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Beni comuni in senso giuridico e commons in senso economico: un confronto tra due categorie non coincidenti

di - 7 Marzo 2018
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Si passi, poi, ai beni non esclusi. In primo luogo, vi sono quelli non escludibili per loro caratteristiche naturali (ovvero i beni pubblici e i commons) che, secondo la vigente classificazione del codice civile (grosso modo) appaiono corrispondere ai beni demaniali. Vi sono però anche i beni non esclusi ma teoricamente escludibili (ovvero, ancora, una terza parte dei beni privati e i beni di club) ma concretamente, per scelta politico amministrativa, non esclusi (ad esempio, taluni beni culturali, ecc.).
Tali beni esclusi possono essere distinti in due sottoinsiemi.
Il primo è quello dei beni comuni, che si ha quando i beni non sono esclusi (dunque a libera fruizione) e correlati ad una comunità di riferimento (nel senso che si è chiarito), con loro destinazione a soddisfare l’interesse comune dello stesso gruppo in questione.
Il secondo è quello dei beni pubblici, che si ha quando i beni non esclusi e a libera fruizione non siano correlati ad una comunità di riferimento e per tale motivo, non potendo essere considerati beni comuni, rimangono esclusivamente preordinati a realizzare un interesse pubblico.
Dunque, appaiono individuate le corrispondenze tra le categorie giuridiche fondate sulla destinazione (privata, pubblica o comune) dei beni e le categorie oggetto della classificazione degli economisti.
I beni privati (in senso giuridico, ovvero assoggettati ad un regime prevalentemente privatistico) sono beni esclusi dalla pubblica fruizione e assoggettati al mercato. Essi corrispondono ad una prima quota dei beni privati e dei beni di club della teoria economica tradizionale. In tale categoria rientrano i beni del patrimonio disponibile.
I beni pubblici (in senso giuridico, ovvero assoggettati ad un regime prevalentemente pubblicistico) si compongono di due categorie.
La prima è quella dei beni concretamente esclusi (dunque per gli economisti facenti parte dei gruppi dei beni escludibili, ovvero dei beni privati e dei beni di club) ma, per ragioni di interesse pubblico, incommerciabili. Essi (grosso modo, come si è detto) corrispondono al patrimonio indisponibile (caserme, uffici pubblici, ecc). La loro sottrazione al mercato (incommerciabilità) non è conseguenza della libera fruizione ma del fatto che sono destinati a realizzare diversi e ulteriori interessi pubblici (ad esempio, per le caserme, quello della difesa).
La seconda è quella dei beni pubblici non esclusi (che per gli economisti corrisponderebbero ai beni pubblici e ai commons, non escludibili e ad una terza quota di beni privati e beni di club, escludibili ma concretamente non esclusi) e per tale motivo sottratti al mercato. Tali beni rimangono destinati a soddisfare generali interessi pubblici e sono assoggettati ad un regime pubblicistico.
L’ultima categoria, per la quale si è individuato il giusto spazio tra le prime due è quella dei beni comuni. Si tratta di beni appartenenti ai medesimi due sottoinsiemi dei beni non esclusi appena individuati (ovvero beni pubblici e commons non escludibili, da un lato, e beni di privati e beni di club, dall’altro lato) ma per i quali si aggiunge la circostanza (decisiva al fine della loro distinzione dai beni pubblici non esclusi) del sussistere la relazione qualificata comunità – bene, nel senso che si è chiarito. .
Dunque, il criterio giuridico oggettivo di distinzione dei beni sulla base della loro destinazione alla realizzazione di interessi (privati, pubblici, comuni), al quale devono corrispondere particolari regimi giuridici, appare trovare le adeguate corrispondenze nelle categorie economiche tradizionali. Rispetto a tali corrispondenze, si può notare che la categoria degli economisti dei commons non coincide con quella di bene comune in senso giuridico, che è più vasta della prima e la comprende.

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