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Una economia da rifondare

di - 29 Aprile 2019
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5) La distribuzione del reddito. La sperequazione distributiva è in Italia alta. La povertà è diffusa. L’una e l’altra collidono con l’equità e con la tenuta del corpo sociale. Ostacolano altresì lo sviluppo economico, perché limitano le possibilità dei meno abbienti di investire su se stessi e di contribuire al progresso del Paese. I criteri di progressività a cui l’art. 53 della Costituzione ispira il sistema tributario – l’opposto dell’assurdità di un’imposta “piatta” ! – devono inscriversi in una più generale opera perequatrice dello Stato, dalla spesa pubblica alla scuola, alla sanità.

6) Il Sud. Del generale ristagno del Paese ha in modo accentuato sofferto il Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione – 20% e oltre – ha superato il doppio del resto d’Italia. I meridionali sono tornati a emigrare. A propria volta l’arretramento del Sud ha rallentato l’intera economia. I sussidi e gli sgravi fiscali non risolvono. Le infrastrutture al Sud sono specialmente carenti. Nel Mezzogiorno è stata più forte che altrove la flessione degli investimenti di Stato ed enti locali: a prezzi costanti già nel 2014 si erano ridotti a un quinto rispetto al 1992, a meno di un quinto rispetto al Centro-Nord. Quindi, oltre che su servizi pubblici efficienti, è sugli investimenti della PA che va costruito un nuovo meridionalismo.

7) Infine, lEuropa. L’euro un’ottima moneta, che riscuote fiducia, irrinunciabile. I problemi strutturali dell’Italia sono tutti interni, a cominciare dalle pubbliche finanze. Ma nell’intera Euroarea ha fatto difetto la domanda globale. Lo confermano la bassa crescita del prodotto, la disoccupazione, l’attivo nei conti con l’estero. In particolare l’attivo è smodato – 8% del Pil – nel caso della Germania, il cui bilancio pubblico è addirittura in surplus perché anche lì gli investimenti pubblici latitano. In Italia è crollato il ponte di Genova, in Germania è a rischio quello di Leverkusen. E’ necessaria una coordinazione europea che situi la domanda globale dell’area sul livello del pieno impiego: i paesi in avanzo, a iniziare dalla Germania, devono effettuare maggiori investimenti pubblici, i paesi in deficit, a iniziare dall’Italia, devono accrescere il risparmio pubblico. Va superato l’assurdo divieto di finanziare anche con titoli di debito gli investimenti delle PA. Alla banca centrale va chiesto di conciliare la stabilità dei prezzi con la piena occupazione. A tale “doppio mandato” deve unirsi un credito di ultima istanza con cui, discrezionalmente, la banca centrale contrasti l’instabilità da qualunque eccesso di debiti, privati o pubblici, provocata.

Le azioni che ho prospettato configurano un “vasto programma”, direbbe de Gaulle. Pure, si devono pretendere da chi governerà l’Italia, e da un’Europa meno teutonica, meno ordoliberale.  Una manovra di bilancio che aumentasse, a un tempo gli investimenti e il risparmio della PA avrebbe in un biennio l’effetto netto di superare la recessione e quindi ridurre il deficit e il debito pubblico. Le altre proposte agiscono nel medio periodo. Se l’insieme di quelle azioni non verrà  prontamente impostato l’economia italiana patirà un’ulteriore involuzione. Ma, anche se lo sarà, risulterà decisiva la risposta delle imprese. La produttività dipende in ultima analisi da loro. In altre fasi storiche i produttori italiani hanno corrisposto alle sfide. L’hanno fatto quando Giolitti li sollecitò rendendo lo Stato imparziale nel conflitto fra capitale e lavoro, nazionalizzando i servizi affidati a concessionarie inefficienti, rivalutando la lira, pareggiando il bilancio. L’hanno fatto negli anni Cinquanta, preoccupati dalla prospettiva competitiva del Mercato Comune. L’hanno fatto solo in parte di fronte al dumping cinese, alla rivoluzione digitale, allo scadimento della cultura, della politica, delle istituzioni nell’Italia d’oggi. Qualora l’inettitudine neghittosa, ormai ventennale, di un’ampia sezione delle imprese persistesse sarebbe a rischio, con le sorti del Paese, la loro stessa sopravvivenza. Lo Stato non ha le risorse per soccorrerle, né per una nuova IRI che le rilevi.

La situazione è davvero grave. Non si può che continuare a sperare.

Lectio brevis all’Accademia dei Lincei,

Classe di Scienze morali, Roma,12 aprile 2019

 

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