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Incrementalismo e connessione nella programmazione delle opere pubbliche: il nuovo rapporto con la pianificazione territoriale ed urbanistica

di - 6 Novembre 2018
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  1. Le due opere “vivono” nel territorio: nazionale-locale nel primo caso, solo locale nel secondo.
    Ma appartengono ai rispettivi territori, da questi sono vissute, abitate e come tali possedute.
    Non è azzardato definirle, alla loro scala, grandi opere.
    Probabilmente era difficile leggerle come tali – senz’altro nel caso del tombino di Mortisa –, allorché ne è stata decisa la costruzione.
    Oggi che le relazioni sociali ed economiche che queste opere consentivano sono spezzate, se ne comprende l’importanza. Ripeto: alla scala propria delle specifiche relazioni.
    La nozione di grande opera dovrebbe essere utilizzata quando le opere “creano” territori o consentono il loro rinnovo, indipendentemente dalla loro dimensione fisica. Se le opere non hanno questa funzione si dovrebbe parlare esclusivamente di grandi canteri. E ciò non è certo né una sottovalutazione della loro importanza né disprezzo per le grandi opere edili che, appunto, necessitano di grandi cantieri. Fonte spesso di fascino di per sé.
    Grandi opere sono, ovviamente, quelle per migliorare l’assetto idrogeologico del territorio, la prevenzione sismica, la sicurezza degli edifici strategici ed in generale la manutenzione dell’esistente. Sia se sono concentrate in un luogo, su un singolo edificio che diffuse nel territorio.
    Oramai che le dotazioni territoriali – opere lineari e attrezzature e, più in generale, le urbanizzazioni – sono diffuse un po’ in tutto il territorio, è difficile riconoscere quali opere sono “strutturanti” (il territorio) e quelle non che non lo sono.
    Questa era la storica distinzione tra le opere, in ispecie, di quelle infrastrutturali.
    Le strutturanti (di allora) non solo erano le grandi o le strategiche di oggi, ma costruivano il territorio. Al netto del fatto che strategiche sono per definizione quelle per la difesa del paese, le sedi delle istituzioni pubbliche, le attrezzature primarie, ecc.
  1. Incrementalità contro connessione. Lo ieri e l’oggi della pianificazione delle attrezzature e delle infrastrutture
    Tradizionalmente la pianificazione delle attrezzature e delle infrastrutture – così, da tempo diciamo – è di tipo incrementale. Procede per «aggiunte»[4].
    E non solo nella pianificazione di attrezzature e infrastrutture. Anche nella pianificazione urbana è stato così. Una nuova «porzione» di città viene aggiunta alla città esistente. Non a caso il meraviglioso pezzo di città voluto degli estensi a Ferrara si chiama «addizione erculea»!
    Più raramente si sostituisce ed ancora più raramente si rinnova, soprattutto nel senso che si abbatte e si ricostruisce.
    Tendiamo a sfruttare il più possibile i cosiddetti «capitali fissi sociali», come dicevano quando eravamo tutti un po’ marxisti.
    L’incrementalismo è stato più evidente nel campo delle reti. Abbiamo quasi sempre aggiunto «aste»: il sistema è diventato reticolare di fatto. Anche se spesso si è proceduto «a strappi». Le aggiunte sono state pensate come quasi autosufficienti; si è ritenuto che potessero essere autonome, capaci di soddisfare da sole la domanda; ad esempio, di spostamento delle persone, delle merci e delle informazioni.
    Spesso le cosiddette grandi opere hanno coinciso con questi strappi.
    Si è però finalmente compreso che così non era e non poteva essere.
    La rete, è noto, è per definizione gerarchica. Non è mai del tutto isotropa. Alcune aste ed alcuni nodi sono prevalenti. Non a caso la rete stradale è stata piegata per portare il traffico sulle tratte autostradali, in specie quando queste sono a pedaggio. Si è alterata la geografia delle relazioni e quindi lo spazio, ma si è anche risparmiato sull’adeguamento di «tutta» la rete. A scapito spesso della riconoscibilità del territorio.
    Altrettanto è avvenuto con l’alta velocità ferroviaria. Solo dopo alcuni anni si è compreso che la rete non ad alta velocità serve non solo ai pendolari, ma anche ad alimentare le stesse tratte ad alta velocità. Il TGV, dopo una prima fase, è stato comunicato come una «chance» dei territori regionali!
    Da ciò la sostituzione della nozione di incrementalismo con quella di integrazione/o connessione.
    A ben guardare la differenza è solo apparente: non è detto che un incrementalismo intelligentemente applicato non risponda alla logica della integrazione e della connessione.
    È a questo punto del ragionamento che l’integrazione e la connessione di rete – peraltro obiettivo ottimo – non è più sufficiente: l’integrazione e la connessione va realizzata anche con il territorio.
    Non tanto e solo in quanto dimensione fisica, ma soprattutto in quanto «deposito» della domanda. Nel caso delle infrastrutture di trasporto, della domanda di spostamento nelle molteplici forme: per lunghezza; per modalità di effettuazione dello spostamento; per la ragione dello spostamento; per la disponibilità a pagare per lo spostamento, ecc..
    Identico ragionamento è quello che va fatto per il trasporto delle merci e delle informazioni.
  1. Conclusioni (ovviamente) provvisorie
    L’uso dell’avverbio ovviamente non è di maniera. La materia è in continua evoluzione, come sempre quando ci si avvicina a nozioni quali territorio e città. Da ciò le interpretazioni, sempre nuove e sempre vecchie, che se ne fanno.
    Di seguito il tentativo di riassunto degli argomenti trattati:

    • nell’impatto più o meno ridotto e/o compensato, ambientale, sociale ed economico, dell’opera sul territorio, non si esaurisce il rapporto opere/territorio;
    • il rapporto tra opere e territorio è, sotto il profilo dell’assetto giuridico formale degli interessi, di dipendenza. Il territorio “comanda”. O meglio comanderebbe.

    Di fatto, oramai, è il territorio, cioè il piano, nelle diverse fattispecie, a conformarsi all’opera:

    • l’opera non è più strutturante il territorio. Questa antica funzione, nei territori “maturi” è oramai divenuta secondaria. Solo quando l’opera è nuova nella natura e nella funzione, può avere ancora questa capacità. È questo il caso dell’innovazione di funzioni ed usi, che anche senza avere un rilievo particolare dal punto di vista della dimensione fisica, innovano territorio e città. Da ciò la prevalenza nelle economie mature degli “usi” del territorio rispetto agli “assetti”, nel senso che alla nozione di assetto davamo ai tempi del DPR 616/1977, la cosiddetta seconda Costituzione italiana;

Note

4.  Il ministro dei trasporti francese Elisabeth Borne ha annunciato la fine dell’«addiction aux grands projets». Nell’intervista rilasciata a Le Monde (11/10/2018) ha anticipato questo orientamento al quale si ispirerà la nuova “legge di orientamento della mobilità” (LOM), che sarà presentata dal governo fine ottobre 2018.
Il problema che la preoccupa è soprattutto di ordine finanziario: le grandi opere sono in gran parte in un’«impasse» finanziario e non risponderebbero completamente ai bisogni dei cittadini.

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