Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

Recensione a M.R. Ferrarese, Promesse mancate. Dove ci ha portato il capitalismo finanziario

di - 14 Febbraio 2018
      Stampa Stampa      

Questo libro denuncia le “promesse mancate”, le negatività, del “capitalismo finanziario” affermatosi nel mondo dagli anni Settanta del Novecento[1]. Rispetto alla copiosa pubblicistica ispirata a una visione demonologica della finanza, il libro si distingue per il rigore con cui ogni affermazione è argomentata; per la padronanza di una vastissima letteratura multidisciplinare; per le questioni di grande rilievo che affronta; per la finezza della scrittura.
Il viaggio dell’Autrice si snoda attraverso quattro principali passaggi e una conclusione:

  • a) Si muove dalla stagflation degli anni Settanta, appunto. Essa segnò la fine del mondo postbellico imperniato sugli Stati nazionali, sulle Costituzioni politiche, le leggi, l’idea e la pratica di un’economia, sì di mercato capitalistica, ma che gli Stati cercavano di orientare secondo le priorità di Parlamenti e Governi.
  • b) A quel Leviatano nei decenni si è sostituito un “Prometeo finanziario”. Assistito dalla ICT, il moderno Prometeo ha inteso liberare, alleggerire, smaterializzare l’economico. Una fede rinnovata nel mercato e la ortodossia teorica neoclassica hanno ridimensionato tanto lo scetticismo verso la mano invisibile quanto la fiducia nell’interventismo pubblico. In economia Hayek si è preso la – temporanea! – rivincita su Keynes e Sraffa. In diritto, si sono affermati lo Stato minimo, la Constitutional Economics, il multilaterale, il sovranazionale, il diritto privato (proprietà, contratto, responsabilità civile, arbitrato, alternative dispute resolutions), una law and economics angusta, limitata alla razionalità efficientista su basi di teoria economica esclusivamente neoclassica.
  • c) Bretton Woods, fondato da Keynes e White sulla cooperazione fra Stati nazionali e sul burden sharing fra paesi in surplus e paesi in deficit, è stato cancellato dagli Stati Uniti di Nixon il 15 agosto del 1971. La mobilità dei capitali e i cambi flessibili sono sfociati nella cosiddetta finanziarizzazione. Può citarsi un dato: su scala mondiale il rapporto debiti/Pil da 2:1 del 1997 è balzato a 3:1 nel 2017. Un doppio “pilota automatico” – libera finanza, più regola monetaria alla Friedman – ha sostituito la discrezionalità delle politiche economiche: fiscale, della moneta, dei redditi, industriale.
  • d) La finanza non è più solo Banca, Borsa, Assicurazione. Superati i vecchi steccati (come il Glass-Steagall Act del 1933, abolito definitivamente dal Gramm-Leach-Bliley Act del 1999), le tre forme si sono mescolate negli intermediari universali. Soprattutto, la finanza ha espresso fondi comuni, hedge funds, cartolarizzazioni, derivati, shadow banking, opzioni e scommesse varie, originate to distribute invece del tradizionale originate to hold. È prevalso l’imperativo del creare valore nel breve periodo attraverso alti rendimenti da assunzione di alti rischi. L’industria delle fabbriche è stata ridimensionata dalla finanza come industria. I premi Nobel per l’economia non sono andati a Kahn, Harrod, Kaldor, Pasinetti, Hirschman, de Finetti, Baumol, Sylos Labini, Leibenstein, Minsky. Sono andati a matematici padroni degli algoritmi descrittivi di mercati assunti come “perfetti”, i mercati che nessun investitore può battere: Scholes, Merton, Sharpe, Miller, Fama. Infine, la Promessa: il doppio pilota automatico guiderà l’economia al meglio. Se l’ottimo è irraggiungibile, l’azione pubblica peggiorerebbe ogni situazione.

Ma la Promessa – conclude l’Autrice – non è stata mantenuta. C’è stata crescita senza inflazione, è vero. Il Pil del mondo è aumentato del 3,5% l’anno nel 1980-2017: grazie a Cina e India un buon ritmo, sebbene inferiore al 5% del 1950-1973. Però la qualità della crescita è stata per più versi insoddisfacente. Il potere invisibile, a-democratico, del ristretto club dei finanzieri più ricchi si è affermato al punto da dettare financo le regole per la stessa finanza. Inoltre si sono registrati almeno tre “rovesciamenti”: disuguaglianze, invece di trickle down; oligopoli e monopoli, invece di concorrenza; debito pubblico esecrato, debito privato esaltato. Insomma, Prometeo…barcolla!
La lettura-riassunto – l’invito è a leggere il libro! – pone a questo recensore il problema di essere da un lato largamente d’accordo, ma anche sollecitato a ridimensionare le accuse alla finanza, il settore nel quale egli ha lavorato come banchiere centrale: se non per farla assolvere, almeno perché la pena sia mitigata…
Tutti hanno diritto alla difesa, e il dovere del buon difensore è di scaricare la colpa su qualcun altro o di affastellare attenuanti per il suo patrocinato:

  • 1. L’argomento di fondo è che il vero colpevole non è la finanza, ma il capitalismo. Il capitalismo è iniquo, instabile, inquinante. Mina l’equità distributiva, la stabilità economica, l’equilibrio ambientale. Senza finanza il capitalismo non potrebbe realisticamente darsi. Ma la finanza nasce, babilonese, 5mila anni fa, mentre la Rivoluzione industriale inglese è solo settecentesca. Soprattutto, l’alta teoria economica ha costruito i fondamentali modelli di iniquità, instabilità, inquinamento nel capitalismo anche senza includere nei modelli la finanza.
  • 2. Eppure il capitalismo ha un merito, che lo fa accettare da tutti con l’eccezione, per ora, della…Corea del Nord. Dagli inizi dell’Ottocento questo modo di produzione ha moltiplicato di quasi 100 volte il Pil del mondo. Il numero degli esseri umani è aumentato di quasi 8 volte. Quindi il loro reddito medio pro capite, sino agli inizi dell’Ottocento rimasto pressoché invariato, è cresciuto di ben 13 volte. Marx ha quindi lodato la borghesia, capace di sviluppare le “forze produttive”. Persino Keynes ha superato il suo “disgusto morale” per il capitalismo, riconoscendolo come l’unico mezzo per superare la scarsità e aprire ai “nostri nipoti” la prospettiva dell’ozio, dell’amicizia, della conoscenza, il “being good” che la miseria impedisce di attingere.
  • 3. La crescita economica dipende da due variabili: capitale e progresso tecnico. La buona finanza li favorisce entrambi. Gli studi econometrici lo confermano. Ad esempio, se le passività liquide emesse da banche e altri intermediari passano dal 20 al 60 per cento del Pil il tasso di crescita annuo del reddito pro capite aumenta di un punto percentuale. Ma la buona finanza non può estirpare le “tre i” del capitalismo: a) non l’iniquità, perché il capitalismo esalta e premia a dismisura quelle che gli tornano più utili; b) non l’instabilità, perché l’investimento oscilla essendo nel capitalismo affidato alle mutevoli aspettative, all’anarchia, degli “spiriti bestiali” dei produttori privati; c) non l’inquinamento, connaturato al capitalismo – al di là dell’uomo da sempre faber, violentatore della natura perché l’impresa volta al profitto non calcola fra i propri costi le esternalità negative che producendo infligge all’ambiente e a chi lo abita.
  • 4. Ribadito che la finanza – buona o cattiva – con l’inquinamento capitalistico c’entra poco o nulla, si constata, con l’Autrice, che fra i più ricchi al mondo vi sono non pochi finanzieri. E tuttavia non si può affermare che la ricchezza tenda a concentrarsi presso i rentiers della finanza, piuttosto che presso i capitalisti in quanto tali. Il tasso d’interesse – il frutto della finanza – non può alla lunga eccedere il tasso di profitto, perché l’interesse è pagato dal profitto, è parte del profitto. Traduco dai Principles di Ricardo (1821, p. 363): “L’interesse sulla moneta è regolato dai profitti che si possono lucrare impiegando capitale nelle produzioni”. Quanto al potere, ne avevano di più i Rothschild ottocenteschi, quando si riunivano per imporre la pace alle pazze, guerrafondaie nazioni d’Europa.

Note

1.  M.R. Ferrarese, Promesse mancate. Dove ci ha portato il capitalismo finanziario, il Mulino, Bologna, 2017, 200 pg. 200

Pagine: 1 2


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy