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Il consumo e la protezione del suolo: un raffronto tra Italia e Francia

di - 10 Aprile 2018
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In ogni caso, tale documento è abbastanza esaustivo in quanto afferma la volontà ed il dovere di tener conto delle specificità territoriali ma anche «delle caratteristiche qualitative dei suoli e delle loro funzioni ecosistemiche», che spaziano dalla produzione agricola alla sicurezza (agro)alimentare e alla tutela del paesaggio, il tutto, temperato dalle esigenze urbanistiche e di realizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche di interesse generale. In particolar modo, sarà compito delle autorità locali e dei Comuni, con l’incentivo delle Regioni, di promuovere strategie di rigenerazione urbana, incentivate dalle Regioni.
Tuttavia, bisogna sottolineare che tale disegno di legge rischia di esser viziato da un’imprecisione nella definizione del termine “consumo”. In effetti, come anche rilevato da Pasanisi 2017, un suolo agricolo non rappresenta un suolo naturale. Il dibattito relativo a quale sia la vera definizione di ambiente naturale e ambiente antropizzato è ben ampia e non verrà certamente approfondita in questa sede, ma merita di essere citata[7]. La necessità di tale osservazione nasce dal fatto che se l’intento del disegno di legge è quello di limitare l’antropizzazione del suolo, allora di certo l’attività agricola deve esser considerata un’attività potenzialmente dannosa, mentre il disegno di legge la esclude espressamente tra le cause di consumo del suolo, cosi come esso è definito dal testo. Come anche evidenziato dall’INRA, le attività agricole, cosi come quelle industriali, possono essere la fonte di contaminazioni diffuse di natura organica o inorganica e di inquinamenti locali del suolo. L’intensificazione delle pratiche agricole ed alcune tecniche di coltivazione possono favorire la degradazione fisica e chimica dei suoli (GisSol, 2011).
Cosi, le reazioni scaturite da questo disegno di legge si dividono tra chi lo ritiene uno strumento radicale per la tutela della risorsa suolo e degli spazi agricoli ed un’opposizione che critica la sua natura estremamente rigida.
Tra le critiche, Pasanisi 2017 afferma che il disegno di legge risponde ad obiettivi dettati “da interessi economici settoriali, legati al mondo agricolo” in quanto l’originario testo di legge era espressamente destinato alla valorizzazione delle aree agricole. Tale critica sembra fondata, anche per il fatto che – lo ripetiamo – il disegno di legge, quando parla di impermeabilizzazione, esclude categoricamente che qualsiasi intervento connesso all’attività agricola possa essere assimilato alla nozione di “consumo di suolo”.
Ciò nonostante, un obiettivo di tale portata, seppur settoriale, non dovrebbe ridurre l’interesse generale che in questo caso potrebbe avere il disegno di legge. L’agricoltura è in effetti forse il settore principale del nostro benessere ed esso necessita la costruzione di strumenti che incrementino il suo sviluppo economico e dunque territoriale, soprattutto in un contesto in cui la crescita demografica rappresenta una pressione estremamente vincolante in termini di occupazione degli spazi (GisSol, 2011).
In Italia, nel 2010 su poco più di 17 milioni di ettari, 30 milioni rappresentano la superficie agricola utile (Sau), in altre parole il 56,6% (ISTAT, 2017). Queste cifre mostrano comunque una riduzione lenta (- 3,3% rispetto agli anni precedenti) ma progressiva della superficie destinata ad attività agricole, il che potrebbe essere allarmante soprattutto con una popolazione che oggi conta più di 60 milioni di abitanti da sfamare.
Secondo l’INSEE (Institut National des statistiques et des ètudes èconomiques), in Francia, invece, la Sau rappresenta il 51% dei 55 milioni di ettari circa di suolo metropolitano. Ed infatti il dibattito francese sul consumo di spazi agricoli è all’ordine del giorno.
Per quanto riguarda l’importanza del tipo di utilizzazione del suolo, il disegno di legge in questione è stato costruito in gran parte a partire dei dati forniti dall’ISPRA[8]la quale è in prima linea per l’analisi, lo studio e la cartografia del livello di occupazione del suolo in Italia.
Secondo un rapporto del 2016, l’Italia presenta un tasso di consumo di suoli totale di 7,64%. Il fatto che tale tasso sia espresso in base alla superficie occupata e non al volume non deve stupire, visto che l’impermeabilizzazione riguarda essenzialmente (ma non sempre) gli orizzonti superficiali. Non bisogna però trascurare la già sottolineata variabilità verticale e spaziale del suolo, che potrebbe permettere variazioni positive o negative delle sue funzioni, nonostante lo strato superficiale resti impermeabile.
Secondo l’ISPRA, se i tassi di artificializzazione del suolo più importanti sono stati rilevati nei comuni meno popolosi – e quindi proporzionalmente più sensibili anche a piccole trasformazioni territoriali – le zone più toccate dal consumo del suolo, oltre ovviamente le grandi città metropolitane, sono soprattutto le zone circoscritte nella pianura Padano-Veneto-Romagnola.
Se in Italia questo fenomeno sembra relativamente localizzato, il che si può spiegare anche per la struttura e le formazioni geologiche superficiali del nostro Paese, in Francia l’artificializzazione dei suoli è più estesa ed è anch’essa fonte attuale di conflitti, soprattutto all’interno dell’esagono metropolitano, dove si discute dello sviluppo di nuovi centri urbani e peri-urbani a discapito delle zone agricole.
In Ile-de-France, per esempio, sono in corso numerosi dibattiti riguardanti il progetto «Paris-Saclay», la Silicon Valley d’Oltralpe lanciata dal Presidente Sarkozy nel 2010. Si tratta di un vero e proprio cluster, una concentrazione dei poli tecnici, scientifici e di ricerca più importanti del paese, con conseguenze immense da un punto di vista economico e sociale.
Tale progetto riguarda la zona del Plateau de Saclay, un territorio per lo più tradizionalmente agricolo, situato tra i dipartimenti d’Yvelines e dell’Essonne: si tratta di una delle grandi zone agricole più vicine alla capitale parigina.
Numerosi istituti di ricerca, tra i quali l’INRA[9], si sono mobilitati contro la realizzazione di questo progetto o comunque cercando di limitarne gli effetti nefasti soprattutto per l’ambiente ed il settore agricolo locale, tramite la promozione di studi e di progetti di ricerca volti alla valorizzazione del territorio del Plateau e delle sue risorse pedologiche. Ad esempio, è in corso di finalizzazione la cartografia pedologica della zona al fine di costituire uno strumento di expertise scientifica che possa aiutare le autorità pubbliche a pianificare i piani di sviluppo urbano. Altri progetti di ricerca si interessano alla quantificazione dei servizi ecosistemici dei suoli del Plateau ed alla loro spazializzazione.
La discussione relativa al tipo di occupazione del suolo è fondamentale per comprendere e ottimizzare la costruzione di strumenti che supportino il processo decisionale in materia di gestione territoriale.
Pasanisi 2017 mette l’accento sulla rigidità del disegno di legge e su una politica territoriale che troverebbe radici in teorie anti-urbane e che vedono nello sviluppo dei suoli agricoli un potenziale di reversibilità, “del tutto teorico”, che non può esser garantito dai suoli urbani.
Ciò può esser in parte smentito dal fatto che il disegno di legge prevede, ove possibile, il riuso di suoli urbani per l’installazione di attività agricole, il che non è sempre fattibile.
In realtà infatti, non si può negare che, nonostante le numerose e recenti ricerche relative alla funzionalità dei suoli urbani (Blanchart et al., 2017), i suoli agricoli garantiscano una funzionalità potenzialmente ben più elevata. Vi è in effetti una netta distinzione tra impermeabilizzazione del suolo e sua artificializzazione, in quanto solo la prima è suscettibile di annullare drasticamente quasi tutte le funzioni vitali svolte dal suolo.
La dicotomia spazi urbani-spazi agricoli è quindi ben pertinente e suscettibile di essere oggetto di un dibattito che rimonta alle prime opere storiche in materia, come in Francia durante l’Ancient Régime ed in Italia, sotto Ferdinando II, il quale ha contribuito alle prime politiche urbanistiche del Regno delle Due Sicilie ed alla costituzione del Consiglio edilizio nel 1839. In effetti, lo sviluppo urbano implica quasi sempre necessariamente la copertura, l’impermeabilizzazione di una superficie pedologica.
In tal contesto allora, è importante costruire delle metodologie che possano riuscire a bilanciare due interessi fondamentali. Da un lato, uno sviluppo urbano che risponda alla progressiva crescita demografica su scala nazionale e sovranazionale, ma anche alla predisposizione di grandi opere ed infrastrutture per ottimizzare le condizioni di vita di determinate aree, il che sembra esser preso in conto dal disegno di legge. Dall’altro, la tutela ed anzi la promozione dell’attività agricola e la necessità di preservare e tutelare siti naturali o semi-naturali, spingendo verso la loro eventuale riabilitazione.

Note

7. Per questo si parla spesso di zone «semi-naturali», intese come quelle aree in cui la vegetazione ha subito in qualche misura gli effetti del disturbo antropico ma che conserva molte specie spontanee (unipg.it).

8. Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

9. Institut National de la Recherche Agronomique.

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