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Discorrendo di nullità del provvedimento amministrativo a margine di un recente lavoro di Alberto Romano

di - 20 Luglio 2017
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4. Quand’è che un provvedimento sicuramente invalido debba essere qualificato come radicalmente nullo? E’ questa la domanda che si pone il Prof. Romano (p. 804).
La formulazione dell’art 21 septies avrebbe dovuto offrire risposta a questa domanda ma in realtà da essa non emergono “dati sufficientemente significativi per la sua soluzione” che Romano segnala per le sue “evidenti inadeguatezze” (su cui con impietosa quanto eloquente critica si diffonde per tutta la p. 805).
Per essere chiari insomma: “nessuno dei dati sostanziali fondamentali per lo studio della nullità dei provvedimenti sono definiti dall’articolo che avrebbe dovuto disciplinarla” (p. 807). E del resto di questo suo vacuum si rende testimone lo stesso articolo: sia nel far riferimento agli “elementi essenziali”, sia nel rinviare agli “altri casi previsti dalla legge”, “fa emergere l’esigenza per un più esatto inquadramento della rilevazione di ulteriori dati normativi” (p.807). Ulteriori dati che consentono di individuare veri e propri requisiti, e di prendere  in considerazione anche gli eventuali spunti che possano esser desumibili  dalla disciplina dell’Autonomia privata.
E proprio con riguardo all’Autonomia privata si deve segnalare un vero e proprio cammeo dedicato dal prof. Romano alla Autonomia privata nel par. 1.8 pp. 808-812, nel ricordo dell’ insegnamento del suo papà Salvatore Romano. Ebbene, pur ben consapevole delle differenze, con sorpresa Alberto Romano, ricordati i tratti dei pubblici poteri unilaterali nell’ambito della loro autonomia, coglie tratti “delineabili come analoghi o quantomeno simmetrici” (p. 817) nel poter individuare la nullità nella violazione non di ogni generica norma sull’esercizio del pubblico potere ma solo nella violazione di quelle norme che posseggano una “particolare rilevanza per così dire ontologica” cioè norme che delimitano “l’autonomia del soggetto di amministrazione che lo ha emanato” e norme che fondano, giustificano e legittimano l’esercizio del potere e che Romano vede tutte legate nella “ricostruzione di una nozione (più) ampia di Autonomia Amministrativa” (p. 817).

5. E quali “cause sostanziali giustificano tale più radicale invalidità” del provvedimento?
Come si vede il criterio distintivo proposto offre immediata e autoevidente risposta anche al secondo dei due fondamentali interrogativi che Romano poneva: le ragioni di una più radicale ipotesi di invalidità. L’esigenza che l’ordinamento tuteli al massimo le norme che fondano e giustificano la stessa esistenza delle Istituzioni amministrative e quelle che tutelano la relativa autonomia.
Questa distinzione fra le norme porta alla memoria quella tutta Guicciardiana tra norme di azione e norme di relazione (pur impiegata dal professor Romano per ricostruire le situazioni giuridiche soggettive già nel Manuale Diritto Amministrativo, edito per i tipi della Monduzzi, sin dalla prima edizione del 1993) eppure rispetto ad essa molto più potente perché più difficilmente discutibile. Ed il solo rimpianto è che il professor Romano, per esigenze di coerenza e rispetto del tema della nullità, ritiene doveroso “rinviare ad altro studio questa ricostruzione” (p. 817), che pur per sommi capi tratteggia nelle pagine seguenti (pp.818-819).

6. Nuove domande: come si distinguono le norme delle due specie?
Ma il criterio distintivo proposto, così convincente forse anche perché così così elegante, genera immediatamente una ulteriore serie di domande ed una in particolare: come si distinguono le norme delle due specie?
Vi sarà mai a Berlino un giudice disposto a sobbarcarsi questo così oneroso compito? E sarà un giudice ordinario o amministrativo? E se per la previsione dell’art. 31, co 4, CPA e della enorme estensione della giurisdizione esclusiva e per la interpretazione estensiva dell’art. 7, co. 1, CPA si trattasse sempre del giudice amministrativo, le limitazioni all’azione di nullità (termine di decadenza, decorrenza ed effetti dell’accertamento, e così via) consentirebbero una effettiva rilevazione della forma più grave di invalidità provvedimentale? Cercando di dare una risposta a questi interrogativi affatto retorici, seguiamone l’ordine.
Come si distinguono le norme delle due specie: A pag. 822 il professor Romano riprendendo il tema del riparto della giurisdizione ricorda la sentenza della Corte di Cassazione, S.U. 4 luglio 1949, n. 1657, che distingue tra violazione di regole che riguardano la esistenza del potere e di regole che si limitano al suo esercizio. Se solo la violazione delle prime genera nullità tutti i quesiti successivi come per magia si sciolgono.
Vi sarà certamente un giudice ed un giudice ordinario che pronuncia su un vizio che sarà sempre proprio di un provvedimento “in carenza di potere”.
Le limitazioni dell’art. 31, co 4, CPA non opererebbero per il G. O.
E nelle stesse ipotesi di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo seguirebbe il traino del G. O.

7. Ultima domanda. Questa risposta è realistica, assumendo che essa sia la risposta giusta?
A me pare difficile, è in realtà proprio il legislatore a svilire e dequotare – dopo averlo inventato – lo stato invalidante della nullità o meglio a dequotarne gli effetti  e (fino a negarne) la tutela. Il CPA ne è un esempio ma non è l’unico. Si tratta di una dequotazione che colpisce anche l’azione di annullamento, sì pensi al 125 CPA (relativo all’aggiudicazione dei contratti di appalto per la realizzazione delle grandi infrastrutture i cui provvedimenti in sostanza non sono annullabili).
Solo la Cassazione potrebbe invertire la tendenza, ma con la riforma del processo di legittimità tutto teso snellire, ed eliminare udienze, a consolidare ipotesi di inammissibilità dei ricorsi troveremmo ancora in Cassazione un Presidente Ferrera, o un Mariano D’Amelio (perché certo il Romano non ci manca!).
Temo, con realismo, che la strada praticabile nell’oggi sia molto meno coraggiosa, meno raffinata, meno armonica di quella proposta da Alberto Romano ed è quella che porta il Giudice amministrativo a  concentrarsi sulle ipotesi tipiche di nullità provvedimentale, per renderle più chiare e per assicurare ad esse effettività nell’ oggi.
Di ciò si occupa nel volume proprio un’allieva del prof. Romano, Maria Laura Maddalena (che coniuga in sé le doti di studiosa con la consolidata professionalità del magistrato amministrativo) e forse se la giurisprudenza amministrativa tutta intera sarà capace di questo nel tempo breve, chissà che non arrivi una nuova stagione.

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