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Levino Petrosemolo, Pierluigi Ciocca, Francesco Karrer, Filippo Satta, Discorso a quattro sugli investimenti pubblici

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Il tema degli investimenti pubblici sta vivendo una stagione di grande popolarità, e non solo tra gli addetti ai lavori, a causa, purtroppo, di più di un evento tragico culminato con la catastrofe di Genova del 14 agosto 2018.
Cosa significa però affrontare e discutere del tema degli investimenti pubblici? Significa entrare in un complesso di considerazioni non sempre intuitive che richiedono competenza e consapevolezza delle componenti economiche e del bilancio dello Stato, oltrechè, ovviamente, di una propria radicata opinione delle prospettive di crescita di un paese.
Il tema degli investimenti pubblici può essere affrontato secondo tre diverse prospettive che possono confluire in un unico stream di discussione: la prima è il punto di vista dettato dall’emergenza, la seconda è quella della crescita di medio lungo termine, la terza è quella puramente ideologica, se per ideologia si intendono alcune visioni che si rifanno a concetti di mercato, ancorchè profondamente diverse tra loro, quale quella di Keynes e quella di Von Hayeck.
Per fare ciò, un architetto più avvezzo a districarsi tra leggi e piani di investimento, che non con piante, sezioni e prospettive, si è preso la briga di raccogliere attorno a un tavolo e di intervistare sul tema un grande economista che ha rivestito importanti responsabilità pubbliche in qualità di vicedirettore generale di Banca d’Italia, Pierluigi Ciocca, ed un illustre esperto di urbanistica e territorio, già Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il Prof. Arch. Franco Karrer. A conclusione della discussione, per aggiungere un alto contributo di natura giuridica al complesso dello scenario che si è delineato, è intervenuto il Prof. Filippo Satta, insigne giurista, che presenziava l’incontro insieme agli altri componenti di Apertacontrada.
Il risultato è riassumibile nel dialogo che segue.

PETROSEMOLO
Piero, nei nostri settimanali incontri presso Apertacontrada, vuoi per questioni contingenti e di emergenza, vuoi per una propensione naturale del nostro Gruppo ad affrontare i temi della crescita e dello sviluppo del nostro Paese, il tema degli investimenti pubblici torna con puntuale ricorrenza. In particolare tu ti fai sempre carico di ricordarci che è quasi inspiegabile come, in un Paese caratterizzato da una crescita economica asfittica, da un cronico gap infrastrutturale rispetto ai paesi nostri competitors e, come se non bastasse, da una gravissima situazione generalizzata di dissesto del territorio, aggravata dagli ormai palesi cambiamenti climatici, il tema degli investimenti pubblici non sia stato e non venga tuttora affrontato da uno qualunque dei governi che si sono succeduti da anni a questa parte in modo strategico e sistemico. Io più di una volta ti ho fatto presente che se, nel complesso del bilancio dello Stato, c’è stata una ipertrofica crescita della spesa corrente, non poteva che risentirne la spesa in conto capitale di cui fa parte la spesa per investimenti pubblici “produttivi”. In altre parole se tiri la coperta, senza aumentarla di dimensioni, inevitabilmente i piedi restano scoperti.

CIOCCA
Per affrontare il tema degli investimenti pubblici e tentare di dare dei suggerimenti si deve partire da una analisi della spesa pubblica, lato sensu, e della allocazione dei proventi dello Stato e della PA in generale. Il nodo è vedere dove va la spesa. Prendiamo a tale scopo i dati di Banca d’Italia sul Bilancio della P.A. del 2017, quindi aggiornati.
Su 839,60 miliardi di Euro di spesa totale, che costituiscono il 48,9 del PIL, il 92,2% è rappresentato dalla spesa corrente, e cioè 773, 92 miliardi di Euro. La spesa in conto capitale rappresenta solo il 17,8% della spesa totale, 65,67 miliardi di Euro. La spesa in conto capitale non è composta solo dalla spesa per investimenti produttivi, ma ben 32 miliardi (quindi quasi la metà) sono destinati all’acquisto di titoli o a contributi per gli investimenti, cioè trasferimenti alle imprese. Insomma, per gli investimenti fissi lordi (infrastrutture, messa in sicurezza del territorio, attrezzature pubbliche, ecc.) lo Stato destina 33, 70 miliardi di Euro, il 4% della spesa totale, l’1,9% del PIL. Mentre la spesa totale è cresciuta da 819, 33 miliardi del 2012 agli attuali  839,60, la corrispondente voce degli investimenti fissi lordi è scesa da 38,55 miliardi del 2012 agli attuali 33,70 miliardi richiamati.

PETROSEMOLO
C’è qualcosa che non va, insomma.

CIOCCA
C’è molto che non va. Accantoniamo per un momento lo stato pietoso in cui si trovano le infrastrutture italiane esistenti o il deficit di quelle che dovrebbero essere realizzate per stare al passo con gli altri paesi. Al di là del dissesto idrogeologico in cui è abbandonato il territorio italiano e che puntualmente rivela il suo stato ogni qualvolta si presenta un’emergenza, e cioè spessissimo, ciò che non viene compreso dai governi che si sono succeduti è che il destinare risorse finanziarie agli investimenti fissi avrebbe un formidabile effetto diretto e indotto sulla crescita economica del Paese. Stimolerebbe anche gli investimenti privati che, in definitiva, debbono costituire la spina dorsale della economia e incentivando anche l’afflusso di capitali esteri.

PETROSEMOLO
Ora però il tema è, data la inarrestabile contrazione della voce spesa in conto capitale che si è consumata nel giro degli ultimi anni per fare posto alla ipertrofia della spesa corrente, dove troviamo i soldi per incrementare gli investimenti fissi?

CIOCCA
Questa è la madre di tutte le domande. Per tentare di dare una risposta è necessario da un lato entrare nella composizione della spesa corrente e dall’altro valutare l’effetto sull’economia che può esercitare in particolare la spesa per investimenti.
La spesa corrente si articola in spesa per gli stipendi dell’apparato pubblico, spesa per gli acquisti per fare funzionare la macchina, pensioni, contributi alla produzione e agli investimenti, sanità, “altre spese correnti”, interessi. Stipendi, pensioni, interessi passivi e sanità da soli impegnano quasi l’80% della spesa corrente: una cifra enorme e incomprimibile allo stato attuale. Andare in particolare ad erodere sanità e pensioni significherebbe il venir meno del collante sociale. Restano purtuttavia 250 miliardi (15% del PIL) passibili di economie e razionalizzazioni in grado di consentire il raddoppio delle risorse attuali per gli investimenti fissi.

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