Brexit: Che cosa e Perché?

Traduzione di Filippo Satta e Pierluigi Ciocca

Introduzione
Il voto per Brexit è a volte descritto come se significasse che la Gran Bretagna “sta lasciando l’Europa”. Questa descrizione è senza senso. La Gran Bretagna è indissolubilmente parte dell’Europa, per la geografia, la storia, il linguaggio e la cultura. Ciò da cui la Gran Bretagna ha votato di uscire era l’Unione Europea, un corpo che contiene alcune parti di Europa e che aspira a comprendere anche alcuni Paesi, che i geografi, di norma, non considererebbero in alcun modo parte dell’Europa.
In questo saggio noi discutiamo alcuni fattori che possono aver influenzato quel voto. Con questo, noi decisamente intendiamo dire che non discuteremo motivi individuali. Seguiremo la Regina Elisabetta I che, poco dopo essere salita al trono di Inghilterra (la Scozia non faceva parte dell’Unione), aveva pubblicato un nuovo libro di preghiere. La regina desiderava che tutti i suoi sudditi usassero quel libro di preghiere, ma al tempo stesso voleva lasciarne l’interpretazione alle singole persone. Le sue parole erano “Non ho alcun desiderio di mettere finestre nelle anime degli uomini”. A nostro avviso, tutti coloro che partecipano alle discussioni sulla Brexit dovrebbero seguire questo indirizzo. Ma è decisamente significativo riflettere sul perché con il tempo è cresciuta l’insoddisfazione sulla partecipazione della Gran Bretagna all’Unione Europea, che ha condotto prima al referendum e poi al suo risultato.
Sotto certi profili c’è incompatibilità tra le prospettive inglesi ed europee. Le radici filosofiche e giuridiche e le tradizioni britanniche sono diverse da quelle che ricorrono nel continente europeo. La conseguenza di queste diverse radici e tradizioni è che la Gran Bretagna è incline all’apertura, alla flessibilità ed all’at- tenzione per l’individuo, mentre in Europa si tende, all’opposto, a minore apertura, inflessibilità e maggiore attenzione per lo Stato. Queste differenze non posero particolari problemi quando la Gran Bretagna aderì a quello che essa considerava un Mercato Comune, volto a promuovere i commerci. Ma difficoltà cominciarono ad emergere quando materie come legislazione, regolazione, commercio vennero investite dai passi verso una sempre maggiore integrazione dell’Unione Europea.
Le diverse tradizioni hanno condotto a diversi modelli economici. Quello della Gran Bretagna è orientato al libero commercio, alla globalizzazione, a minore regolazione. Il modello europeo è orientato verso uno Stato più grande, maggiore regolazione e più vasta protezione.
In questo breve scritto consideriamo quattro materie, tutte chiaramente parte della storia britannica, che hanno reso la Gran Bretagna un membro scomodo per l’Unione Europea: scomodo ora come ora, ma sempre più, se i suoi orientamenti costituzionali dovessero essere confermati. Le quattro materie sono diritto, regolazione, commercio, e disponibilità all’immigrazione. Esse verranno discusse in questo ordine.
Diritto
I sistemi giuridici della Gran Bretagna e dell’Europa sono radicalmente diversi. Si noti la parola “sistemi”. Noi non intendiamo dire che singoli leggi siano diverse. Che gli inglesi guidino a sinistra e la maggior parte dell’Europa a destra non è né risultato né esempio di differenze nella struttura giuridica. La Gran Bretagna ha un diritto detto common law; l’Europa continentale il Diritto Romano (a volte chiamato anche Diritto Civile.
Una sintesi, certamente semplificata, ma ciò nondimeno fondamentalmente accurata, dei termini in cui Common Law e Civil law divergono, è la seguente. In un sistema di common law chiunque può fare ciò che vuole, finché non sia proibito. In un sistema di diritto Romano voi potete fare qualsiasi cosa vogliate, finché ciò è permesso.
Queste differenze incorporano le concezioni dell’individuo tracciate sopra, e conducono anche a concezioni completamente diverse del ruolo dello stato. Nella filosofia sottesa al common law la funzione dello stato è offrire il contesto che consenta agli individui di fare ciò che vogliono per curare i loro interessi, vincolati solo da proibizioni che prevengano azioni dannose a terzi. Lo stato è un stato permissivo. Secondo la filosofia del diritto romano lo stato sceglie per il cittadino ed offre un insieme di ciò che è considerato desiderabile, da cui i cittadini possono a propria volta scegliere. La prima concezione può condurre ad un piccolo stato, mentre l’altra in generale non può.
Il diritto Romano, dall’Imperatore Giustiniano alla sua forma moderna, il Codice Napoleonico, applica immutabili principi generali. Il Common Law mira a risultati pratici; nei fatti, i giudici muovono dal trovare una soluzione per poi cercarne la giustificazione. Come ha scritto Oliver Wendell Holmes, il notissimo giurista americano a lungo membro della Corte Suprema Americana (dal 1902 al 1932), “la vita del Common Law non è stata logica; è stata esperienza”.
Questa fondamentale differenza ha avuto un effetto graduale finche è stato impossibile ignorarla.

Regolazione
Per coloro che in economia sono inclini a favorire soluzioni di mercato, il principio guida in ordine alla regolazione è concorrenza, quando possibile, regolazione, quando necessario. L’accento è posto sulla regolazione come tassa sull’attività. Essa riduce il prodotto totale. Viceversa, per chi pensa che il fallimento di mercato sia diffuso c’è un più ampio ruolo per lo stato, occorre più regolazione. (Per molti il fallimento del governo sembra non esistere). E dalla nostra sintetica rappresentazione della differenza nelle strutture giuridiche discende che nel modello europeo la regolazione è sempre più estensiva e dettagliata. Ancor peggio da un punto di vista pratico è che le grandi burocrazie necessarie a precisare le prescrizioni regolatorie – come il fondamento di diritto romano richiede – sfornano regolazione sempre crescente.
Nel modello di Common Law la regolazione è vista come un peso che come minimo richiede attento controllo con la prospettiva di ridurla dovunque sia possibile.
Un esempio viene dalle leggi che governano le relazioni tra datore di lavoro e lavoratore. Quando le leggi per disciplinare la sicurezza dei lavoratori in un ampio spettro di industrie vennero proposte e poi approvate, un dirigente sindacale, Frank Chappell, del sindacato elettrici, reagì. Reagi non perché non avesse a cuore la sicurezza dei membri della sua associazione, ma piuttosto perché nella sua visione la normativa esistente era migliore. Prescriveva un generale “dovere di attenzione” e questo, egli riteneva, consentiva alle pratiche lavorative di adattarsi in modo da essere sicure in diverse e mutevoli situazioni.
L’eccesso di norme dettagliate non garantisce buoni risultati. Ciò è chiaro da tempo. Per citare lo storico romano Tacito,”corruptissima republica plurimae leges” (le repubbliche più corrotte hanno la maggiore quantità di leggi: Tacito, Annali)

Commercio
Simili risultati si danno anche per il commercio internazionale – come in realtà accade per ogni attività commerciale. Gli inglesi hanno a lungo perseguito il libero commercio (spesso contro potenti forze politiche) ed avendolo adottato almeno due secoli or sono ne hanno predicato i benefici e fatto sforzi per esportarne la dottrina. L’Europa del XIX secolo si è generalmente opposta. Il modello del mercato mostra che la libera circolazione delle merci massimizza i benefici. Qualsiasi interferenza in questo libero flusso si traduce in perdita di benessere. Ci sarà sempre chi guadagna e chi perde quando si muove verso il libero commercio. Ma indiscutibilmente i vantaggi per il Paese nel suo insieme sono ovunque maggiori con il libero commercio.
La desiderabilità e la conquista del libero commercio derivano dalla tradizione giuridica di consentire agli individui di perseguire il loro interesse. Questo contrasta con la lunga tradizione mercantilistica in Europa, con la sua concentrazione sulla centralità dello stato e la sua valutazione di cosa sia meglio per il paese. Anche lo stato viene abbandonato alla pressione dei gruppi di interesse. Questi hanno successo quando rappresentano affari o altre attività fortemente concentrati. Hanno un potere economico molto maggiore rispetto a consumatori individuali non organizzati. Spesso ne risultano politiche protezionistiche. E politiche regolatorie generano politiche regolatorie. (Il recente accordo commerciale Europa e Canada, che ha richiesto 10 anni per essere stilato ed occupa oltre 1500 pagine, ne è la riprova).

Immigrazione
La Gran Bretagna è stata da tempo aperta agli emigranti, rifugiati e non. Ovviamente ci sono state occasionali deviazioni in questa antica e nobile tradizione, ma poche e modeste. Le ragioni per questa attitudine all’accoglienza si rinvengono facilmente. Riposano nella tradizione individualistica, filosofica e giuridica secondo cui le persone possono fare quello che vogliono finché non recano danno ad altri. Gli immigranti sono stati quindi benvenuti finché si inserivano, senza necessariamente integrarsi nel senso di adottare tutti i costumi inglesi, ma piuttosto comportandosi in modi che non erano in stridente contrasto con tali costumi. (E ovviamente per gran parte di questo periodo in assenza di welfare state).
Il voto Brexit ha interrotto questa tradizione? Qualcuno, assumendo il diritto di aprire finestre nelle anime umane, che la Regina Elisabetta I respinse, afferma che la rottura c’è stata. Ma tradizioni radicate richiedono tempo per cambiare. Le preoccupazioni per l’immigrazione possono essere scaturite da una semplice ragione pratica. Quando la Gran Bretagna aprì all’immigrazione dall’Unione Europea, il Governo allora in carica ne previde un incremento modesto. Non vi fu quindi preparazione alcuna. Non si costruirono con urgenza scuole, né ospedali. La disponibilità di case non crebbe di molto. Non ci fu accelerazione nello sviluppo del trasporto pubblico. Gli immigranti aumentarono la popolazione, come pure una forza lavoro non qualificata ed il governo non se ne preoccupò. Così i molti benefici della migrazione crearono anche, in alcune parti del Paese, problemi che si sarebbero potuti evitare se il governo fosse stato preveggente.
Non c’è ragione per credere che l’apertura della tradizionale mentalità liberale, la tradizione della libertà individuale a condizione che non rechi danno a terzi, della cortesia verso i nuovi arrivi, siano cambiate. Dopo tutto, la Gran Bretagna fu il primo paese nel mondo ad avere un primo ministro ebreo. E, forse ancor più rilevante, la Gran Bretagna non è mai stata affetta, neppure nelle profondità della recessione tra le due guerre, da politiche autoritarie del tipo apparso di tanto in tanto in altri Paesi.

Conclusione
Nulla di quanto si è rappresentato nelle pagine che precedono rende impossibile, o, addirittura, blandamente difficile, per la Gran Bretagna, vivere in buoni rapporti con i suoi vicini nell’Unione Europea. Nulla rende difficile per la Gran Bretagna commerciare con loro o per le persone muoversi liberamente tra la Gran Bretagna e gli Stati europei. Nessuno frappone ostacoli nel riconoscere l’accettabilità dei beni e servizi prodotti secondo le regole UE, né per l’UE accettare le regole della Gran Bretagna. Dopo tutto, queste regolazioni sono imposte da democrazie aventi il benessere dei loro cittadini in mente, non stati predatori o dittatoriali. Ma ciò che molto enfaticamente le differenze fanno è rendere disagevole per la Gran Bretagna essere membro di un’unione di Paesi che hanno tutti sistemi giuridici fondati sul modello del diritto romano e che, quale unione, continua ad essere governata da un corpo di leggi dall’impianto del diritto romano.
Valgano due citazioni da Lord Denning, che da ultimo fu membro della Camera dei Lords[1]:
La prima è del 1974: “Il Trattato di Roma non tocca nessuna delle questioni che rilevano esclusivamente per l’Inghilterra e per il suo popolo… Ma quando si viene a materie con un elemento europeo… il Parlamento ha stabilito che il Trattato diventerà parte integrante del nostro ordinamento, e così di ogni statuto”[2].
16 anni dopo lord Denning scrisse: “La Corte Europea di Giustizia ci ha sottratto la sovranità… Il diritto europeo non è più una marea che risale gli estuari d’Inghilterra. È diventato un’ondata che abbatte le mura di protezione dal mare e invade i nostri campi, le nostre case”[3].

Note

1.  I cosiddetti Law Lords sedevano nella Camera dei Lords, la più alta corte britannica. Uscita dalla Camera dei Lords, la Corte fu detta “Suprema” quando cessò di essere suprema.

2.  H.P.Bulmer ltd. v. J. Bollinger SA.

3.  Introduzione a “The European Court of Justice” Bruges Group, 1990.