Banca e impresa al tempo della crisi: capitale o perizia?

1. Premessa. Si tratteggia qui una ipotesi ricostruttiva del rapporto tra la banca e la «impresa» al tempo della crisi in atto[1].
Di questa ipotesi s’intendono qui condividere in particolare alcuni interrogativi concernenti l’adeguatezza delle linee di fondo dell’attuale normativa finanziaria e, in specie, di quella bancaria.
La stretta dell’angolo visuale sul rapporto della banca con l’impresa dipende dal fatto che la crisi ha inciso intensamente sulle aziende più che sui patrimoni personali degli imprenditori: com’è normale dato l’usuale grado di capitalizzazione della piccola imprenditoria a gestione familiare che contraddistingue il tessuto produttivo italiano[2].

2. Allontanamento della banca dall’impresa. Ad un’osservazione di sintesi, l’ultima crisi economica, la più grande dell’era contemporanea, pare un’opportunità che il sistema bancario italiano, anche quello sano, finora non ha sfruttato. La crisi pare aver offuscato il suo ruolo nell’economia, centrale fino ad un decennio fa. Ad uscire rafforzata dalla crisi sembrerebbe l’impresa: al momento, non in termini quantitativi, naturalmente, ma qualitativi.
Si è vista aumentare la conflittualità tra banca e impresa, infatti, più che il servizio della banca all’impresa. Sono emblematici il contenzioso in materia di usura e quello in tema di anatocismo[3].
Le soluzioni paragiudiziali (art. 182-bis l. fall.) o altrimenti protette (art. 67, comma 3, lett. d, l. fall.) della crisi d’impresa non sono decollate[4]. I piani di risanamento, in specie in ragione della responsabilità dell’esperto indipendente che ne deve attestare la fattibilità, risultano troppo costosi per la piccola impresa in crisi. Il sistema bancario, d’altra parte, pare restio a fornire nuova finanza anche all’interno delle soluzioni protette della crisi, nonostante la prededucibilità assicurata negli ultimi tempi al relativo credito in caso di fallimento.
Né allo stato l’impresa in difficoltà, la piccola impresa, riesce a trovare liquidità in altri canali finanziari: anche la borsa è sostanzialmente ferma.
Il trend che rischia di attuarsi è quello della cessione degli NPL, con reviviscenza del meccanismo delle cartolarizzazioni, ora a prezzi stracciati[5]: cessioni, però, cui potrebbe seguire, normalmente, non una gestione «professionalizzata» dei crediti ceduti in grado di garantire la continuità aziendale delle imprese debitrici, ma l’escussione coattiva nel tempo meno lungo possibile del patrimonio dei debitori ceduti[6]. Ciò che significherebbe molto spesso distruzione di buone risorse produttive.

3.Crescita dell’impresa. Parte significativa delle imprese in crisi sembrano imprese in difficoltà finanziaria ma con buoni fondamenti e buoni prodotti: brand, talvolta, anche di prestigio internazionale.
Siffatte imprese superano la tensione di liquidità – quando vi riescono – senza poterne domandare di nuova al sistema finanziario, razionalizzando al massimo, magari con l’aiuto di professionisti esterni, le proprie strutture e risorse e rivolgendo la propria offerta al mercato estero. Quando non riescono a recuperare liquidità al proprio interno, anche liquidando asset importanti, la ottengono da altri imprenditori, come fornitori strategici, disponibili ad entrare nel capitale (è il mercato dei piccoli M&A, prevalente rispetto a quello delle grandi concentrazioni).
La crisi sta dunque facendo evolvere l’impresa: con le razionalizzazioni e le aggregazioni, la sta facendo transitare dall’artigianato all’industria; dalla struttura famigliare a quella capitalistica; da una dimensione domestica ad una internazionale. Rende sempre più evidente l’opportunità dell’ingresso di terzi nella gestione: l’opportunità di una separazione, almeno in parte, della proprietà dalla gestione[7].
Sembra iniziarsi ad intravedere anche una ripresa di creatività di prodotto, e non solo di processo. E sono a disposizione finanziamenti europei per l’innovazione, che richiedono tuttavia anche professionalità per essere ottenuti (si conta qualche società a ciò dedicata: un esempio di prodotto nuovo, sia pure non di particolare pregio).
Certo, per sopravvivere, senza domandare nuova finanza alla banca, l’imprenditoria deve comunque avere la fortuna di trovarvi professionalità sensibili, intelligenti, che sotto l’apparenza di piani di rientro liquidatori riescono a contribuire alla soluzione di tensioni finanziarie di imprese strutturalmente sane.

4. Vincoli patrimoniali all’attività bancaria ed erosione della riserva dell’esercizio del credito. Le ragioni della non attiva assistenza finanziaria all’impresa in difficoltà da parte delle banche sono varie: alcune di notevole importanza sono esterne al sistema bancario, affondando nel deficit di programmazione economica ad opera della Politica; qualche causa, però, è interna al sistema.
Tra queste la principale sembra rappresentata dalla severità, e rigidità, dei requisiti patrimoniali imposti alle banche: l’inasprimento, per la verità, risale agli anni 2004-2006 («Basilea 2») quando la crisi non si era ancora manifestata; nondimeno, quegli stessi requisiti non sono stati ammorbiditi finora[8]. Così che, in tempo di crisi, il sistema necessita di aumentare i propri livelli di patrimonializzazione: di qui, per esempio, le concentrazioni bancarie (segno della debolezza del sistema). Di qui pure il credit crunch[9].
La riduzione dell’offerta di credito da parte del sistema professionalmente a ciò deputato ha sospinto la legislazione degli ultimi due anni ad allentare la riserva dell’esercizio del credito, permettendo tale attività, entro certi limiti, ad altri soggetti (i.e., ammettendo la compatibilità dell’esercizio del credito con altre attività rispetto alle quali era stata finora negata): assicurazioni, SPV per le cartolarizzazioni, OICR[10].
Così, all’evidenza, sulla carta almeno, si depolarizza l’esercizio del credito, sinora prerogativa di banche e intermediari finanziari.
Il fenomeno propone questioni, anche sistematiche, di notevole impegno, in corso di esame in un lavoro monografico[11]. Qui si vogliono sottolineare rapidamente alcuni punti di uno degli aspetti che di tale fenomeno merita particolare attenzione.

5. Due modelli di prudente attività creditizia: patrimonio o perizia? I nuovi soggetti di recente ammessi all’esercizio del credito non hanno i vincoli patrimoniali delle banche ovvero li hanno in misura significativamente ridotta: la disciplina, però, richiede a tutti loro il possesso, diretto o mediato, di una struttura adeguata per l’istruttoria ed il monitoraggio del credito.
Donde, forte, la domanda: perché alle banche e agli intermediari finanziari sono imposti coefficienti patrimoniali, di liquidità, di leva ecc. e ai nuovi enti creditizi no?

Certo, si può rispondere: soltanto le banche effettuano la «raccolta del risparmio»[12]: la raccolta del risparmio, vale a dire, con «obbligo di rimborso» (artt. 10-11 T.U.B.).
Peraltro, introdotto il bail-in, la distinzione tra deposito bancario e investimento finanziario diviene, nella sostanza, ancor più sottile, problematica[13].
Soprattutto, da un canto, raccolta del risparmio ai sensi del T.U.B. non v’è (se non limitata) nell’attività degli intermediari finanziari ex art. 106 T.U.B., pure sottoposti allo stesso tipo di regime patrimoniale delle banche.
Dall’altro, raccolta del risparmio, da tutelare ai sensi dell’art. 47, comma 1, prima parte, della Costituzione – che non distingue tra le possibili forme d’impiego del denaro risparmiato −, vi è pure nell’attività degli OICR, degli SPV per le cartolarizzazioni e delle assicurazioni.
Dunque, con l’erosione della riserva “bancaria” del credito e l’introduzione dei modelli prudenziali di attività creditizia elaborati per OICR, SPV, assicurazioni, si sta forse facendo strada, tra le righe, a fatica, l’idea che la disciplina prudenziale dell’esercizio del credito − che è necessaria a prescindere dalla raccolta o meno del risparmio con obbligo di rimborso[14] − può non imperniarsi sul “rafforzamento patrimoniale” ed incentrarsi sull’istruttoria e sul monitoraggio del credito?[15]
Anche perché, in fondo, qual è effettivamente la misura sufficiente di fondi propri? «Nemmeno la dottrina aziendalistica è ancora in grado di risolvere il problema»[16].
E perché i fondi volta a volta adeguati devono essere necessariamente propri? Al di là del dubbio che pure può nutrirsi sulla fondatezza dell’assunzione che i soci che maneggino fondi altrui siano più propensi ad esporli al rischio di quanto non farebbero con i fondi propri[17], è un fatto che la gestione ordinaria è di competenza degli amministratori (art. 2380-bis c.c.), non dei soci. Certo, maggiore è il distacco, anche strutturale, del management dalla proprietà, minore è il rischio di moral hazard dei soci. Certo, il potere degli amministratori deve essere controbilanciato dall’effettività della responsabilità (civile, penale). 

6. Nuovi enti creditizi e piccola impresa, in difficoltà. Sottolineata la bontà dell’idea che il contenimento del rischio di credito sia ancorato allo strumento tradizionale quanto naturale al fine – l’istruttoria fidi −, a scapito di incerte misure di patrimonializzazione, pare invece ragionevole avanzare riserve sulla effettiva idoneità delle recenti aperture all’esercizio del credito a venire incontro alle necessità dell’imprenditoria italiana.
A chi possono far credito infatti i nuovi enti creditizi? Assicuratori e SPV per le cartolarizzazioni, per legge, solo alla medio-grande impresa![18]
E dubbi possono sollevarsi, in fatto, anche sulla idoneità degli OICR a destinare liquidità alla piccola impresa, in particolare alla piccola impresa in difficoltà, considerato il rapporto costi/rischi/ricavi attesi[19].
Sicché si profila un rischio: che la nuova potenza finanziaria che viene liberata, si diriga non a sostenere l’imprenditoria, ma a speculare sulla sua distruzione: il rischio è che possa essere indirizzata a finanziare investitori professionali in ABS collegati a NPL, tra i quali potrebbe figurare anche qualche investitore estero[20], nell’ambito di cartolarizzazioni in cui la riscossione dei crediti ceduti può accontentarsi della liquidazione coattiva dei beni dei debitori, senza prima ricercarne il risanamento.

7. Capital Markets Union: tempo di migrare? O di ripensare? Converge con lo scopo di aumentare le possibilità offerte all’impresa di reperire finanziamenti, che ha mosso il legislatore ad ammettere nuovi soggetti all’esercizio del credito, la Capital Markets Union[21], là dove programma di agevolare l’accesso al mercato dei capitali della piccola impresa. Mercati per la crescita delle piccole e medie imprese, con requisiti di accesso semplificati rispetto a quelli stabiliti per l’ingresso nei mercati ordinari, sono già previsti nella MiFID II.
Perplessità, tuttavia, sono state formulate sulla compatibilità di tali requisiti, sia pure semplificati, con le effettive possibilità delle piccole imprese[22]. D’altro canto, anche il momento per incentivare questa imprenditoria a rivolgersi al mercato dei capitali non pare dei più propizi: la fiducia del pubblico nella economia non esonda.
Il luogo in cui l’impresa potrebbe più facilmente trovare sostegno, al tempo della crisi, è il sistema bancario e parabancario[23].
Perché qui si dovrebbero rinvenire strutture capaci di un simile sostegno. La banca, infatti, deve essere dotata di professionalità in grado di diagnosticare e analizzare la difficoltà dell’impresa e di gestire la difficoltà in funzione del risanamento dell’impresa, se questo è possibile in un congruo periodo: perché il risanamento evita la perdita e/o genera utili e dunque è coerente con una sana e prudente gestione. Il management bancario, inoltre, deve essere dotato di, e muoversi in coerenza con, una visione di lungo periodo[24]: questa è conforme, ancora una volta, con una sana e prudente gestione, non una visione corta.
Il sistema bancario, però, deve anche fare i conti con i vincoli patrimoniali, sulla cui idoneità a conferire sicurezza all’attività bancaria si sono già manifestate forti perplessità.
Più utile, in effetti, pare altra parte della normativa di settore. Così anzitutto quella volta a garantire che il «capitale umano» sia adeguato, che l’azione sia programmata e con ponderazione e che l’azione sia svolta in conformità al programma[25]. Utile pare l’intensificazione, di recente avvenuta, della sorveglianza sulla regolarità dell’azione: il riferimento è in specie al potere di removal[26]. Fruttuoso pare l’inasprimento della reazione propriamente punitiva, che tuttavia si è verificato (con le modifiche degli artt. 144 ss. T.U.B.) restando sul piano degli illeciti amministrativi: svincolando la responsabilità dell’ente da quella degli esponenti e acuendo, per gli uni e per gli altri, la sanzione irrogabile.

Note

1.  Sia consentito indicare così, come «impresa», il sistema di produzione e scambio di beni e servizi non finanziari nonostante la vigenza della norma dell’art. 10, comma 1, T.u.b., che definisce come «impresa» anche l’attività bancaria.

2.  Per dati quantitativi indicativi della perdurante vastità del fenomeno della piccola impresa nella realtà italiana ed europea, v. E. Tonelli, (High-tech) Start-ups, piccole e medie imprese: canali di finanziamento e problemi di governance, in Regole e mercato, a cura di V. Santoro, Torino, 2016, p. 4 ss.

3.  Sul primo, per un quadro, v. M. Semeraro, Usura originaria, usura sopravvenuta e interessi moratori, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 11, 2015; G. Mucciarone, Usura sopravvenuta e interessi moratori usurari tra Cassazione, ABF e Banca d’Italia, in Banca borsa tit. cred., 2014, I, p. 438 ss.; ai quali adde Cass., 17 agosto 2016, n. 17150. Sul secondo, F. Civale, L’art. 120 del T.U.B. versione 2016: il “valzer” degli interessi nei rapporti bancari, in www.dirittobancario.it, 15 aprile 2016; G. Mucciarone, Anatocismo bancario: ultimi sviluppi, in Banca Impresa Società, 2016, 2, p. 355 ss.

4.  Sul tema L. Stanghellini, Finanziamenti-ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Il Fallimento, 2010, p. 1346 ss.; Idem, Il concordato con continuità aziendale, ivi, 2013, p. 1222 ss.; P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo, Il finanziamento dell’impresa in crisi. Disciplina, problemi e prospettive, in Regole e mercato, cit., p. 323 ss.; S. Fortunato, Considerazioni sul finanziamento delle imprese in crisi, ivi, p. 361 ss.

5.  Il valore di mercato dei crediti deteriorati si aggira intorno al 20% del facciale dei crediti a fronte di un valore di libro pari circa al 45%. Lo scarto tra le due valutazioni sarebbe dovuto, in parte, alle asimmetrie informative tra venditore e compratore sui beni in interesse (v. A. Sciarrone Alibrandi, Introduzione al Convegno su I non performing loans tra regole e mercato, Milano, 2 febbraio 2017; M. Nava, Il problema degli NPL in prospettiva europea, ivi) e, in altra parte, alla inefficienza delle procedure esecutive italiane (B. Inzitari, Crediti deteriorati (NPL), aiuti di stato nella BRRD e nella comunicazione sul settore bancario del 30.7.2013 della Commissione europea, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, I, p. 645). Ma è possibile che tutti gli NPL debbano fatalmente risolversi in procedure esecutive?

6.  Da verificare se, qualora solo il risanamento dell’impresa debitrice rendesse possibile il recupero del credito in tempo ragionevole rispetto al tempo di un’esecuzione concorsuale, lo SPV non sia obbligato, nei confronti degli acquirenti le ABS, a contribuire a percorrere la prima strada tramite accordi di ristrutturazione del debito: dedicata ad un profilo piuttosto trascurato della disciplina delle cartolarizzazioni − l’obbligo, in capo allo SPV (ergo dei suoi ausiliari), di una diligente gestione dei crediti cartolarizzati – è una vecchia tesi di dottorato in diritto civile presso l’Università degli Studi di Ferrara: M. Spada, Il patrimonio separato nella cartolarizzazione: debito e responsabilità della società cessionaria, 2006.

7.  Separazione che l’art. 2380-bis c.c. richiede a livello di funzioni, ma che la CRD IV, quindi l’art. 16 T.u.b., con il requisito dell’indipendenza degli amministratori, parrebbe richiedere, in termini forti, anche a livello di struttura: sul punto G. Mucciarone, Organi sociali delle banche: l’idoneità in concreto, in Regole e mercato, cit., p. 104.

8.  La proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 novembre 2016 modificativo del CRR irrobustisce ed estende il fattore di supporto alle PMI: una mitigazione della ponderazione delle esposizioni verso tali soggetti (v. l’art. 1, § 126, della Proposta).

9.  Ritiene il sistema bancario affetto da deficit strutturali che ne limitano la capacità di azione, F. Capriglione, Una cura inadeguata per i mali del sistema bancario italiano: il Fondo Atlante, in questa Rivista, 3 maggio 2016; Idem, Nuova finanza e sistema italiano, Torino, 2016, spec. pag. 1 ss.  Di diverso avviso P. Ciocca, La natura del problema bancario, in questa Rivista, 29 aprile 2016.

10.  Per una sintesi su tali erosioni della riserva dell’esercizio del credito, v.  M. Biasin e M. Sciuto, Il fondo di credito diretto (direct lending fund), in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, p. 536 ss.; F. Capriglione, Nuova finanza cit., p. 11 ss.

11.  Basti qui accennare al problema, che giganteggia, della opportunità, o meno, di un passaggio del sistema alla figura dello «intermediario finanziario universale».

12.  E’ la risposta di M. Biasin e M. Sciuto, op. cit., p. 552 s.

13.  Lo rimarca F. Capriglione, Nuova finanza cit., p. 10.
La differenza tra deposito bancario e investimento finanziario sta, a mio avviso – ma il punto non può certo qui essere adeguatamente svolto −, in ciò che, mentre l’investitore, ex contractu, ha diritto a che l’intermediario rispetti lo specifico incarico di gestione ricevuto (incarico che può essere più o meno ampio nel contenuto, ma è pur sempre un segmento dell’attività d’investimento che è possibile all’intermediario) in conformità alla disciplina di settore che gli è applicabile come impresa, oltre che come parte contrattuale, invece il depositante può sindacare soltanto – ma può sindacare nel corso del rapporto contrattuale – la conformità della conduzione dell’impresa bancaria alla disciplina di settore. Tale potere di sindacato discende dal fatto che è solo il rilievo contrattuale della disciplina cui è soggetta la banca come impresa, che può dare sostanza alla causa di custodia nel deposito bancario. Se infatti non ci fosse un potere di risoluzione del deposito e di risarcimento del danno per inosservanza della disciplina d’impresa, non sarebbe possibile distinguere il deposito bancario dal mutuo. Per un quadro delle varie tesi sulla natura del deposito bancario, non ancora soddisfacenti, v. U. Minneci, I depositi bancari di denaro, in Trattato dei contratti, a cura di V. Roppo, V, Milano, 2014, p. 760 ss.

14.  L’art. 47, comma 1, seconda parte, Cost. richiede il controllo dell’esercizio del credito a prescindere dalla forma tecnica con cui è raccolto il capitale impiegato. Per una giustificazione del maggior rigore della disciplina dell’impresa bancaria rispetto alla impresa in generale soprattutto in ragione del necessario controllo dell’esercizio del credito, più che della tutela del risparmio, G. Mucciarone, L’opposizione alla fusione di società, Milano, 2014, spec. p. 90 ss. Per la ragionevolezza, ex art. 3 Cost., di una disciplina comune alla grande impresa, «grande» per entità dei capitali in qualunque forma coinvolti nell’impresa (come, p. es., nelle società quotate) ovvero per il valore degli interessi, diversi da quelli proprietari, che l’impresa è destinata a soddisfare (vedi, p. es., gli ospedali oppure gli intermediari ex art. 106 T.U.B. per la funzione di selezione delle imprese meritevoli di finanza), G. Mucciarone,  Organi sociali cit., p. 98 s.

15.  Per la valorizzazione di tale aspetto dell’attività bancaria rispetto ai requisiti patrimoniali v. G. Mucciarone, Finanziamenti: istruttoria del credito e monitoraggio del cliente, in Tratt. dei contratti, cit., p. 781 ss. Tale aspetto ha ricevuto nuova considerazione nel contesto del recepimento della MCD, con gli aggiornamenti del 27 settembre 2016 delle circolari di Banca d’Italia n. 285/2013 e n. 288/2015.

16.  G.B. Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Tratt. s.p.a., 1**, dir. da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 2004, p. 48.

17.  Sono forse meno avidi di utili quando possono valersi dell’eterofinanziamento? E, ammesso il paragone, non corretto, dell’impresa alla roulette, è comunque chiaro che più puntate alzano la possibilità di vittoria. D’altra canto, nelle società quotate con capitale polverizzato potrebbe dirsi che ciascun socio rischia il capitale altrui, più che il proprio.

18.  Strano. E strano che invece gli OICR possano far credito anche alla piccola impresa, ma non ai consumatori.

19.  Maggiore fiducia mostra F. Capriglione, Nuova finanza cit., p. 18 s., sul «ruolo sociale» che nell’attuale fase possono svolgere i fondi d’investimento.

20.  L’ha rimarcato A. Penati, relazione su Fondo Atlante e nuove soluzioni per iNPLs tenuta nel convegno su I crediti deteriorati nell’industria bancaria italiana, Milano, 14 ottobre 2016.

21.  Per un quadro sull’Action Plan on Building a Capital Markets Union, emanato dalla Commissione Europea il 30 settembre 2015, D. Siclari, European Capital Markets Union e ordinamento nazionale, in Banca borsa e tit. cred., 2016, I, p. 481 ss.

22.  Cfr. F. Annunziata, relazione su Nuovi mercati, AIM e responsabilità della società di gestione tenuta nel convegno su Efficienza del mercato e nuova intermediazione, Bergamo, 28 ottobre 2016, con perplessità sulla capacità delle nuove norme a raggiungere effettivamente il proposito di incentivare la quotazione delle piccole imprese;

23.  Osserva F. Capriglione, Nuova finanza cit., p. 39 s.: «Con tutta probabilità, i tempi a venire saranno contrassegnati da una crescente alternanza tra momenti di compenetrazione ovvero di allontanamento tra sistema bancario tradizionale e shadow. Tale avvicendamento sarà determinato dal prevalere o meno dell’estensione applicativa dei presidi prudenziali allo svolgimento delle attività intermediatrici».

24.  Ne sono riflesso la disciplina del RAF, per esempio, e della remunerazione degli esponenti aziendali.

25.  Si allude a buona parte della normativa in materia di organizzazione della gestione di vertice e dei controlli interni: su cui, di recente, anche per ulteriori riferimenti e diversi inquadramenti di fondo di tale complesso disciplinare, v. i contributi di C. Frigeni, G. Mucciarone, A. Sciarrone Alibrandi e E. d’Ippolito, tutti in Regole e mercato, cit.

26.  Sul tema, oltre gli autori citt. nella nota precedente, A. Antonucci, I poteri di removal degli esponenti aziendali nell’ambito del Single Supervisory Mechanism, in Banca Impresa Società, 2016, p. 39 ss.; F. Ciraolo, La Banca d’Italia ed il potere di rimozione degli esponenti aziendali tra vigilanza prudenziale e disciplina della crisi, ivi, 2016, p. 51 ss.