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Pianificazione urbanistica e progettazione delle opere pubbliche nell’emergenza*

di - 27 Gennaio 2019
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E’ necessario però che il processo di pianificazione sia fortemente semplificato, in base a piani “elementari”.
Per redigerli è necessario valorizzare al massimo le conoscenze di base sui luoghi interessati dagli eventi calamitosi: i sistemi informativi territoriali debbono essere diffusi nella copertura territoriale dell’informazione, aggiornati e soprattutto «completi» nelle informazioni che contengono, nonché capaci di far accedere ad altre banche dati.
Dal terremoto che ha interessato la Valle del Belice, a quello del Friuli, quindi a quelli dell’Irpinia I e II (Napoli, compresa), poi quello dell’Umbria, di nuovo l’Umbria e le Marche, fino al più recente dell’Appennino centrale, in cinquanta anni è stato un continuo modificare la gerarchia del piano generale rispetto a quello attuativo. Forse, con la soluzione dei comparti e del condominio stazione appaltante, è stato trovato un punto di equilibrio. Si è iniziato con quello dell’Umbria della fine degli anni ’80
Tale algoritmo dovrebbe essere però meglio codificato. A L’Aquila la sua messa a punto ha richiesto molto tempo; nel caso dell’Umbria fu più facile associare le proprietà al piano di comparto. Dimensioni fisiche e valori economici in gioco hanno evidentemente determinato nel caso dell’Aquila una risposta diversa. Da qui anche la necessità di irrobustire l’approccio, nella malaugurata ipotesi che ci si dovrà di nuovo misurare con il problema.
Ancora più paradossale è stato l’equivoco creato tra indennizzi e contributi. Con conseguenze molto gravi, ovviamente, sulla ricostruzione. Nel caso dell’Aquila si dovette correggere addirittura la legge, specificando che si trattava di contributi con conseguente obbligo di impiegarli nella ricostruzione.
Il tema degli indennizzi rispetto ai contributi merita un più convincente trattamento. In sé e nelle considerazioni di lungo periodo: tra l’altro – oltre l’entità di quanto e come si eroga- vi è il problema dell’equità intergenerazionale: non si può essere colpiti dalla sfortuna di subire un terremoto ed a questa vedere aggiungersi quella delle condizioni economiche del momento nel quale si è colpiti, con riguardo allo stato della fiscalità pubblica generale soprattutto.
E’ di perenne attualità la questione dell’assicurazione obbligatoria delle opere edilizie pubbliche e private: una questione aperta alla quale l’Italia non riesce a dare ancora soluzione soddisfacente.
Ed ancora, cosa non abbiamo fatto per risarcire i conduttori di abitazioni illegali colpite da calamità: non potendoli risarcire perché non aventi titolo, in qualche caso si è inventato il risarcimento dei danni subiti dalle sole suppellettili presenti nelle abitazioni da loro condotte!
Anche in questi casi, – terremoti, alluvioni ed altri eventi calamitosi -, se c’è necessità e si ha chiarezza di intenti, un piano si può fare, ma bisogna farlo come si fa nel caso delle pre- urbanizzazioni secondo l’approccio tipico dell’«improvement» progressivo, come ci hanno insegnato le esperienze migliori della  urbanizzazione  operate da parte di paesi colonialisti , quali l’Inghilterra e la Francia ad esempio, vere maestri in questa materia. Forse la faccia migliore del colonialismo, se si può dire.

4. Anche il progetto, o meglio il «ciclo del progetto», può essere semplificato senza perdere la complessità che ogni progetto – anche quello apparentemente più elementare – implica.
Il “ciclo” del progetto dell’opera pubblica -fattibilità, definitivo, esecutivo-, può essere semplificato nelle condizioni di emergenza.
Con l’avvertenza che la complessità della progettazione però non può essere sottovalutata a vantaggio di un approccio semplicistico.
Come si può semplificare? La differenza tra le opere, «puntuali» e «lineari», incide molto. Nel primo caso, soprattutto quando le opere hanno origine nei piani, non si pone la questione decisiva della scelta tra alternative.
Progettare – lo ricordo – non è solo “projeter”, cioè proiettare in avanti. Ma è anche, se non soprattutto, scegliere tra alternative: di luogo, tipologiche, costruttive, gestionali. Ovviamente a parità di tipologia di opera.
Il livello di progettazione definito dal vigente Codice dei Contratti come “progetto di fattibilità tecnico economica” – il primo livello -, non può essere troppo semplificato. In specie per quanto riguarda la conoscenza (indagini di varia natura), soprattutto nel caso di nuove opere e quando queste non sono previste da un piano urbanistico – territoriale che abbia già incamerato conoscenze.
In qualche caso, anche la riparazione di un’opera danneggiata può costituire un’alternativa.
Non sono pochi i ponti stradali e ferroviari che nel mondo sono stati riparati. Per non dire delle opere edilizie.
Ovviamente se le condizioni lo consentono e senza cadere prigionieri dello slogan «qui, così, come era», che non sempre è possibile confermare nelle ricostruzioni.
Ciò vale non solo in senso formale, ma sostanziale. I luoghi possono assolutamente non essere adatti ad ospitare opere edilizie, anche se prima dell’evento calamitoso erano intensamente urbanizzati.
I piani urbanistici, territoriali e paesaggistici oggi sono preceduti da una ricerca di conoscenze molto ampia ed approfondita: costituiscono un buon «incipit» per la progettazione delle opere.
In condizioni di emergenza, tanto più quando le approvazioni e le autorizzazioni si acquisiscono sul progetto di fattibilità, è il progetto definitivo che può essere compresso, sviluppando gli aspetti fondamentali di ordine tecnico e soprattutto economico, rinviando per gli altri al progetto esecutivo, che anch’esso non può essere evitato – così come la sua validazione – in quanto prodromici all’appalto lavori.
Dalla “culla alla bara” si diceva una volta, quando si studiava il ciclo di vita di un opera e quindi il suo impatto, non solo preventivamente, cioè in fase di progetto, ma anche nel corso, appunto, della vita dell’opera.
Oggi pretendiamo di sapere come fare pensando anche all’oltre la vita: questo è il senso dell’economia   circolare applicata alle opere infrastrutturali ed edilizie in genere.
Emerge così un’ulteriore complessità di un progetto: decisioni sul post opera che devono essere prese già nella fase di concezione dell’opera.
Ci dobbiamo chiedere quali sono i «passi» topici del ciclo del progetto, in rapporto all’opera ed alle condizioni nelle quali si realizza, non solo quelle fattuali.
Anche le condizioni amministrative sono coinvolte: è il caso, ad esempio, di quando si deve riprendere e/o rivisitare un progetto che era stato abbandonato.
Non è obbligatorio ripercorrere tutti i passi!
Quelli essenziali sì. Anche il Codice dei Contratti vigente – che si occupa anche di questo – lo consente, sotto la responsabilità della stazione appaltante.

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