi Ciocca

Ritornando al tema specifico di Roma, la caratteristica di questa città è che il suo PIL è per l’80% di natura terziaria. Viceversa, una grande città di scala metropolitana e per di più capitale di uno Stato importante, dovrebbe avere spazi formidabili di crescita economica, istruzione, ricerca, sanità, eccetera. Roma però soffre di un handicap pluridecennale: la caduta verticale degli investimenti pubblici da parte dello Stato italiano. Se i policy maker non favoriscono la ripresa degli investimenti pubblici su Roma non sarà mai possibile rimettere in moto un processo virtuoso che attragga anche investitori privati e rilanci Roma a 360° liberandone il potenziale economico e colmando il gap che la separa dalle altre città.

Jean Bernard Auby

mi chiedo spesso il motivo per cui Roma abbia registrato una contrazione degli investimenti pubblici nel corso degli anni così vistosa rispetto alle altre capitali europee. Comunque, quello della stagnazione degli investimenti pubblici è un tema su cui si dibatte molto anche in Francia. Come corollario al tema degli investimenti, nel mio Paese si discute parecchio anche sulla capacità delle grandi città di propagare la ricchezza anche all’esterno.

Levino Petrosemolo

Professore, l’architetto Filippo della Cananea ha concluso il questionario che aveva preparato e noi la ringraziamo per avere avuto la pazienza di rispondere e di avere sollevato anche una serie di temi collegati con le domande base. Prima di chiudere il nostro incontro potrebbe essere interessante sviluppare un minimo di dibattito su questi argomenti importanti.

Anna Romano

Professore, le porgo una domanda che mi è stata suggerita dal professor Franco Karrer che oggi non ha potuto essere presente: lei ha sottolineato come la città di Roma, al di là dei contenuti basati sul terziario prevalentemente pubblico, che la caratterizza da sempre, contenga in sé un grande potenziale di sviluppo. È possibile che tale potenziale possa essere fecondato e vedere la luce grazie a una intensa campagna di introduzione alla innovazione tecnologica?

Jean Bernard Auby

Certamente, con l’occasione, e ricollegandomi solo per un momento al tema delle smart cities, vorrei dire che il capitale privato racchiude enormi potenzialità a favore delle città metropolitane e quindi anche di Roma. Silicon Valley è un caso emblematico, dove l’aggregazione dell’iniziativa privata ha di fatto consentito lo sviluppo di una delle aree economicamente più forti di tutto il Pianeta.

Piero Ciocca

Io sono piuttosto scettico sulle capacità del nostro sistema imprenditoriale, in particolare di quello romano, di operare autonomamente quello scatto di reni necessario a cambiare il volto di un territorio e di un’economia. Per troppo tempo le imprese private si sono disabituate a una politica di reinvestimento dei profitti e quindi ad approfittare della potentissima corrente di innovazione tecnologica che ha contraddistinto gli ultimi 20 anni della nostra storia, con la conseguenza di ritrovarsi con immobilizzazioni, know-how e impianti del tutto inadeguati al grado di competitività richiesto dalla globalizzazione e con margini di produttività sempre più ridotti.

Giacinto della Cananea

A questo, purtroppo, è anche necessario aggiungere che, dall’altra parte del tavolo, rispetto al mondo imprenditoriale, non fa riscontro una classe politica e amministrativa che brilli, ormai da molti decenni, per cultura e capacità di rinnovamento. Per sintetizzare: a livello di selezione della classe dirigente mancano concorsi che facciano emergere elementi di qualità, totale assenza di una cultura result oriented e, contemporaneamente, il permanere di una pervasività e ingerenza della politica in tutti i gangli dell’economia, fatto che, a voler essere ottimisti, pone un enorme freno allo sviluppo naturale del mercato e, a voler essere pessimisti favorisce l’insinuarsi della corruzione in tutta la filiera dello sviluppo dei territori.

Piero Ciocca

gli investimenti netti delle imprese laziali hanno subito una flessione del 30% dal 2009.

Giacinto della Cananea

Non è solo una questione quantitativa, che già da sola è drammatica, ma anche qualitativa. Queste poche risorse come sono state investite? Londra e Berlino hanno investito moltissimo in risorse nuove di qualità e questa politica ha consentito loro di crescere globalmente. Dovremmo concentrarci molto di più di quello che si fa abitualmente per capire i processi formativi di queste nuove elite amministrative.

Filippo Bucarelli

Non soffre solamente la classe amministrativa a Roma. A Milano l’Expo e la candidatura alle Olimpiadi hanno costituito una leva formidabile per compattare tutta la classe dirigente. Per Roma niente Olimpiadi e niente altro, e la classe imprenditoriale si ritrova una volta di più priva di stimoli per dare vita a un new deal in ossequio al teorema: investimenti e opere pubbliche uguale corruzione, per cui la soluzione è non fare nulla. Questo stato di cose fa il paio con il mancato rinnovamento della classe dirigente e con il mantenimento di una logica perversa di spartizione della torta, che in realtà oggi è ridotta a briciole.

Franco Leccese

Per fare un solo esempio dell’uso di quello che da un lato è un tema cruciale dei servizi alla città e dall’altro potrebbe costituire una risorsa, anche richiamando l’accenno del professor Auby alla questione della trasformazione locale della produzione energetica, basta fare un accenno al comparto dei rifiuti urbani. È un tema che non solo è quotidianamente sotto gli occhi di ogni singolo cittadino romano, ma che assurge agli onori della cronaca ogni qualvolta ci si avvicina alla soglia di sopportabilità del sistema di raccolta, e puntualmente registra un nulla di fatto dal punto di vista dell’assunzione di responsabilità e definizione di strategie. Invece di considerare una risorsa i rifiuti, che quotidianamente solo a Roma assommano a 4.600 tonnellate, come ormai avviene in quasi tutte le metropoli europee. Il governo di Roma spende oltre 80 milioni l’anno per farli viaggiare, cioè per disfarsene. Ovviamente, nel contempo, questi 80 milioni l’anno mancano all’appello per il finanziamento di servizi per la comunità e non sono utilizzati per realizzare nuovi impianti di smaltimento e riciclo, con la conseguenza che Roma perde la materia primaria e secondaria che, con le nuove tecnologie, potrebbe aprire una nuova filiera economica ed energetica di grande interesse. Quello che manca è una visione strategica e strumenti di finanziamento dedicati. Certo, è difficile immaginare un provvedimento analogo alla legge 396/90 (Roma Capitale), dove si affermava all’art.1, che sono di preminente interesse nazionale gli interventi funzionali all’assolvimento da parte della città di Roma del ruolo di Capitale della Repubblica.

Levino Petrosemolo

In conclusione, un affermazione tanto reiterata che rischia di diventare un luogo comune, ma che purtroppo è lo specchio della realtà: Roma ha sofferto e continua a soffrire di una totale discontinuità negli indirizzi operativi e strategici dei policy maker che si sono succeduti alla sua guida, il cui unico interesse primario è sempre apparsa la demolizione sistematica, sia ideologica che pratica, dell’operato dei predecessori, sottraendo così, per buona parte del loro mandato, risorse umane e materiali alla continuità e alla efficienza amministrativa. Milano ha ampiamente dimostrato come si possono perseguire, anche tra amministratori di opposte vedute, obiettivi comuni di base e strategici che alla fine premiano anche in termini di consenso. La discontinuità assunta a sistema invece ottiene l’unico risultato di erodere l’efficacia degli investimenti e di scoraggiare l’arrivo di investitori privati.

Filippo Satta

Al termine di questo interessantissimo dibattito ringrazio il professor Auby per avere voluto dedicare parte del suo tempo italiano a farci visita. Ringrazio anche tutti gli altri partecipanti per aver propiziato un’iniziativa che, se da un lato investe i temi più tradizionali trattati da Apertacontrada, dall’altro si è immerso nelle problematiche quotidiane che noi, cittadini di questa capitale unica al mondo, ci troviamo a dover fronteggiare. Nella speranza che il discorso non si fermi qui, ma che sia soltanto l’inizio di un filone di sedute sul tema della città metropolitana in generale e in particolare di quella romana, vi porgo un cordiale saluto e un arrivederci.

Levino Petrosemolo
Filippo della Cananea

P.S.
L’incontro con Jean Bernard Auby è avvenuto il 10 gennaio del 2020. La trascrizione di questo incontro e la redazione dell’articolo sono avvenute tra il 20 marzo e il 3 aprile, due mesi e mezzo dopo. Nel frattempo, il mondo è imprevedibilmente e repentinamente cambiato ed è cambiato non secondo un piano prestabilito o per un’improvvisa accelerata tecnologica o istituzionale, ma per un evento che nessuno sul Pianeta avrebbe potuto mai immaginare solo 45 giorni fa. Si tratta di un cambiamento totale, del quale ancora non è possibile tracciare un bilancio o tantomeno fare previsioni, ma che sta sconvolgendo solidità economiche, istituzionali ed esistenziali che, pur nelle loro contenute oscillazioni quotidiane, apparivano comunque parte di un mainstream tetragono e inamovibile nel medio termine. È un cambiamento che potrebbe essere paragonato all’arrivo di una razza aliena sulla Terra, con tutto quello che ne consegue in termini di certezze e abitudini, sicurezza, vizi e virtù. Questo evento non potrà non avere ripercussioni notevolissime anche sul complesso dei temi che sono stati trattati nel presente articolo. Il problema vero è che nessuno di noi è allo stato attuale in grado di fare previsioni. Nel momento in cui l’emergenza finirà, tutto potrebbe tornare come prima, ma la convinzione è che non sarà così e che quindi tutte le affermazioni, le tendenze, le previsioni contenute nel dibattito, potrebbero prendere una strada completamente diversa. Tanto per fare un esempio, è possibile che un evento come questo, proprio per le conseguenze biologiche e antropologiche che sta comportando, non dia seguito ad una inversione di tendenza nei confronti dell’incremento demografico delle metropoli rispetto al resto del territorio? E che tale inversione non possa essere favorita dall’impennata dello smart working, dall’acquisizione dell’abitudine al distanziamento sociale e da un nuovo modo di intendere l’economia e lo sviluppo? È impossibile ora come ora sbilanciarsi in qualsiasi congettura, ma, in ossequio ad un ottimismo non di maniera, c’è da augurarsi che la tragedia in atto contenga in sè delle occasioni irripetibili per alleggerire l’umanità, e il sottile e delicatissimo strato di biosfera su cui vive, dai fardelli e dalle sovrastrutture materiali e immateriali di cui è stata sovraccaricata e intossicata negli ultimi 8 decenni.

L’incontro con J.B. Auby si è svolto nella sede di Apertacontrada, presso lo Studio Legale Satta Romano. Oltre il Prof. Auby, erano presenti, per quanto riguarda Apertacontrada, il Prof. Filippo Satta, Il Dott. Piero Ciocca, l’Avv. Anna Romano e il Prof. Fulvio Costantino. Per Prometeo (Progetto per Roma Metropoli Europea), erano presenti il Dott. Filippo Bucarelli, l’Arch. Filippo della Cananea e l’Ing. Franco Leccese. Era inoltre presente il Prof. Giacinto della Cananea, che ha consentito la presenza del Prof. Auby. L’Arch. Levino Petrosemolo, componente sia di Apertacontrada che di Prometeo, ha svolto la funzione da anello di collegamento tra le varie parti.

LP
Roma, 3 aprile 2020