Il consumo e la protezione del suolo: un raffronto tra Italia e Francia

Il suolo è tra le risorse naturali più importanti e vitali per il fabbisogno e per lo sviluppo della vita sul nostro Pianeta (CE, 2006). Si tratta di una componente chiave per il funzionamento dell’ecosistema, forse della «risorsa naturale basilare» (Leopold, 1924), ma che troppo spesso è lasciata in disparte e priva di una tutela giuridica uniforme e coerente.
In questo breve articolo si cercherà di mettere in evidenza il ruolo fondamentale del suolo nella vita dell’uomo nonché la necessarietà della costruzione pluridisciplinare di dispositivi giuridici pertinenti, al fine di valorizzare e di tutelare questa risorsa naturale. Queste esigenze trovano una giustificazione tramite il confronto della progressiva artificializzazione del suolo in Italia ed in Francia e dei rispettivi ordinamenti giuridici di questi due paesi.

The destruction of soil is the most fundamental kind of economic loss which the human race can suffer (Leopold, 1924)

1. Il suolo : elemento chiave del nostro ecosistema ?
Con il termine «suolo» si intende lo strato superficiale della crosta terrestre, una formazione naturale porosa, estremamente eterogenea, originata dall’alterazione del substrato roccioso e sviluppata nel tempo autonomamente, grazie all’influenza di fattori climatici biologici (pedofauna e pedoflora) (Baize, 2016).
Tenendo conto del suo ruolo vitale per il funzionamento naturale dell’ecosistema, e conseguentemente anche per l’essere umano, il suolo è più che una semplice risorsa naturale ed è fonte di un’ampia gamma di «servizi ecosistemici»[1] (Daily 1997, Munafo 2013, Baveye et al 2016).
In effetti, la «pedosfera» (dal greco: πέδον, pedon, suolo) si trova esattamente all’interfaccia tra il mondo organico e quello inorganico ed è luogo di innumerevoli processi biologici e fisico-chimici, che permettono il mantenimento della vita sul nostro pianeta. Per citare qualche esempio, il suolo è una «trappola ecologica» di numerosi gas serra, quali l’anidride carbonica (CO2), il protossido di azoto (N2O) o il metano (CH4). Le molecole di questi gas rimangono infatti fissate alle particelle che compongono ogni orizzonte pedologico[2], grazie all’attività di alcuni micro-organismi o di alcune piante. Ancora, il suolo permette il controllo di molte dinamiche idrologiche, dall’alimentazione delle acque sotterranee alla riduzione del rischio di ruscellamento ma anche alla filtrazione di numerose sostanze tossiche che sono trattenute nella rizosfera[3]. Tra queste funzioni, importante è anche la riserva di acqua che rimane disponibile per le piante. Tale disponibilità dipende essenzialmente dal tipo di pianta, ma soprattutto dalle caratteristiche fisiche del suolo e dalla sua porosità.
Accanto a tali funzioni fondamentali, il suolo resta anche il supporto materiale che permette lo svolgimento della vita dell’essere umano individualmente e collettivamente. In effetti, esso è garante della stabilità e della sicurezza dell’uomo, dello sviluppo dei centri abitati, cosi come li conosciamo oggigiorno. Il suolo è pilastro della vita e la sua necessità per l’uomo è talmente forte che Karl Polanyi nel 1944 affermava fosse «più facile immaginare di esser nati senza arti che di vivere senza un suolo sotto i piedi».

2. Una sintesi generale sulla nozione giuridica di “suolo” nell’ordinamento normativo francese ed in quello italiano
Il «suolo» in quanto tale è un elemento essenziale altresì sotto un profilo giuridico. Si pensi semplicemente al fatto che la potestà territoriale è uno dei tre elementi costitutivi dello Stato – insieme all’esistenza di un potere di governo e della popolazione –, affinché esso sia riconosciuto come tale dal diritto internazionale: il suolo permette di dare una vera e propria esistenza materiale al concetto stesso di Stato.
Nonostante la sua importanza, la definizione del suolo è stata per lungo tempo limitata al diritto di potestà territoriale dello Stato o, soprattutto in seguito alla Rivoluzione Francese, a quello di proprietà immobiliare, tralasciando il suo rilievo sotto un profilo ecologico e naturale.
In effetti, malgrado l’evidente dipendenza dell’uomo da questa risorsa naturale e il suo ruolo vitale per l’equilibrio ecosistemico del nostro Pianeta, il suolo resta una componente purtroppo dimenticata e poco presa in considerazione sotto il suo profilo ecologico. Il progresso nel mondo della ricerca è stato ostacolato per anni dall’estrema variabilità spaziale e verticale di questo micro-ecosistema ed allo stesso tempo le opere di sensibilizzazione destinate alla sua protezione non hanno potuto trovare un riscontro efficace sotto un profilo sia sociale che giuridico.
La Carte Europea dei suoli adottata nel 1972 dal Consiglio Europeo e la Carta Mondiale dei suoli, adottata nel 1981 dalla Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) e modificata a dicembre 2014 sono sicuramente tra le iniziative più importanti a livello sovranazionale, soprattutto per il fatto che esse sono specificamente incentrate sulla valorizzazione del suolo e della sua protezione giuridica in quanto tale.
Oltre a parlare al plurale di «suoli», mettendo in evidenza immediatamente l’esistenza di una grande varietà di suoli con propriétà e funzioni differenti, tali documenti si iscrivono in un contesto sociopolitico globalmente preoccupato dalla «questione ambientale» che negli anni ’80 ha portato alla nascita del concetto di «sustainable development» e che ha spinto il legislatore alla presa in considerazione dell’ambiente nell’ordinamento giuridico intenrnazionale e nazionale. I principi enunciati dalla Carta, dalla necessaria gestione durabile del suolo e la presa in considerazione della sua eterogeneità spaziotemporale e delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, al principio di trasversalità e di adattamento ad ogni singolo contesto socioeconomico per la gestione di questa risorsa, ne sono il riflesso più evidente.
Ciò nonostante, questo tipo di iniziative ha potuto ben poco imporsi sulle esigenze sociali ed economiche di ogni singolo Stato. In effetti, il concetto di trasversalità, proprio alla nozione giuridica stessa di «ambiente», è un’arma a doppio taglio che da un lato impone la cooperazione tra differenti discipline per la gestione ottimale di una risorsa che trascende il semplice campo economico o scientifico. Dall’altro, esso mette in evidenza l’estrema complessità per l’ordinamento giuridico e per l’apparato amministrativo di costruire strumenti pluridisciplinari che siano effettivamente vincolanti, soprattutto in un settore, quello della gestione delle risorse naturali, soggetto ad innumerevoli pressioni che a volte tendono a discostarsi da un quadro prettamente legale.
Ne risulta allora che la gestione e la protezione del suolo, e delle risorse naturali più in generale, sono lasciate ai singoli ordinamenti nazionali e le disposizioni giuridiche elaborate su scala internazionale non sono sempre interamente tradotte nel diritto interno soprattutto a causa di una necessità di adattamento ad ogni singolo contesto socio-economico. Pertanto, il suolo non riceve la stessa importanza giuridica che gli è riconosciuta a scala internazionale e la sua protezione o la sua gestione sono spesso regolamentate in modo frammentario (Girard et al., 2011) e suscettibile di creare non pochi conflitti tra le differenti amministrazioni dello Stato.

L’ordinamento giuridico francese ad esempio considera il suolo sotto due aspetti. Innanzitutto in quanto «superficie» geometrica sulla quale si fonda il diritto di proprietà. Tutto ciò che riguarda l’esercizio della proprietà del suolo e del sottosuolo e dei diritti relativi sono allora disciplinati essenzialmente dal Codice Civile (art. 552 c.c. e ss).
In secondo luogo, la legge francese disciplina il suolo in quanto «materia», ossia come elemento suscettibile di differenti utilizzazioni. Sotto questo profilo, il quadro normativo è ben più frammentato in quanto le regole generali sono fissate, in relazione ad ogni singolo contesto ed esigenza, dal diritto dell’urbanistica, dal diritto dell’ambiente, dal diritto minerario e dal diritto rurale.
Ma se nella normativa francese il suolo è menzionato in tutta una serie di codificazioni applicabili in ambiti ben differenti e talvolta contrastanti, altri dispositivi giuridici sono stati adottati negli anni, come la Loi biodiversité del 2016 (legge per la riconquista della biodiversità, della natura e dei paesaggi), che considera il suolo come una «risorsa genetica» e «patrimonio comune della Nazione» e dunque di interesse generale.
Un deficit di uniformità normativa è presente allo stesso tempo nel sistema giuridico italiano, che, sebbene continui ad avanzare in materia ambientale, in particolar modo grazie all’attività della Corte costituzionale[4], rimane viziato da un meccanismo amministrativo che non è di certo stato temperato dalla riforma del Titolo V Cost. del 2001 o dalla riforma cd. Renzi-Boschi del 2014.
Tuttavia, bisogna sottolineare che il sistema italiano, rispetto a quello francese, dispone nel Codice dell’Ambiente (d.lgs. 152/06) la presa in considerazione specifica del suolo nella sua dimensione naturale, agricola e soprattutto nella sua diversità tipologica (art. 94). L’intera parte terza del Codice è dedicata in primo luogo alla difesa del suolo e in seguito alla tutela e alla gestione delle risorse idriche, questo per sottolineare altresì l’impatto di questa risorsa sulle dinamiche idrologiche.
Nonostante dunque in Italia una buona parte della normativa relativa alla protezione del suolo sia concentrata nel Codice dell’Ambiente, resta l’incertezza delle disposizioni costituzionali, soprattutto per quanto riguarda la ripartizione delle competenze in materia «ambientale» tra le autorità centrali e locali dello Stato (art. 117 Cost.), eredità, questa, di riforme giuridiche relative al governo del territorio forse troppo poco pertinenti e coerenti.

3. Il “consumo di suolo zero” tra interessi contrastanti e politiche di sviluppo territoriale
Di recente spessore, in Italia, è il ddl. 2383 relativo al contenimento del consumo del suolo ed al riuso di suolo edificato. Tale documento, che segue in un certo senso la logica della Direttiva europea sulla protezione dei suoli del 2006, è stato approvato dalla Camera ed è ancora in fase di discussione al Senato.
Esso detta i princìpi fondamentali «per la valorizzazione e la tutela del suolo, con particolare riguardo alle superfici agricole e alle aree sottoposte a tutela paesaggistica, al fine di promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente, nonché di contenere il consumo di suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi ecosistemici, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici».
L’obiettivo principale del decreto è il raggiungimento di un consumo “zero” dei suoli entro il 2050, conformemente ai traguardi fissati dall’UE con la Soil Thematic Strategy e dai Millennium Development Goals, tramite il riuso di suoli già artificializzati.
In effetti, il testo di legge stabilisce che «il consumo di suolo è consentito esclusivamente nei casi in cui non esistano alternative consistenti nel riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse» e che «l’obbligo della priorità del riuso e della rigenerazione urbana comporta la necessità di una valutazione delle alternative di localizzazione che non determinino consumo di suolo».
Infatti, la dipendenza dell’uomo nei confronti di questa risorsa naturale si riflette nell’estensione dell’occupazione del suolo da parte di esso, la quale spesso conduce al suo deterioramento. L’occupazione del suolo, intesa quale appropriazione antropica di zone naturali e semi-naturali, comporta spesso la trasformazione dell’uso del suolo (costruzione, agricoltura, estrazione mineraria…), la sua artificializzazione, e, conseguentemente, la modificazione delle sue funzioni.
I differenti tipi di occupazione biofisica del suolo sono oggi elencati nella banca-dati europea Corine Land Cover (CLC) che arriva a stimare il tipo di occupazione tramite strumenti di foto-interpretazione di immagini satellitari e di telerilevamento.
In particolar modo, di fronte allo sviluppo sfrenato dell’urbanizzazione – fenomeno che risponde a cambiamenti demografici e ad esigenze socio-politiche su scala mondiale – il consumo del suolo risulta una delle preoccupazioni più urgenti di questi ultimi decenni. Secondo il sito PlanetoScope.com, ogni giorno nel mondo all’incirca 110 ettari di terreno vengono trasformati in zone urbane, e l’impatto che ne deriva spesso oltrepassa la semplice dimensione locale.
La situazione è ancora più allarmante se si considera che le pressioni esercitate dall’uomo sulle risorse pedologiche toccano oggi un punto critico (FAO, 1981), ma soprattutto per il fatto che questa risorsa naturale non è rinnovabile e che il suo deterioramento è spesso irreversibile[5]. Un suolo inquinato, nonostante le differenti tecniche di riabilitazione e decontaminazione, non ritornerà mai alle sue condizioni naturali ottimali.
La prima preoccupazione riguarda il fatto che l’artificializzazione dei suoli è causa primaria del loro inquinamento e dell’aumento del livello di tossicità che si estende all’atmosfera, tramite la volatilizzazione di certe sostanze chimiche (N2O, CO2, Hg, …), nonché alle risorse idriche. Tale inquinamento rappresenta un rischio importante per la salute dell’uomo ma anche per la biodiversità che popola il suolo e che gioca un ruolo vitale nel suo funzionamento. Si pensi ad esempio all’attuale dibattito sull’utilizzazione di pesticidi o di sostanze chimiche organiche utilizzate in agricoltura. In effetti, tali sostanze possono rimaner fissate nel suolo oppure lisciviate in profondità, contaminando spesso le acque sotterranee. Un altro esempio, ben più drastico, è la contaminazione di metalli pesanti nel suolo che, a differenza delle sostanze organiche, non sono biodegradabili e pertanto possono perdurare nel suolo anche per secoli.
La seconda preoccupazione, la quale è più pertinente al contenuto di questo articolo, riguarda il fatto che l’urbanizzazione del suolo comporta – anche se non necessariamente – la sua impermeabilizzazione (o cementificazione).
In effetti, il ddl. 2383 afferma che con il termine «consumo di suolo» si intende «l’incremento annuale netto della superficie agricola, naturale e semi-naturale, soggetta ad interventi di impermeabilizzazione», ossia «il cambiamento della natura o della copertura del suolo mediante interventi di copertura artificiale, scavo e rimozione del suolo non connessi all’attività agricola». Inoltre, con audacia, il testo aggiunge che il consumo di suolo è anche dovuto all’impermeabilizzazione mediante «altri interventi, comunque non connessi all’attività agricola, tali da eliminarne la permeabilità, anche per effetto della compattazione dovuta alla presenza di infrastrutture, manufatti e depositi permanenti di materiale». Con audacia perché, se da un lato il disegno di legge ha avuto il buon senso di escludere l’attività agricola dalle cause della compattazione[6], dall’altro, in alcuni casi può risultare complesso analizzare con precisione l’intensità delle variazioni della struttura degli orizzonti pedologici, la loro porosità o la loro densità.

In ogni caso, tale documento è abbastanza esaustivo in quanto afferma la volontà ed il dovere di tener conto delle specificità territoriali ma anche «delle caratteristiche qualitative dei suoli e delle loro funzioni ecosistemiche», che spaziano dalla produzione agricola alla sicurezza (agro)alimentare e alla tutela del paesaggio, il tutto, temperato dalle esigenze urbanistiche e di realizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche di interesse generale. In particolar modo, sarà compito delle autorità locali e dei Comuni, con l’incentivo delle Regioni, di promuovere strategie di rigenerazione urbana, incentivate dalle Regioni.
Tuttavia, bisogna sottolineare che tale disegno di legge rischia di esser viziato da un’imprecisione nella definizione del termine “consumo”. In effetti, come anche rilevato da Pasanisi 2017, un suolo agricolo non rappresenta un suolo naturale. Il dibattito relativo a quale sia la vera definizione di ambiente naturale e ambiente antropizzato è ben ampia e non verrà certamente approfondita in questa sede, ma merita di essere citata[7]. La necessità di tale osservazione nasce dal fatto che se l’intento del disegno di legge è quello di limitare l’antropizzazione del suolo, allora di certo l’attività agricola deve esser considerata un’attività potenzialmente dannosa, mentre il disegno di legge la esclude espressamente tra le cause di consumo del suolo, cosi come esso è definito dal testo. Come anche evidenziato dall’INRA, le attività agricole, cosi come quelle industriali, possono essere la fonte di contaminazioni diffuse di natura organica o inorganica e di inquinamenti locali del suolo. L’intensificazione delle pratiche agricole ed alcune tecniche di coltivazione possono favorire la degradazione fisica e chimica dei suoli (GisSol, 2011).
Cosi, le reazioni scaturite da questo disegno di legge si dividono tra chi lo ritiene uno strumento radicale per la tutela della risorsa suolo e degli spazi agricoli ed un’opposizione che critica la sua natura estremamente rigida.
Tra le critiche, Pasanisi 2017 afferma che il disegno di legge risponde ad obiettivi dettati “da interessi economici settoriali, legati al mondo agricolo” in quanto l’originario testo di legge era espressamente destinato alla valorizzazione delle aree agricole. Tale critica sembra fondata, anche per il fatto che – lo ripetiamo – il disegno di legge, quando parla di impermeabilizzazione, esclude categoricamente che qualsiasi intervento connesso all’attività agricola possa essere assimilato alla nozione di “consumo di suolo”.
Ciò nonostante, un obiettivo di tale portata, seppur settoriale, non dovrebbe ridurre l’interesse generale che in questo caso potrebbe avere il disegno di legge. L’agricoltura è in effetti forse il settore principale del nostro benessere ed esso necessita la costruzione di strumenti che incrementino il suo sviluppo economico e dunque territoriale, soprattutto in un contesto in cui la crescita demografica rappresenta una pressione estremamente vincolante in termini di occupazione degli spazi (GisSol, 2011).
In Italia, nel 2010 su poco più di 17 milioni di ettari, 30 milioni rappresentano la superficie agricola utile (Sau), in altre parole il 56,6% (ISTAT, 2017). Queste cifre mostrano comunque una riduzione lenta (- 3,3% rispetto agli anni precedenti) ma progressiva della superficie destinata ad attività agricole, il che potrebbe essere allarmante soprattutto con una popolazione che oggi conta più di 60 milioni di abitanti da sfamare.
Secondo l’INSEE (Institut National des statistiques et des ètudes èconomiques), in Francia, invece, la Sau rappresenta il 51% dei 55 milioni di ettari circa di suolo metropolitano. Ed infatti il dibattito francese sul consumo di spazi agricoli è all’ordine del giorno.
Per quanto riguarda l’importanza del tipo di utilizzazione del suolo, il disegno di legge in questione è stato costruito in gran parte a partire dei dati forniti dall’ISPRA[8]la quale è in prima linea per l’analisi, lo studio e la cartografia del livello di occupazione del suolo in Italia.
Secondo un rapporto del 2016, l’Italia presenta un tasso di consumo di suoli totale di 7,64%. Il fatto che tale tasso sia espresso in base alla superficie occupata e non al volume non deve stupire, visto che l’impermeabilizzazione riguarda essenzialmente (ma non sempre) gli orizzonti superficiali. Non bisogna però trascurare la già sottolineata variabilità verticale e spaziale del suolo, che potrebbe permettere variazioni positive o negative delle sue funzioni, nonostante lo strato superficiale resti impermeabile.
Secondo l’ISPRA, se i tassi di artificializzazione del suolo più importanti sono stati rilevati nei comuni meno popolosi – e quindi proporzionalmente più sensibili anche a piccole trasformazioni territoriali – le zone più toccate dal consumo del suolo, oltre ovviamente le grandi città metropolitane, sono soprattutto le zone circoscritte nella pianura Padano-Veneto-Romagnola.
Se in Italia questo fenomeno sembra relativamente localizzato, il che si può spiegare anche per la struttura e le formazioni geologiche superficiali del nostro Paese, in Francia l’artificializzazione dei suoli è più estesa ed è anch’essa fonte attuale di conflitti, soprattutto all’interno dell’esagono metropolitano, dove si discute dello sviluppo di nuovi centri urbani e peri-urbani a discapito delle zone agricole.
In Ile-de-France, per esempio, sono in corso numerosi dibattiti riguardanti il progetto «Paris-Saclay», la Silicon Valley d’Oltralpe lanciata dal Presidente Sarkozy nel 2010. Si tratta di un vero e proprio cluster, una concentrazione dei poli tecnici, scientifici e di ricerca più importanti del paese, con conseguenze immense da un punto di vista economico e sociale.
Tale progetto riguarda la zona del Plateau de Saclay, un territorio per lo più tradizionalmente agricolo, situato tra i dipartimenti d’Yvelines e dell’Essonne: si tratta di una delle grandi zone agricole più vicine alla capitale parigina.
Numerosi istituti di ricerca, tra i quali l’INRA[9], si sono mobilitati contro la realizzazione di questo progetto o comunque cercando di limitarne gli effetti nefasti soprattutto per l’ambiente ed il settore agricolo locale, tramite la promozione di studi e di progetti di ricerca volti alla valorizzazione del territorio del Plateau e delle sue risorse pedologiche. Ad esempio, è in corso di finalizzazione la cartografia pedologica della zona al fine di costituire uno strumento di expertise scientifica che possa aiutare le autorità pubbliche a pianificare i piani di sviluppo urbano. Altri progetti di ricerca si interessano alla quantificazione dei servizi ecosistemici dei suoli del Plateau ed alla loro spazializzazione.
La discussione relativa al tipo di occupazione del suolo è fondamentale per comprendere e ottimizzare la costruzione di strumenti che supportino il processo decisionale in materia di gestione territoriale.
Pasanisi 2017 mette l’accento sulla rigidità del disegno di legge e su una politica territoriale che troverebbe radici in teorie anti-urbane e che vedono nello sviluppo dei suoli agricoli un potenziale di reversibilità, “del tutto teorico”, che non può esser garantito dai suoli urbani.
Ciò può esser in parte smentito dal fatto che il disegno di legge prevede, ove possibile, il riuso di suoli urbani per l’installazione di attività agricole, il che non è sempre fattibile.
In realtà infatti, non si può negare che, nonostante le numerose e recenti ricerche relative alla funzionalità dei suoli urbani (Blanchart et al., 2017), i suoli agricoli garantiscano una funzionalità potenzialmente ben più elevata. Vi è in effetti una netta distinzione tra impermeabilizzazione del suolo e sua artificializzazione, in quanto solo la prima è suscettibile di annullare drasticamente quasi tutte le funzioni vitali svolte dal suolo.
La dicotomia spazi urbani-spazi agricoli è quindi ben pertinente e suscettibile di essere oggetto di un dibattito che rimonta alle prime opere storiche in materia, come in Francia durante l’Ancient Régime ed in Italia, sotto Ferdinando II, il quale ha contribuito alle prime politiche urbanistiche del Regno delle Due Sicilie ed alla costituzione del Consiglio edilizio nel 1839. In effetti, lo sviluppo urbano implica quasi sempre necessariamente la copertura, l’impermeabilizzazione di una superficie pedologica.
In tal contesto allora, è importante costruire delle metodologie che possano riuscire a bilanciare due interessi fondamentali. Da un lato, uno sviluppo urbano che risponda alla progressiva crescita demografica su scala nazionale e sovranazionale, ma anche alla predisposizione di grandi opere ed infrastrutture per ottimizzare le condizioni di vita di determinate aree, il che sembra esser preso in conto dal disegno di legge. Dall’altro, la tutela ed anzi la promozione dell’attività agricola e la necessità di preservare e tutelare siti naturali o semi-naturali, spingendo verso la loro eventuale riabilitazione.

Prospettive future: la necessaria cooperazione tra ricerca scientifica e pianificazione territoriale per un’azione coerente.
Per anni, le scienze del suolo hanno rappresentato una disciplina che ha interessato una cerchia ristretta di ricercatori e scienziati e che forse è stata troppo trascurata dalle autorità pubbliche. La grande eterogeneità di questa risorsa lascia ancora oggi un clima di incertezza nel suo studio, rendendo difficile così la presa di decisione per la sua tutela e la sua gestione. Gli sforzi sono però necessari, considerando il ruolo vitale dei suoli per il funzionamento del nostro ecosistema e le progressive pressioni che minacciano tale risorsa.
Come anche ben sottolineato da Michele Munafo, ricercatore ISPRA, l’impermeabilizzazione rappresenta la principale causa di degrado del suolo e dei suoi servizi ecosistemici. Essa intensifica il rischio di inondazione e di erosione, minaccia l’esistenza di flora e fauna, favorisce l’emissione di gas serra e quindi il riscaldamento globale. Per questo motivo, «il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo devono essere intese come un costo ambientale e […] una sostanziale alterazione dell’equilibrio ecologico» (Munafo, 2014).
Ad esempio, la cementificazione di un determinato volume di suolo comporta automaticamente la riduzione totale della sua capacità a immagazzinare del carbonio, che quindi verrà rilasciato nell’atmosfera, o della sua capacità di infiltrazione dell’acqua.
Come ripetuto più volte, le dinamiche dei flussi idrici nel suolo sono forse alla base dei più importanti servizi ecosistemici. Infatti, l’assenza di permeabilità implica il ruscellamento dell’acqua in superficie con un rischio importante di erosione e di inondazioni. Allo stesso tempo, in caso di falde acquifere, la riduzione della permeabilità in superficie ostacola la percolazione e interrompe in tal modo l’alimentazione delle acque sotterranee. Questi due esempi sono fondamentali e sono tra le prime preoccupazioni dei dispositivi destinati alla pianificazione urbana.
Ciò nonostante, quest’ultima è spesso effettuata senza alcuna presa in considerazione globale del suolo e dei processi che si svolgono al suo interno né della loro dimensione territoriale.
Sotto questo profilo, la coscienza della grande eterogeneità del suolo e la scala di azione sono due requisiti fondamentali per una migliore gestione di questa risorsa e per controllare la preservazione delle sue funzioni.
Per raggiungere questo doppio fine, il ruolo della cartografia pedologica è fondamentale, in quanto strumento principale per la gestione territoriale.
Facendo un esempio pratico, se in una determinata zona le acque sotterranee sono alimentate dall’infiltrazione di flussi idrici in suoli abbastanza sabbiosi (e quindi permeabili) situati puntualmente, l’analisi del terreno o la sua cartografia su scala regionale (e non locale !) possono facilmente trascurare questi hot spots e quindi incoraggiare le autorità pubbliche a piani urbanistici incoerenti e irrazionali (Scammacca, 2017). La gestione del territorio non può quindi prescindere dalla valorizzazione della diversità tipologica del suolo e delle sue proprietà, che possono essere più o meno suscettibili di fornire un determinato servizio ecosistemico.
Queste premesse ben evidenziano la necessaria relazione che dovrebbe sussistere tra l’expertise tecnico-scientifica e l’autorità pubblica ed il quadro normativo in materia di governo del territorio non può assolutamente prescindere da questa doppia veste.
Un ultimo punto fondamentale riguarda la nozione di «servizi ecosistemici». Nonostante si tratti di un concetto relativamente nuovo e relativamente vago, esso potrebbe forse essere la chiave per permettere una simbiosi tra il mondo della ricerca e le autorità incaricate del governo del territorio. Moltissimi ricercatori si sono interessati a questo tipo di approccio ed innumerevoli sono le pubblicazioni scientifiche nonché i casi di studio relativi all’utilizzazione di metodologie di qualificazione e quantificazione dei servizi ecosistemici del suolo.
Sotto questo punto di vista, l’Italia e la Francia, nonostante presentino due contesti differenti, vanno nella stessa direzione, soprattutto sotto le disposizioni generali comuni adottate dall’UE e le nuove iniziative internazionali, come People4Soil, che mirano alla presa in considerazione del suolo e della sua tutela quale necessità che oltrepassa le frontiere nazionali.
Allora, la volontà di volere tener conto degli aspetti biofisici del suolo e di incorporare le scienze pedologiche come strumento tecnico-scientifico di supporto al processo decisionale, deve essere, al contrario, considerato come un vantaggio del quale non è possibile fare a meno per sviluppare politiche di gestione territoriale e di sviluppo urbano più efficienti e coerenti alle caratteristiche del territorio.
Per concludere, da un lato è necessario comprendere la realtà locale del territorio per una sua migliore gestione, soprattutto grazie all’attenta identificazione di tutti gli attori interessati ed alla valutazione delle loro esigenze. Dall’altro, rimane la forte urgenza di coniugare in modo vincolante la ricerca scientifica con il ruolo svolto dalle autorità amministrative e legislative, per una presa di decisione che sia razionale e adattata alle grandi diversità locali presenti nell’insieme del territorio nazionale. La necessità è quella di conoscere in tutte le sue dimensioni il territorio per la sua gestione ottimale.

Referenze bibliografiche
Baize D., Petit Léxique de Pédologie, Quae, 2016
Baveye P. C., Baveye J., Gowdy J., June 2016, Soil “Ecosystem” Services and Natural Capital: Critical Appraisal of Research on Uncertain Ground, Frontiers, in Environmental Science, Vol. 4, Article 41.
Blanchart A., Sere G., Cherel J., Warot G., Stas M., Consales J.N., Schwartz C., Contribution des sols à la production de services ècosystémiques en milieu urbain – une revue, Les espaces verts urbains: èclairages sur les services ècosystémiques culturels, Environnement Urbain, Volume 11, 2017.
Ciabo S., Filpa A., Redigere il bilancio dell’uso del suolo: riflessioni e proposte operative, Giugno 2017
Daily, G. C. (1997). “Introduction: what are ecosystem services?” in Nature’s Services: Societal Dependence on Natural Ecosystems, ed G. C. Daily (Washington, DC: Island Press), 1–10
Disegno di legge di riforma costituzionale 12/04/2016, ddl.S., 2383, XVII Leg., Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato, Senato della Repubblica, 2017
EC, Soil Protection, The Story Behind the Strategy, 2006
FAO, Charte Mondiale des sols, 1981
GisSol, 2011, L’état des sols de France, Groupement d’intérêt scientifique sur les sols, 188 p
ISPRA, Qualità dell’ambiente urbano, XII Rapporto, Edizione 2016
ISTAT, Annuario Statistico Italiano, Cap. 13, Agricoltura, 2017
Leopold A., Erosion and Prosperity, The Essential Aldo Leopold: Quotations and Commentaries, 1924
Munafo M., I servizi ecosistemici del suolo, Interstezioni, 51, 2014
Scammacca O., Mise au point et première application d’une approche par indicateurs pour une quantification, spatialement explicite et dynamique des services ècosystémiques rendus par les sols, Rapport de stage de recherche, INRA, 2017.
Pasanisi S., Perché l’urbanistica non puo condividere la teoria del consumo di suolo zero, ApertaContrada, 26 luglio 2017.
Polanyi K., The Great Transformation, Farrar & Rinehart, 1944

Note

1. Con il termine «servizi ecosistemici» si intendono quelli di cui l’uomo beneficia grazie all’attività ed al funzionamento dell’ecosistema e delle sue componenti. Si tratta di una nozione relativamente recente che tende ad elencare, qualificare e quantificare tutte le funzioni di supporto alla vita degli ecosistemi con l’obiettivo di sensibilizzare e informare la società, di sviluppare la ricerca scientifica ma soprattutto di sostenere e facilitare i processi decisionali delle grandi autorità pubbliche e private in materia di gestione e tutela dell’ambiente.

2. Si tratta degli strati che compongono verticalmente il suolo, in modo regolare ed irregolare. Essi si distinguono per le differenze di colore, granulometria, struttura, umidità, presenza di rocce, ed altri parametri biologici, fisici o chimici.

3. Nb. La rizosfera è quella porzione di suolo che circonda le radici delle piante e che può arrivare a superare un metro di profondità. Oltre alla fissazione di sostanze tossiche organiche, tramite i processi di fito-stabilizzazione, fito-estrazione e fito-accumulazione, negli ultimi decenni la ricerca ha potuto studiare l’esistenza di piante dette «iper-accumulatrici», capaci di assorbire anche sostanze organiche, come alcuni metalli pesanti, tramite la chelazione nella rizosfera. Queste sostanze vengono allora trasportate tramite alcuni vettori biologici verso la parte superficiale della pianta ed accumulate nelle foglie.

4. Cfr. Corte cost., sentt. nn. 167, 210 e 641 del 1987; nn. 324 e 391 del 1989; n. 127 del 1990; n. 437 del 1991 ; n. 407/2002 ; n. 62 del 2005 ; nn. 367 e 378 del 2007 ; nn. 223, 225, 232 e 315 del 2009

5. Oggi la ricerca sta facendo passi da gigante nello sviluppo di nuovi metodi destinati alla riabilitazione di suoli contaminati o artificiali e delle loro funzioni. Un esempio ne è l’esistenza di «Technosol», dei suoli «costruiti» a partire di strati naturali e resti di suolo contaminato.

6. Spesso molte pratiche rurali non possono ancora fare a meno di strumenti e di macchine pesanti che modificano la struttura del suolo, soprattutto in superficie.

7. Per questo si parla spesso di zone «semi-naturali», intese come quelle aree in cui la vegetazione ha subito in qualche misura gli effetti del disturbo antropico ma che conserva molte specie spontanee (unipg.it).

8. Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

9. Institut National de la Recherche Agronomique.