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Crisi della politica e processo economico. Il caso Italia

di - 3 Aprile 2018
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Detta caratteristica della politica non esclude, peraltro, la necessità di una giustificazione razionale dell’esercizio di compiti che si estrinsecano in un dominio dell’uomo sull’uomo; donde l’obbligo a carico di coloro che sono a capo di una comunità sociale di strutturare gli interventi posti in essere, finalizzandone i contenuti alle esigenze collettive.[5] Ne consegue che i governanti  devono essere in grado di valutare appieno gli effetti della propria azione (che interferisce nella sfera del privato) e, in particolare, di comprendere se, e in quale misura, i destinatari della medesima possano sopportarne l’incidenza. Diversamente – oltre alla configurabilità di un’ipotesi di arbitrio da parte dello Stato – si assiste all’affermazione di un ‘dominio’ che è contrario ai canoni del «contratto sociale» il quale, com’è noto, è alla base dei moderni modelli di rifondazione della società civile.[6]
In tale premessa – e venendo alle vicende dei nostri giorni – emerge con chiarezza come, in presenza dei processi evolutivi dell’economia che, negli ultimi decenni, hanno assunto una particolare accelerazione (anche a causa della finanziarizzazione dei sistemi) si siano determinati i presupposti per un mutamento della pregressa relazione biunivoca tra la medesima e la politica. L’economia ha acquisito, pertanto, peculiare centralità nella definizione dei modelli organizzativi finalizzati a conferire concretezza fattuale al potere politico; ciò, con ipotizzabili conseguenze anche sulla essenza della democrazia, ritenuta da un’autorevole dottrina propositiva di una costituzione politica che, meglio di ogni altra, consente uno schema organizzativo volto a garantire «la più ampia e più sicura partecipazione della maggior parte dei cittadini … alle decisioni che interessano tutta la collettività».[7]
A ben considerare, la politica non ha saputo interpretare adeguatamente la portata delle modifiche di sistema sopra indicate ed ha mostrato di non saper governare l’innovazione fenomenica indotta dalla globalizzazione. Sicchè essa non è riuscita ad incanalare in idonei meccanismi regolatori il cambiamento della realtà economica, di cui si è detto, e conseguentemente di taluni aspetti degenerativi di quest’ultima, come la crisi che nel decorso decennio ha funestato molti Paesi, sottoponendo le popolazioni a gravi sacrifici. La politica ha assunto, in tal modo, un atteggiamento sostanzialmente abdicativo della propria funzione istituzionale; non è stata in grado di assolvere al suo ruolo primario di progettare lo sviluppo della società civile attraverso la formazione di regole volte ad assicurare la congruità dei processi evolutivi (finalizzandone gli esiti alla crescita degli ordinamenti).
Tale carenza interventistica ha determinato una linea recessiva della politica che si è risolta in una sorta di autolesionismo: le istituzioni UE hanno svolto un’azione inadeguata, circoscritta in via prevalente all’imposizione di un’austerity che ha dimostrato «la profonda debolezza dei meccanismi di solidarietà, coesione sociale e riduzione delle diseguaglianze».[8] Da qui dure contestazioni indicative di una  profonda disillusione della cittadinanza europea verso la possibilità di realizzare il progetto europeo.[9] Si individua un contesto sistemico nel quale si aggiungono nuovi fattori negativi alla pregressa, limitata tendenza dell’esecutivo europeo a promuovere «gli impulsi necessari»  per lo sviluppo (art. 15 TUE ); obiettivo affidato ad un meccanismo comitologico poco efficiente, definito in letteratura «retaggio di un equilibrio istituzionale anacronisticamente sbilanciato in senso intergovernativo».[10]
Già in altre occasioni ho rappresentato, con riguardo alla realtà europea, come detta inadeguatezza operativa dei vertici politici dell’UE abbia dato spazio alla assunzione di un ruolo di supplenza da parte della tecnica.[11] Si è assistito, pertanto, all’adozione, da parte della BCE, di numerose misure (le Operazioni non convenzionali e tra queste, in particolare, il Quantitative easing) le quali – unitamente agli interventi di due meccanismi entrambi a carattere temporaneo (l’EFSM e l’EFSF)[12] – sono riuscite a stabilizzare i mercati, tamponando situazioni di eccezionale gravità; non sono state eliminate, tuttavia, le disfunzioni di un sistema disancorato dalla politica e caratterizzato da diversità.  Sicchè, al presente permangono squilibri di natura economica tra gli Stati membri dell’UE, essendo stata attivata una sorta di ‘trasferimento di poteri’ dal cd. «triangolo istituzionale» – che connota l’assetto organizzativo dell’ordinamento europeo delineato dalla regolazione antecedente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona[13] – a ‘tecnostrutture’ che hanno assunto una funzione di grande rilievo.[14]
Alle difficoltà relazionali all’interno dell’UE sin qui indicate si aggiungono le onerose implicazioni derivanti dalle tendenze prevaricatrici della Germania, dall’exit deliberata dalla Gran Bretagna, dalla linea comportamentale assunta dalla Francia finalizzata al raggiungimento di una posizione di primo piano in tutti i settori (dalla politica all’economia, alla cultura, alla difesa), dal sostanziale immobilismo sociale riscontrabile nell’Italia. Si individuano le ragioni che sono a fondamento di un dilagante populismo diviso tra l’affermazione di posizioni nazional-sovraniste e la proposizione di tesi inneggianti alla democrazia diretta, entrambe orientate a manifestare contrarietà a quella che viene definita l’«Europa dei banchieri», alle immigrazioni, all’euro.
Ciò posto, è evidente come l’Unione sconti i limiti di un contesto sistemico caratterizzato dal prevalere della dimensione burocratico-regolatoria, che tutt’ora si accompagna al tradizionale paradigma intergovernativo. Il possibile avvio di un innovativo percorso costituente dell’UE appare, quindi, legato al superamento degli ostacoli dianzi raffigurati; ovviamente, esso non si colloca in una prospettiva di successo ove rimanga disgiunto da una rivisitazione del rapporto tra politica ed economia. Ed invero, solo restituendo alla prima il suo ruolo decisionale – volto a contemperare i presidi e le garanzie necessarie per lo sviluppo economico con l’essenza valoriale che deve caratterizzarne la funzione – potrà aversi il riavvio di una relazione dialettica con la seconda, orientata all’utilizzo strumentale dei vantaggi che quest’ultima arreca, vale a dire contrastare le disuguaglianze, diffondere il benessere, combattere l’oscurantismo.

3. Ritornando alla specificità del caso italiano, la recente realtà post elettorale sta diffondendo la consapevolezza che le distonie di una politica in crisi difficilmente possono essere superate senza il beneficio di un adeguato senso di responsabilità, non disgiunto dal coraggio di ridimensionare inattuabili programmi, prospettati nel corso della competizione politica elettorale. E’ necessario traslare gli interventi, fino ad oggi posti in essere, dalla mera proposizione di un’aggressiva critica ad una operosità costruttiva, che consenta di realizzare, almeno in parte, le numerose ‘promesse’ che hanno profondamente inciso sugli orientamenti dell’elettorato. Appare, altresì, indispensabile che le parti vincenti addivengano ad un’autocorrezione dei loro programmi, previa rinuncia a talune posizioni estremiste da esse enunciate in precedenza; ci si riferisce, in particolare, all’esigenza di porre fine al rifiuto della accoglienza (la quale, da sempre, si annovera tra le positive prerogative socio culturali del nostro Paese), alle ambiguità  riguardanti i rapporti da intrattenere con l’UE, alla litigiosità che fino ad oggi ha caratterizzato le relazioni tra le forze politiche.

Note

5.  Si veda ampiamente sul punto Saint-Simon, L’organisateur, lavoro pubblicato nel 1820 nel quale tale A. configura l’ipotesi di una società costituita da ‘collaboratori’ ed attribuisce alla politica la funzione di sistema di interventi volto a creare le condizioni per affermare nella società uno stato di benessere, cui far riferimento al fine di valutare la qualità della stessa.

6.  Ci si riferisce, in particolare, alle indicazioni della filosofia rousseauiana (cfr. la famosa opera di Rousseau, Du contrat social del 1762) che  fonda la costruzione della società sulla base di un patto equo volto a riconoscere il popolo corpo sovrano, detentore del potere legislativo e suddito di sé stesso.

7.  Cfr. Bobbio, Quale socialismo, Torino, 1976, p. 42.

8.  Così capriglione – ibrido, La Brexit tra finanza e politica, Milano Assago, 2017, p. 93; v. anche balaguer callejón – azpitarte sánchez – guillén lópez – sánchez barrilao (a cura di), El impacto de la crisis económica en las instituciones de la Unión Europea y de los Estados miembros, Pamplona, 2015.

9.  Cfr. tra gli altri poiares maduro, A New Governance for the European Union and the Euro: Democracy and Justice, in RSCAS Policy Papers, 2012; capriglione – troisi, L’ordinamento finanziario dell’UE dopo la Crisi, Milano Assago, 2014, p. 121 ss.

10.  Cfr. Savino, La comitologia dopo Lisbona: alla ricerca dell’equilibrio perduto, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, p. 1041.

11.  Cfr. Capriglione – Sacco Ginevri, Politics and Finance in the European Union.  The Reasons for a difficult encounter, London, 2015, passim, ma in particolare p. 111 ss.

12.  Cfr. per tutti Dieckmann, The Announcement Effect of the Efsf, Afa 2013, San Diego Meetings Paper, visionabile su www.ssrn.com/abstract=2022750.

13.  Si fa riferimento al quadro ordinatorio del potere deliberativo nell’UE che risulta strutturato su un «triangolo istituzionale», cui fa capo un sostanziale processo di codecisione in base al quale la proposizione dei progetti disciplinari compete essenzialmente alla Commissione, laddove spetta al Consiglio dell’Unione europea ed al Parlamento approvarne il testo.
Per una valutazione del quadro istituzionale europeo antecedente al trattato di Lisbona cfr., tra gli altri, Weiler, Il sistema comunitario europeo: struttura giuridica e processo politico, Bologna, 1985; Shawj, Law of the European Union, 2000; Pocar, Commentario breve ai trattati della Comunità e dell’Unione europea, Padova, 2001; Tizzano, Trattati dell’Unione e della Comunità, Milano, 2004; Mengozzi, Istituzioni di diritto comunitario e dell’Unione europea, Padova, 2006

14.  Cfr. Capriglione, Mercato Regole democrazia. L’Uem tra euroscetticismo e identità nazionali, Milano Assago, 2013, cap. V.

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