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Riflessioni sul rischio dell’insorgenza del procedimento penale nei confronti dell’amministratore pubblico

di - 11 Maggio 2017
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Si pensi, a mero titolo di esempio, al dirigente di un ente locale che attivi a mezzo avviso pubblico, in esecuzione di una delibera di giunta in tal senso, la procedura amministrativa di assegnazione di lavori retribuiti, socialmente utili, occasionali e accessori, per varie categorie di soggetti, dai pensionati, agli studenti, ai disoccupati.
Nonostante siano previsti requisiti e punteggi per la partecipazione all’assegnazione dei servizi da espletare, il responsabile del servizio prescelto ha, da bando, la titolarità di procedere all’affidamento della prestazione e di assegnare il lavoro a suo insindacabile giudizio.
Su tale atto, obiettivamente poco prudente sul fronte della garanzia d’imparzialità e buon andamento della P.A., viene decisa l’assegnazione di un determinato servizio e non altri comunque meritevoli d’intervento, a una determinata persona e non ad altri comunque meritevoli di assegnazione.
Una fattispecie come quella appena descritta genera certamente un’indagine prima, e l’esercizio dell’azione penale poi, per abuso d’ufficio, in ragione della sussistenza di una violazione di legge, consistente nel non rispetto dei doveri d’imparzialità della P.A., oltreché del secondo profilo d’ingiustizia, relativo al profitto per l’assegnatario dei lavori.
Per converso, tali indagini e tale esercizio dell’azione penale sono certamente destinate ad un nulla di fatto, sul piano dell’accertamento della responsabilità del pubblico funzionario, perché la sua azione, molto probabilmente illegittima, non implica in automatico la sua illiceità. L’ingiustizia della condotta, infatti, non implica l’automatica ingiustizia del compenso attribuito al beneficiario, né tantomeno – e a maggior ragione – l’intenzionalità dell’azione illegittima, perché comunque posta in essere, rispetto all’indirizzo tracciato dall’organo politico, per perseguire uno scopo di natura pubblicistica.
Ma l’effetto concreto di fattispecie come queste, pur destinate ad un epilogo liberatorio, è certamente quello di paralizzare, a futura memoria, l’azione amministrativa; e questo perché l’asserita illegittimità di essa non viene “curata” in seno all’amministrazione e/o alla giurisdizione amministrativa, bensì viene acquisita alla valutazione dell’Autorità giudiziaria penale.
Non rileva, a prevenire questo effetto collaterale da contrastare, il certo epilogo liberatorio poc’anzi accennato; perché, come già anticipato, è la stessa pendenza delle indagini che produce e procura una sequenza di effetti negativi, sul piano personale, professionale e patrimoniale, notoriamente irreparabili anche per effetto della successiva sentenza di assoluzione.

Ecco che, dunque, l’ambito d’intervento riformatore dev’essere finalizzato a superare questa impasse, vale a dire a rendere meno casuale e diffuso, in relazione ad azione amministrative illegittime, ma non necessariamente illecite, il rischio stesso del procedimento penale, il rischio delle indagini; e tutto ciò ferma restando l’obbligatorietà dell’attività inquirente, e poi dell’azione penale, rispetto a condotte penalmente tipiche.
Affrontare la questione, pensando ad un ulteriore intervento sul piano sostanziale, appare percorso poco praticabile.
Ferma restando l’opportunità di rivedere il perimetro di tipicità legale di talune fattispecie che mostrano obiettivamente taluni profili di criticità applicativa[2], l’idea di riscrivere con connotazione ancor più stringente l’ipotesi criminosa sin qui analizzata non sembra opportuna; perché lo sforzo del legislatore, di rendere tassativo e residuale lo spazio di rilevanza penale dell’azione amministrativa illegittima, non sembra ulteriormente incrementabile.
E poi, se il problema non è quello di evitare il pregiudizio della condanna, ma quello di evitare il pregiudizio certo e irreparabile delle indagini e del giudizio, stringere ulteriormente lo spazio applicativo della norma non comporterebbe in alcun modo una limitazione degli accertamenti investigativi, che potrebbero rimanere inalterati, poiché indotti dalla valutazione, inalterata, della sussistenza comunque della notizia di reato, per il fatto dell’azione amministrativa illegittima.

Ragionare in termini innovatori in ambito processuale, per converso, appare fattibile, nella direzione dell’individuazione di taluni criteri di merito, che risultino capaci di rendere più rigorosa, sul piano della previa analisi della sussistenza di tutti i presupposti della notizia di reato stessa, ciò che oggi è considerato atto dovuto e discrezionale per il P.M., vale a dire l’iniziativa dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro, con la conseguente apertura della fase delle indagini preliminari.
Infatti, l’iscrizione a carico di taluno della notizia di reato – con il conseguente obbligo di svolgere le indagini – si presta, in relazione all’abuso d’ufficio, seppur inconsapevolmente, alla distorsione di poter considerare notizia di reato, meritevole di approfondimento investigativo, qualsiasi illegittimità dell’azione amministrativa: perché l’ingiustizia della condotta è considerata indizio univoco dell’ingiustizia del risultato che procura; perché l’intenzionalità soggettiva di tale risultato ingiusto si ritiene debba essere successivamente accertata dalle indagini, o ancor peggio, come spesso accade, dal processo.

L’idea di fissare normativamente degli obblighi più stringenti, per il P.M., nel valutare, sin dal momento dell’iscrizione della notizia di reato, la sussistenza di essa, come connotata dal quid pluris oggettivo e soggettivo, rappresentato dall’ingiustizia del risultato e dall’intenzionalità di esso, rispetto all’azione amministrativa illegittima, invece, ritengo possa essere approfondita.

Com’è noto presso le Procure della Repubblica esiste il registro delle notizie di reato, denominato mod. 21, la cui sola iscrizione obbliga il P.M. al compimento delle indagini e poi alla risoluzione della richiesta di archiviazione o dell’esercizio dell’azione penale.
Ma esiste anche il mod. 45, nel quale vanno iscritti i fatti non costituenti notizia di reato, vale a dire le cd. pseudo notizie di reato; esse generano iscrizioni rispetto alle quali la giurisprudenza è consolidata nell’affermare che il procedimento iscritto in tale registro, se non assume la natura di notizia di reato, è destinato a transitare in archivio per diretta decisione del P.M., senza necessità di passare per la decisione di un giudice[3].

Note

2.  Il riferimento è al delitto di traffico d’influenze illecite di cui all’art. 346 bis c.p., introdotto dalla l. 06/11/2012, n. 190.

3.  2 Essendo legittimo il potere di cestinazione del p.m., non è necessaria la richiesta di archiviazione relativamente ad atti non costituenti notizia di reato (Cassazione penale, sez. un., 22/11/2000, n. 34).

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