Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Il consumo e la protezione del suolo: un raffronto tra Italia e Francia

di - 10 Aprile 2018
      Stampa Stampa      

L’ordinamento giuridico francese ad esempio considera il suolo sotto due aspetti. Innanzitutto in quanto «superficie» geometrica sulla quale si fonda il diritto di proprietà. Tutto ciò che riguarda l’esercizio della proprietà del suolo e del sottosuolo e dei diritti relativi sono allora disciplinati essenzialmente dal Codice Civile (art. 552 c.c. e ss).
In secondo luogo, la legge francese disciplina il suolo in quanto «materia», ossia come elemento suscettibile di differenti utilizzazioni. Sotto questo profilo, il quadro normativo è ben più frammentato in quanto le regole generali sono fissate, in relazione ad ogni singolo contesto ed esigenza, dal diritto dell’urbanistica, dal diritto dell’ambiente, dal diritto minerario e dal diritto rurale.
Ma se nella normativa francese il suolo è menzionato in tutta una serie di codificazioni applicabili in ambiti ben differenti e talvolta contrastanti, altri dispositivi giuridici sono stati adottati negli anni, come la Loi biodiversité del 2016 (legge per la riconquista della biodiversità, della natura e dei paesaggi), che considera il suolo come una «risorsa genetica» e «patrimonio comune della Nazione» e dunque di interesse generale.
Un deficit di uniformità normativa è presente allo stesso tempo nel sistema giuridico italiano, che, sebbene continui ad avanzare in materia ambientale, in particolar modo grazie all’attività della Corte costituzionale[4], rimane viziato da un meccanismo amministrativo che non è di certo stato temperato dalla riforma del Titolo V Cost. del 2001 o dalla riforma cd. Renzi-Boschi del 2014.
Tuttavia, bisogna sottolineare che il sistema italiano, rispetto a quello francese, dispone nel Codice dell’Ambiente (d.lgs. 152/06) la presa in considerazione specifica del suolo nella sua dimensione naturale, agricola e soprattutto nella sua diversità tipologica (art. 94). L’intera parte terza del Codice è dedicata in primo luogo alla difesa del suolo e in seguito alla tutela e alla gestione delle risorse idriche, questo per sottolineare altresì l’impatto di questa risorsa sulle dinamiche idrologiche.
Nonostante dunque in Italia una buona parte della normativa relativa alla protezione del suolo sia concentrata nel Codice dell’Ambiente, resta l’incertezza delle disposizioni costituzionali, soprattutto per quanto riguarda la ripartizione delle competenze in materia «ambientale» tra le autorità centrali e locali dello Stato (art. 117 Cost.), eredità, questa, di riforme giuridiche relative al governo del territorio forse troppo poco pertinenti e coerenti.

3. Il “consumo di suolo zero” tra interessi contrastanti e politiche di sviluppo territoriale
Di recente spessore, in Italia, è il ddl. 2383 relativo al contenimento del consumo del suolo ed al riuso di suolo edificato. Tale documento, che segue in un certo senso la logica della Direttiva europea sulla protezione dei suoli del 2006, è stato approvato dalla Camera ed è ancora in fase di discussione al Senato.
Esso detta i princìpi fondamentali «per la valorizzazione e la tutela del suolo, con particolare riguardo alle superfici agricole e alle aree sottoposte a tutela paesaggistica, al fine di promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente, nonché di contenere il consumo di suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi ecosistemici, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici».
L’obiettivo principale del decreto è il raggiungimento di un consumo “zero” dei suoli entro il 2050, conformemente ai traguardi fissati dall’UE con la Soil Thematic Strategy e dai Millennium Development Goals, tramite il riuso di suoli già artificializzati.
In effetti, il testo di legge stabilisce che «il consumo di suolo è consentito esclusivamente nei casi in cui non esistano alternative consistenti nel riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse» e che «l’obbligo della priorità del riuso e della rigenerazione urbana comporta la necessità di una valutazione delle alternative di localizzazione che non determinino consumo di suolo».
Infatti, la dipendenza dell’uomo nei confronti di questa risorsa naturale si riflette nell’estensione dell’occupazione del suolo da parte di esso, la quale spesso conduce al suo deterioramento. L’occupazione del suolo, intesa quale appropriazione antropica di zone naturali e semi-naturali, comporta spesso la trasformazione dell’uso del suolo (costruzione, agricoltura, estrazione mineraria…), la sua artificializzazione, e, conseguentemente, la modificazione delle sue funzioni.
I differenti tipi di occupazione biofisica del suolo sono oggi elencati nella banca-dati europea Corine Land Cover (CLC) che arriva a stimare il tipo di occupazione tramite strumenti di foto-interpretazione di immagini satellitari e di telerilevamento.
In particolar modo, di fronte allo sviluppo sfrenato dell’urbanizzazione – fenomeno che risponde a cambiamenti demografici e ad esigenze socio-politiche su scala mondiale – il consumo del suolo risulta una delle preoccupazioni più urgenti di questi ultimi decenni. Secondo il sito PlanetoScope.com, ogni giorno nel mondo all’incirca 110 ettari di terreno vengono trasformati in zone urbane, e l’impatto che ne deriva spesso oltrepassa la semplice dimensione locale.
La situazione è ancora più allarmante se si considera che le pressioni esercitate dall’uomo sulle risorse pedologiche toccano oggi un punto critico (FAO, 1981), ma soprattutto per il fatto che questa risorsa naturale non è rinnovabile e che il suo deterioramento è spesso irreversibile[5]. Un suolo inquinato, nonostante le differenti tecniche di riabilitazione e decontaminazione, non ritornerà mai alle sue condizioni naturali ottimali.
La prima preoccupazione riguarda il fatto che l’artificializzazione dei suoli è causa primaria del loro inquinamento e dell’aumento del livello di tossicità che si estende all’atmosfera, tramite la volatilizzazione di certe sostanze chimiche (N2O, CO2, Hg, …), nonché alle risorse idriche. Tale inquinamento rappresenta un rischio importante per la salute dell’uomo ma anche per la biodiversità che popola il suolo e che gioca un ruolo vitale nel suo funzionamento. Si pensi ad esempio all’attuale dibattito sull’utilizzazione di pesticidi o di sostanze chimiche organiche utilizzate in agricoltura. In effetti, tali sostanze possono rimaner fissate nel suolo oppure lisciviate in profondità, contaminando spesso le acque sotterranee. Un altro esempio, ben più drastico, è la contaminazione di metalli pesanti nel suolo che, a differenza delle sostanze organiche, non sono biodegradabili e pertanto possono perdurare nel suolo anche per secoli.
La seconda preoccupazione, la quale è più pertinente al contenuto di questo articolo, riguarda il fatto che l’urbanizzazione del suolo comporta – anche se non necessariamente – la sua impermeabilizzazione (o cementificazione).
In effetti, il ddl. 2383 afferma che con il termine «consumo di suolo» si intende «l’incremento annuale netto della superficie agricola, naturale e semi-naturale, soggetta ad interventi di impermeabilizzazione», ossia «il cambiamento della natura o della copertura del suolo mediante interventi di copertura artificiale, scavo e rimozione del suolo non connessi all’attività agricola». Inoltre, con audacia, il testo aggiunge che il consumo di suolo è anche dovuto all’impermeabilizzazione mediante «altri interventi, comunque non connessi all’attività agricola, tali da eliminarne la permeabilità, anche per effetto della compattazione dovuta alla presenza di infrastrutture, manufatti e depositi permanenti di materiale». Con audacia perché, se da un lato il disegno di legge ha avuto il buon senso di escludere l’attività agricola dalle cause della compattazione[6], dall’altro, in alcuni casi può risultare complesso analizzare con precisione l’intensità delle variazioni della struttura degli orizzonti pedologici, la loro porosità o la loro densità.

Note

4. Cfr. Corte cost., sentt. nn. 167, 210 e 641 del 1987; nn. 324 e 391 del 1989; n. 127 del 1990; n. 437 del 1991 ; n. 407/2002 ; n. 62 del 2005 ; nn. 367 e 378 del 2007 ; nn. 223, 225, 232 e 315 del 2009

5. Oggi la ricerca sta facendo passi da gigante nello sviluppo di nuovi metodi destinati alla riabilitazione di suoli contaminati o artificiali e delle loro funzioni. Un esempio ne è l’esistenza di «Technosol», dei suoli «costruiti» a partire di strati naturali e resti di suolo contaminato.

6. Spesso molte pratiche rurali non possono ancora fare a meno di strumenti e di macchine pesanti che modificano la struttura del suolo, soprattutto in superficie.

Pagine: 1 2 3 4


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy