Sintesi dell’intervento al seminario del 19 maggio 2017 in tema di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno nel giudizio di conto

di Vincenzo Latorraca
Con il mio intervento intendo evidenziare una situazione di particolare incertezza determinata dalla eterogeneità delle decisioni della giurisprudenza di conto sul tema della decorrenza del termine di prescrizione quinquennale, in riferimento all’azione di risarcimento del danno.
Il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (codice di giustizia contabile) non interviene sulla prescrizione dell’azione di risarcimento del danno, se non in relazione agli atti interruttivi.
Rimane, dunque, in vigore, come prevede l’art. 4, all. 3 (norme transitorie e abrogazioni), la legge 14 gennaio 1994, n. 20, fatta salve parziali abrogazioni che qui non rilevano.
Resta fermo, in particolare, quanto prevede l’art. 1 che, in ordine al diritto al risarcimento del danno, stabilisce la prescrizione in cinque anni: «decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di doloso occultamento del danno, dalla data della sua scoperta».
Si tratta di ipotesi distinte, tra loro alternative, che richiamano le clausole generali di matrice civilistica.
Come è stato osservato[1]: «La giurisprudenza – con il supporto della dottrina tuttora maggioritaria – ha per vero ben presto accolto una nozione di “fatto” non limitata al semplice comportamento materiale omissivo o commissivo dell’agente, ma comprensiva dell’evento nel suo complesso; il “fatto”, a stregua della suddetta disposizione, è stato dunque inteso quale risultante di due componenti: il comportamento doloso o colposo del danneggiante e le relative conseguenze di danno, implicanti una modificazione della realtà esteriore riconoscibile dal soggetto leso».
Il problema della rilevanza, sul decorso della prescrizione, degli impedimenti di fatto all’esercizio dei diritti è stato affrontato anche da una parte della dottrina[2] che, valorizzando l’antica massima contra non valentem agere non currit praescriptio, ne ha evidenziato la rilevanza in aggiunta ai meri impedimenti giuridici.
Per converso, la prescrizione e la decadenza, secondo la Corte di Strasburgo[3], sono ascrivibili alle limitazioni del diritto consentite per finalità di certezza, tutelando il convenuto da pretese, esercitate dopo un lungo lasso temporale che, proprio in ragione del tempo trascorso, si troverebbe in difficoltà nella raccolta delle prove a discarico.
La giurisprudenza civilistica[4] pone il tema dell’oggettiva conoscibilità del danno: «La legge riconnette il sorgere di una responsabilità extracontrattuale ad una modificazione dannosa della realtà esteriore in rapporto di causalità con l’azione del danneggiante e che si renda causa, quale conseguenza immediata e diretta, di una diminuzione della sfera patrimoniale altrui. Non è quindi sufficiente una semplice oggettiva realizzazione del danno, ma è necessaria una sua esteriorizzazione, conoscibilità o percepibilità, nonché acquisto di rilevanza giuridica, momento questo al quale l’ordinamento ricollega la nascita del diritto al risarcimento e quindi la facoltà di esercitare i poteri connessi».
Conoscibilità e percepibilità sono i cardini su cui poggia il sistema civilistico della decorrenza del termine.
Diverso è, invece, il percorso della giurisprudenza del giudice contabile che reputa il fatto dannoso rilevante nel momento in cui il diritto può essere fatto valere – con il richiamo all’art. 2935 c.c. – e la condotta illecita abbia prodotto un danno concreto e attuale.
Il risultato, sotto il profilo enunciato nell’introduzione del presente intervento, non pare confortare la tesi della certezza sul termine di decorrenza della prescrizione.
Con una rapidissima panoramica, senza alcuna presunzione di esaustività, il fatto dannoso concreto e attuale, nella casistica giurisprudenziale del Giudice di conto, corrisponde:
– al momento del pagamento (o dei pagamenti con prescrizione frazionata). Secondo l’orientamento delle Sezioni Riunite, la prescrizione comincia a decorrere dai singoli pagamenti delle non dovute maggiorazioni stipendiali, essendo ciascun pagamento soggetto ad un proprio termine prescrizionale[5];
– alla sospensione dei procedimenti per l’erogazione di contributi[6];
– alla data del provvedimento di cancellazione dall’albo degli agenti della riscossione[7];
– alla revoca dei finanziamenti concessi[8].
Il momento determinante è ancorato, oltre che alla condotta illecita, all’attualità e concretezza del danno (Corte dei Conti, Sez. II d’Appello, sent. n. 600 del 9.10.2013) che, come si percepisce dalla breve rassegna, non appare sempre identificabile con certezza.
Ancora più problematico è l’occultamento doloso, per il quale vale il richiamo all’art. 2941, n. 8 c.c. secondo cui la prescrizione rimane sospesa tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore finché il dolo non sia stato scoperto.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione[9], l’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 n. 8 cod. civ. ricorre quando il debitore pone in essere una condotta che impedisce al creditore di agire e non una mera difficoltà di accertamento del credito, stabilendo così un criterio che non pretende il riferimento ad un’impossibilità assoluta di superare l’ostacolo frapposto dal debitore, ma richiede di considerare l’effetto dell’occultamento in termini di impedimento non sormontabile con la diligenza ordinaria. Ciò anche alla luce dei principi generali dell’ordinamento, secondo cui la condotta dolosa, ossia quella che determina una falsa rappresentazione della realtà tale da inficiare il processo di formazione della volontà, va esclusa se il debitore prova che la controparte avrebbe potuto conoscere i fatti addebitati alla sua condotta maliziosa usando la normale diligenza.
Ad una rapida analisi, non certo puntuale, emergono, nella giurisprudenza contabile, taluni aspetti sui quali appuntare una seconda riflessione. In primo luogo, in alcune decisioni sembrerebbe introdotto un sillogismo – che si contrappone all’orientamento della Cassazione – in base al quale il fatto delittuoso comporterebbe, con effetto automatico, l’occultamento doloso. L’esame mette poi in luce un ulteriore profilo problematico: l’esatta identificazione del dies a quo del termine di prescrizione, sia in riferimento al fatto dannoso che all’occultamento doloso[10].
Il Legislatore, consapevole della situazione di incertezza sul tema della prescrizione ha inteso introdurre, nell’art. 66 del codice di giustizia contabile[11], intitolato agli interruttivi della prescrizione, una previsione che vorrebbe mitigare il regime vigente, prevedendo:

  1. due unici atti interruttivi, tipici e nominati, per la prescrizione (nella disciplina civilistica vige il principio dell’atipicità) costituiti dal formale atto di costituzione in mora e dall’invito a dedurre;
  2. un’unica interruzione, ancora una volta incidendo sul regime civilistico per cui l’atto interruttivo può sempre essere reiterato;
  3. un tempo residuo non superiore a due anni e comunque un tempo complessivo non superiore a sette.

L’interruzione della prescrizione è un istituto noto, disciplinato dall’art. 2943 c.c.: introdurre eccezioni sul suo regime di funzionamento, oltre alle necessarie specificazioni, comporta ulteriori margini di incertezze applicative. Forse sarebbe stato più opportuno introdurre una nuova ipotesi legale di sospensione, considerato che, in ambito civilistico, essa opera con modalità analoghe a quelle utilizzate dal Legislatore in riferimento all’art. 66 del codice, in coordinamento con quanto previsto dall’art. 2941 c.c.
L’utilità della nuova disciplina degli atti interruttivi non sembra apprezzabile se non viene risolto, a monte, il problema della decorrenza del termine di prescrizione.
Per dare certezze al sistema ed evitare disparità di trattamento, sarebbe stato opportuno intervenire sul dies a quo di decorrenza della prescrizione, prevedendo l’espresso richiamo alla disciplina civilistica ed in particolare, nell’ipotesi del danno, alla nozione della sua oggettiva conoscibilità ed in quella dell’occultamento doloso, all’accezione di impedimento non sormontabile con la diligenza ordinaria.

Note

1.  N. Bertotto, Prescrizione e danno lungolatente tra Roma e Strasburgo, in www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/01/bertotto.pdf

2.  M. Tescaro, Decorrenza della prescrizione e autoresponsabilità. La rilevanza civilistica del principio contra non valentem agere non currit praescriptio, Padova, 2006.

3.  Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 12 gennaio 2006, Mizzi c. Malta, 19 ottobre 2005, Roche c. Regno Unito, 14 dicembre 1999, Khalfaoui c. Francia, 22 ottobre 1996, Stubbings e altri c. Regno Unito, reperibili nel sito della Corte

4.  Cassazione civile, Sez. III, 7.10.2011, n. 20609.

5.  Sent. S.S.R.R. n.7/2000.

6.  Sez. giurisdizionale per la regione siciliana, 263/2017.

7.  Vedasi, in punto, sent. n. 70/2017, Sezione giurisdizionale per la regione Lazio: “Questo Collegio deve quindi convenire sul fatto che, non solo il doloso occultamento non è stato dimostrato, ma, nella fattispecie, il dies a quo del termine di prescrizione si può solo identificare con la data del provvedimento di cancellazione di Tributi Italia dall’albo degli agenti della riscossione

8.  Cfr. Sent. n. 16/2017, Sezione giurisdizionale per la regione Lazio che afferma: “Il dies a quo della prescrizione va individuato nel momento della scoperta del danno da parte della Procura regionale o dell’Amministrazione danneggiata, soggetti entrambi competenti a porre in essere atti di costituzione in mora nei confronti dei responsabili, riconducibile, nel caso di specie, alla data del provvedimento di revoca del contributo comunitario”.

9.  Sez. Lav., 14 novembre 2011, n. 23809, ma si veda anche Cass. Cass. n. 9113/2007.

10.  Valga la breve rassegna che segue:
– Seconda sezione centrale di appello sentenza 268 del 05/05/2017: «nella fattispecie ricorre l’ipotesi dell’occultamento doloso del danno con conseguente slittamento del dies a quo della prescrizione alla data della scoperta dell’evento dannoso, come previsto dall’art. 1, comma 2 ultima parte, della legge n. 20 del 1994; scoperta che nel caso all’esame coincide con l’emissione del decreto di rinvio a giudizio in sede penale, essendosi solo in quel momento palesate le linee essenziali dell’attività illecita e del danno subito dall’amministrazione pubblica, In sostanza, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, l’occultamento doloso esclude qualunque rilievo – ai fini della decorrenza del termine prescrizionale – al momento dell’erogazione del finanziamento (intervenuta in diverse tranches tra il 1999 e il 2001)».
– Seconda sezione centrale di appello n. 269 del 09/05/2017: «Pertanto, non bastando ad impedire l’avvio del periodo prescrizionale il compimento, anche con dolo, di una condotta trasgressiva degli obblighi di servizio, l’occultamento doloso del danno deve consistere in una attività dissimulatoria ulteriore e successiva al concretizzarsi del danno, per cui in mancanza di una tale attività di copertura la prescrizione -come correttamente affermato dalla sentenza gravata- va computata dal momento in cui si verifica il fatto dannoso e cioè l’esborso di denaro pubblico o il pagamento (sul punto Sez. II d’Appello, n. 140/2014)».
– Lombardia sentenza 56 del 21/04/2017: «Tuttavia, nel caso di specie, al fine di individuare esattamente il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno è necessario considerare quanto in proposito declinato dall’art. 2935 del codice civile ovvero che “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. È dunque evidente che l’ALER non poteva e non certo per colpa ad essa imputabile, far valere il proprio diritto al risarcimento del danno, se non successivamente all’attività d’indagine svolta nel 2010 (proc. 60193/10) in sede penale, poi sfociata nella sentenza 15.5.2015 n.384. In sostanza, prima di tale data non poteva essere nemmeno conoscibile da parte dell’Amministrazione di appartenenza, secondo normali criteri di diligenza, il comportamento antigiuridico, asseritamente dannoso, posto in essere dai convenuti (SS.RR. QM n. 2 del 15 gennaio 2003)».
– C. Conti Liguria Sez. giurisdiz., Sent., 03/09/2013 n. 146: «Quella regola civilistica è stata tradizionalmente interpretata nel senso che l’occultamento doloso richiesto dalla norma, per produrre effetti sospensivi della prescrizione, deve concretizzarsi in una condotta ingannatrice e fraudolenta, diretta intenzionalmente ad occultare l’esistenza del credito. Detta condotta deve essere, inoltre, idonea ad ingenerare una situazione obiettiva che precluda al creditore stesso la possibilità di fare valere il proprio diritto, tale cioè da comportare per il creditore non una mera difficoltà di accertamento dell’esistenza dell’obbligazione, ma una vera e propria impossibilità di agire (ex multis, Cass. civ., sez. II, 28 settembre 1994, n. 7898, Cass. 23.1.2004 n. 1222 e 5 dicembre 2005 n. 9291)».
– Sicilia sentenza 682 del 28/02/2012: «Conseguentemente, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della L. 20/1994, la prescrizione inizia a decorrere dalla scoperta del fatto dannoso. Per l’individuazione del momento della scoperta del fatto causativo del nocumento per cui v’è causa occorre avere riguardo al tempo in cui si è avuta contezza dell’esistenza di condotte (anche) potenzialmente dannose per il pubblico erario. Tale accadimento deve reputarsi verificato nel momento in cui il Nucleo provinciale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Enna ha compendiato gli esiti delle prime indagini svolte nel rapporto del 6/8/2009».

11.  Sull’art. 66, si veda Analisi del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124 di Antonio Vetro, Presidente on. della Corte dei conti: «Tale disposizione, come altre del decreto, mira anch’essa a depotenziare l’azione del P.M. ed a considerare l’azione del Procuratore regionale di rango inferiore rispetto a quella di qualsiasi cittadino che agisca in sede civile per la salvaguardia dei propri diritti e per i quali tale limitazione non sussiste».