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Sulla Nuova Via della Seta nell’ultimo Rapporto CER

di - 22 Maggio 2019
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Ci sono due motivi. Il primo deriva dalla diversità nella situazione economica all’interno della UE che ha spinto i paesi più deboli a cercare di sfruttare i possibili vantaggi e in vari casi a cercare aiuto e sostegno nella Cina. Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto mostra come vi siano ampie opportunità di aumentare scambi commerciali reciprocamente profittevoli con la Cina.

Ma più importante è il secondo motivo: una struttura istituzionale dell’Unione Europea che obiettivamente è tale per cui il rapporto tra i singoli paesi e Cina prevale nei fatti su quello tra UE e Cina. La Cina approfitta di questa situazione.

Quale dovrebbe essere allora l’atteggiamento corretto della UE nei confronti della Cina e della Belt and Road? Nel recente passato, pur tra tensioni, tra UE e Cina è prevalsa una logica di collaborazione nella convinzione di poter attirare la Cina nel modello europeo.

Prendiamo il caso delle reti mobili 5G. Sul sito della Commissione Europea dedicato al Digital Single Market in data 8 marzo 2019 si ricorda l’accordo del 2015 con impegno a reciprocità e apertura sulle reti 5G; accordo da sviluppare con la collaborazione tra “5G Infrastructure Public Private Partnership” (iniziativa congiunta di Commissione Europea e operatori europei nelle telecomunicazioni) e IMT-2020 5G Promotion Group (tra MIIT, MOST, NDRC).

Prevale invece oggi una logica di rivalità dettata dal timore dei grandi passi avanti compiuti dalla Cina. Ma si ignora un fatto importante: che nell’attuale fase della rivoluzione tecnologica e dell’Intelligenza Artificiale, dopo che le innovazioni radicali (“deep learning”) sono state fatte negli USA, in Canada e in Inghilterra, siamo in quella che è stata definita “età dell’implementazione”: e la Cina ha saputo sfruttare con successo questa fase per la capacità dei suoi imprenditori nelle innovazioni incrementali richieste; per i risultati di ricerca negli algoritmi richiesti, risultati che richiedono buona ma non eccezionale capacità; per la opportunità di creare e utilizzare i dati. In Cina ci sono quasi 5 milioni di laureati in materia scientifiche (molti dei quali specializzati negli USA); Huawei ha 80 mila ingegneri e investe $13 miliardi in ricerca all’anno.

In questa situazione richiami a questioni di sicurezza nell’utilizzo dei prodotti cinesi della rivoluzione digitale sono importanti, ma la preoccupazione principale dovrebbe essere puntare a una competizione tra capaci (alla lunga vincente per tutti) garantita da una appropriata regolazione sovranazionale.

Bisognerebbe puntare sulla rimozione delle “unfair practices” più che su una guerra commerciale che comporta sempre il rischio del protezionismo. A questo proposito l’Europa deve chiarirsi sul rapporto tra stato e mercato in settori strategici. E’ vero che la Cina aiuta in modo consistente i settori della rivoluzione digitale e dell’intelligenza artificiale; ma in settori dove ci sono così tante esternalità positive l’intervento dello Stato ha un suo ruolo che non può essere disconosciuto.

Un editoriale del Financial Times del 9 aprile giustamente invita l’UE a riflettere sul perché le sue istituzioni economiche e finanziarie sono meno efficaci nel generare i necessari investimenti e progresso tecnologico rispetto alle controparti cinesi, anche tenendo conto dei sussidi statali in Cina.

Secondo quell’articolo: la ricerca in Europa è troppo frammentata; istituzioni come la Banca Europea degli Investimenti e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo sono troppo piccole per competere con i loro equivalenti cinesi; l’UE si è troppo preoccupata di ridurre i deficit, compresi paesi come la Germania che hanno un grande spazio per investire; l’UE deve imparare a distinguere gli elementi che possono costituire una vera minaccia alla sicurezza nazionale da quelli che in realtà rivelano la debolezza dell’UE nel costruire le basi per un moderna economia a crescita elevata.

C’è poi da rispondere a una domanda sotto il profilo geo-politico: l’UE vuole veramente che continui il processo di attrazione verso la Cina di Russia, paesi dei Balcani, Turchia e Iran, come dimostrano le adesioni alla Eurasian Economic Union (fondata nel 2015 da Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan) e alla Shanghai Cooperation Organization (fondata nel 2001 da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Usbekistan, e alla quale si sono aggiunti come membri Pakistan, e India, come stati osservatori Mongolia, Bielorussia, Afghanistan e Iran, come “partners in dialogo” Azerbaijan, Turchia, Armenia, Sri Lanka, Cambogia e Nepal)

Bisognerebbe poi forse riflettere al fatto che Cina e Europa sono entrambe piene di problemi: per l’Europa, la difficoltà nella crescita e l’esigenza di un maggiore equilibrio tra le sue varie parti; per la Cina, una serie di squilibri economici, sociali e ambientali che vanno urgentemente risolti.

Forse Europa e Cina dovrebbero interagire per risolverli, tenendo anche conto che per i suoi problemi sociali e ambientali la Cina guarda più al modello europeo che a quello degli Stati Uniti; ma per affrontare altri importanti problemi globali (come gli effetti sociali della rivoluzione digitale, e i problemi ambientali globali) anche gli Stati Uniti andrebbero coinvolti.

Le prospettive non sono ottimistiche; la sfida di un rapporto costruttivo con la Cina è obiettivamente molto difficile; ma non c’è dubbio che sia necessario accoglierla se si vogliono evitare mali peggiori a tutta l’umanità.

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