Negoziazioni pubbliche e apprendimento della pubblica amministrazione

di Gianfrancesco Fidone

Relazione introduttiva all’incontro “Partecipazione di capitali privati al finanziamento delle opere pubbliche: criticità e nuove opportunità dopo il nuovo codice dei contratti pubblici”, Roma, Camera dei Deputati, Sala del Mappamondo,10.3.2017

Le linee di pensiero tratteggiate in questo breve intervento, condivise con il gruppo di lavoro di AEQUA che si è occupato di concessioni e PPP, sono quelle che hanno ispirato le proposte di emendamento del Codice che sono confluite nel paper dell’Osservatorio che è stato distribuito. Tali proposte hanno riguardato un generale coordinamento tra la parte III e IV, una assestamento della definizione dei rischi sulla base delle definizioni di cui alla direttiva 23, l’inserimento quale contrappeso del principio di libera amministrazione di quello di controllo di performance e responsabilizzazione della p.a. La bozza di correttivo predisposta dal Governo e in circolazione, tuttavia, si è limitata a interventi puntuali su alcune disposizioni ma non a quelli più generali e di sistema che noi auspicavamo. Rimane, dunque, tanta strada ancora da percorrere (e l’Osservatorio vorrebbe farla con il supporto degli stakeholders) per delineare un quadro normativo più chiaro su concessioni e PPP. Il tutto, però nella convinzione, che in questa materia molto possa o debba rimanere fuori dalla Legislazione ordinaria ed essere lasciato al campo dell’Amministrazione.
Il tema dei PPP e delle concessioni (che sono una forma di PPP) è un tema complesso (poiché richiede competenze multidisciplinari) e multilivello (poiché il diritto interno deve tenere conto, almeno per quanto riguarda le concessioni, della nuova direttiva europea 23/2014/UE). Sono molti, dunque, i possibili approcci al tema. Questo intervento si muove sul lato della domanda pubblica, ovvero si prefigge, brevemente, di analizzare la posizione della pubblica amministrazione in tali rapporti. Esso deve considerarsi complementare a quello dell’avv. Gobbato che focalizzerà la propria attenzione su quello dell’offerta, ovvero degli operatori economici e finanziatori coinvolti nelle stesse operazioni.
Le concessioni e i PPP sono contratti complessi, come è espressamente detto anche dal Considerando 68 della Direttiva 2014/23/UE. Essi coinvolgono più fasi (progettazione, finanziamento, costruzione, gestione), più soggetti (p.a., progettisti, finanziatori, costruttori, gestori), competenze interdisciplinari, lunga durata e, spesso, ingenti capitali di denaro. Gli stessi PPP si caratterizzano, rispetto agli appalti, per l’elemento decisivo del trasferimento del rischio operativo in capo al partner privato, con modalità diverse, in relazione alle operazioni di PPP caldo e freddo. Tali elementi di complessità afferiscono ad un rapporto unitario continuativo, nel quale devono essere bilanciati gli interessi contrapposti tra i vari attori (e in particolare, quello della pubblica amministrazione a realizzare buone opere a costo contenuto e quello dei privati che mirano a massimizzare il loro profitto).
La caratteristica centrale di tali operazioni è lo svantaggio informativo (asimmetria informativa), crescente al crescere della complessità dell’operazione, che ha la pubblica amministrazione rispetto ai propri partner privati. Il privato è, infatti, molto più informato sui servizi e lavori che egli stesso offre rispetto all’amministrazione che domanda quelle stesse opere e quei servizi. Tale caratteristica è trasversale in tutte le fasi del rapporto, da quella della scelta del contraente privato (nella quale può essere causa di fenomeni riconducibili alla c.d. selezione avversa – ovvero alla scelta di offerte non ottimali sotto il profilo qualitativo ed economico); in quella di esecuzione del contratto (compresa la gestione). in tale ultima fase, anzi, si manifesta un’altra caratteristica rilevanti di tali rapporti di lunga durata, ovvero quella dell’incompletezza (contratti incompleti) ovvero della impossibilità di prevedere tutto al momento della stipula e della necessità di rinegoziazioni in corso di rapporto. Tale criticità può essere considerata una delle cause (non certamente la sola) del fallimento di molte operazioni di PPP, con conseguente reliazzazione di opere inadeguate e lievitazione dei tempi e costi.
Per queste ragioni, il diritto Europeo ha sottratto le concessioni dall’applicazione delle procedure tipiche di aggiudicazione degli appalti e suggerito l’uso di procedure flessibili (quali il dialogo competitivo). Tale flessibilità costituisce per le amministrazioni un’opportunità di apprendimento che può ridurre l’asimmetria informativa a loro svantaggio. Negoziando si impara, potremmo dire, ovvero si può arrivare alla redazione di un bando, alla stipula di un contratto o di un atto aggiuntivo più preparati. Le procedure flessibili, dunque, non sono altro che momenti di apprendimento per l’amministrazione che da una informazione A, attraverso la negoziazione, arriva ad un’informazione B (maggiore di A). In una ricerca fatta per la Presidenza del Consiglio sulla realizzazione di Ospedali in concessione, ci rendemmo conto che subito dopo la stipula del contratto e prima dell’inizio di ogni attività del concessionario, si procedeva a rinegoziare il contratto appena sottoscritto. La giustificazione degli amministratori pubblici era che al momento della stipula del contratto (derivante dall’aggiudicazione fatta con procedura rigida) non avevamo le informazioni necessarie. Se il contenuto dell’affidamento fosse stato preventivamente negoziato, molte rinegoziazioni avrebbero potuto essere evitate. Ho letto con piacere che anche la Ragioneria dello Stato nella bozza di contratto di concessione, testo in consultazione dal 30 novembre 2015 al 29 febbraio 2016, auspicava l’utilizzo del dialogo competitivo per l’affidamento di tali contratti. La stessa ANAC, nella determinazione n. 10/2015 riconosceva la stessa possibilità.
Il nuovo Codice, sulla base della direttiva 23, prevede all’art. 166 il principio di libera amministrazione, tanto in fase di aggiudicazione che di esecuzione dei contratti. Ciò consente (ed anzi, dovrebbe spingere in tale senso) alle pubbliche amministrazioni ad utilizzare procedure negoziate di apprendimento, tanto in fase di aggiudicazione che di rinegoziazione dei contratti. Questo può essere considerato un punto ormai (anche se faticosamente e con ritardo) acquisito.
Il problema delle amministrazioni oggi diventa quello di sapere gestire una negoziazione. Imparare a negoziare non significa avere una competenza specifica particolare su un determinato oggetto contrattuale ma acquisire una metodologia, una struttura, strumenti necessari all’accrescimento informativo (attraverso la negoziazione) in ambiti diversi. Ciò richiede una particolare organizzazione e professionalità (tipiche della grande impresa privata, che si avvale di negoziatori professionisti) che le pubbliche amministrazioni sino ad oggi non hanno avuto. Il problema si pone soprattutto nel breve /medio periodo, nel quale le amministrazioni si troveranno a dover gestire importanti operazioni. Un primo quesito da sottoporre alla platea degli stakeholders può essere, dunque: “Il principio di libera amministrazione implica che le p.a. debbano organizzarsi per ben gestire la flessibilità, soprattutto nel breve/medio periodo. Quali misure avete adottato o ritenete di adottare in tale senso?
Vi è però un altro aspetto.

La riforma operata dal Codice non appare ancora completa. Infatti, il principio di libera amministrazione, che presuppone fiducia nelle pubbliche amministrazioni, esige un adeguato sistema di misurazione dei risultati raggiunti e del loro controllo, al fine di evitare un uso distorto delle negoziazioni. A tali fini, appare necessario stabilire a priori quale debba essere il risultato (performance) programmato della pubblica amministrazione, anche attraverso il ricorso a valori standard universalmente riconosciuti, e poi procedere alla verifica del risultato conseguito. Tutto ciò dovrebbe determinare la maggiore ed effettiva responsabilizzazione delle stazioni appaltanti e dei singoli dirigenti e funzionari che operano al loro interno. Una seconda questione da sottoporre alla platea è: “la nuova flessibilità delle procedure implica la necessità di controlli di risultato, per evitarne un uso distorto. In un quadro normativo ancora inadeguato sotto tale profilo, che tipo di precauzioni stare prendendo o avete intenzione di prendere?“.
La riforma in essere dovrebbe completarsi con un ripensamento dei controlli giurisdizionali. Il controllo del Giudice (amministrativo e, soprattutto, contabile) dovrebbe tenere conto del risultato dell’attività amministrativa complessiva, ad esempio gli esiti di una procedura di affidamento o dell’esecuzione di un contratto, in termini di spesa, qualità, tempestività. L’attuale assetto di tali controlli appare un disincentivo per le amministrazioni dall’intraprendere procedure negoziate di apprendimento e, più in generale, dall’esercitare la discrezionalità. Il solo rispetto della legalità formale, indipendentemente dai risultati raggiunti, mette al sicuro il funzionario pubblico dal pericolo di subire procedimenti giudiziari ai quali, in caso di scelta di procedure flessibili, sarebbe più esposto.
Le questioni poste, che certamente non vogliono in alcun modo ingessare il dibattito, devono essere rivolte in primo luogo alle stazioni appaltanti. Tuttavia, dovrebbe ravvisarsi anche un interesse degli operatori economici a trovarsi come controparte committenti professionali ed informati. Le stesse questioni appaiono utili ad affrontare concretamente la realizzazione delle concessioni e dei PPP nel quadro del nuovo assetto regolatorio. Individuare risposte concrete, sotto il profilo della buona amministrazione e, solo eventualmente, della Legislazione, potrebbe consentire un effettivo miglioramento dell’applicazione dei contratti di PPP e concessione in Italia, sicuramente sino ad ora sottodimensionato e con esiti talvolta deludenti.