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Banca e impresa al tempo della crisi: capitale o perizia?

di - 2 Marzo 2017
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Certo, si può rispondere: soltanto le banche effettuano la «raccolta del risparmio»[12]: la raccolta del risparmio, vale a dire, con «obbligo di rimborso» (artt. 10-11 T.U.B.).
Peraltro, introdotto il bail-in, la distinzione tra deposito bancario e investimento finanziario diviene, nella sostanza, ancor più sottile, problematica[13].
Soprattutto, da un canto, raccolta del risparmio ai sensi del T.U.B. non v’è (se non limitata) nell’attività degli intermediari finanziari ex art. 106 T.U.B., pure sottoposti allo stesso tipo di regime patrimoniale delle banche.
Dall’altro, raccolta del risparmio, da tutelare ai sensi dell’art. 47, comma 1, prima parte, della Costituzione – che non distingue tra le possibili forme d’impiego del denaro risparmiato −, vi è pure nell’attività degli OICR, degli SPV per le cartolarizzazioni e delle assicurazioni.
Dunque, con l’erosione della riserva “bancaria” del credito e l’introduzione dei modelli prudenziali di attività creditizia elaborati per OICR, SPV, assicurazioni, si sta forse facendo strada, tra le righe, a fatica, l’idea che la disciplina prudenziale dell’esercizio del credito − che è necessaria a prescindere dalla raccolta o meno del risparmio con obbligo di rimborso[14] − può non imperniarsi sul “rafforzamento patrimoniale” ed incentrarsi sull’istruttoria e sul monitoraggio del credito?[15]
Anche perché, in fondo, qual è effettivamente la misura sufficiente di fondi propri? «Nemmeno la dottrina aziendalistica è ancora in grado di risolvere il problema»[16].
E perché i fondi volta a volta adeguati devono essere necessariamente propri? Al di là del dubbio che pure può nutrirsi sulla fondatezza dell’assunzione che i soci che maneggino fondi altrui siano più propensi ad esporli al rischio di quanto non farebbero con i fondi propri[17], è un fatto che la gestione ordinaria è di competenza degli amministratori (art. 2380-bis c.c.), non dei soci. Certo, maggiore è il distacco, anche strutturale, del management dalla proprietà, minore è il rischio di moral hazard dei soci. Certo, il potere degli amministratori deve essere controbilanciato dall’effettività della responsabilità (civile, penale). 

6. Nuovi enti creditizi e piccola impresa, in difficoltà. Sottolineata la bontà dell’idea che il contenimento del rischio di credito sia ancorato allo strumento tradizionale quanto naturale al fine – l’istruttoria fidi −, a scapito di incerte misure di patrimonializzazione, pare invece ragionevole avanzare riserve sulla effettiva idoneità delle recenti aperture all’esercizio del credito a venire incontro alle necessità dell’imprenditoria italiana.
A chi possono far credito infatti i nuovi enti creditizi? Assicuratori e SPV per le cartolarizzazioni, per legge, solo alla medio-grande impresa![18]
E dubbi possono sollevarsi, in fatto, anche sulla idoneità degli OICR a destinare liquidità alla piccola impresa, in particolare alla piccola impresa in difficoltà, considerato il rapporto costi/rischi/ricavi attesi[19].
Sicché si profila un rischio: che la nuova potenza finanziaria che viene liberata, si diriga non a sostenere l’imprenditoria, ma a speculare sulla sua distruzione: il rischio è che possa essere indirizzata a finanziare investitori professionali in ABS collegati a NPL, tra i quali potrebbe figurare anche qualche investitore estero[20], nell’ambito di cartolarizzazioni in cui la riscossione dei crediti ceduti può accontentarsi della liquidazione coattiva dei beni dei debitori, senza prima ricercarne il risanamento.

7. Capital Markets Union: tempo di migrare? O di ripensare? Converge con lo scopo di aumentare le possibilità offerte all’impresa di reperire finanziamenti, che ha mosso il legislatore ad ammettere nuovi soggetti all’esercizio del credito, la Capital Markets Union[21], là dove programma di agevolare l’accesso al mercato dei capitali della piccola impresa. Mercati per la crescita delle piccole e medie imprese, con requisiti di accesso semplificati rispetto a quelli stabiliti per l’ingresso nei mercati ordinari, sono già previsti nella MiFID II.
Perplessità, tuttavia, sono state formulate sulla compatibilità di tali requisiti, sia pure semplificati, con le effettive possibilità delle piccole imprese[22]. D’altro canto, anche il momento per incentivare questa imprenditoria a rivolgersi al mercato dei capitali non pare dei più propizi: la fiducia del pubblico nella economia non esonda.
Il luogo in cui l’impresa potrebbe più facilmente trovare sostegno, al tempo della crisi, è il sistema bancario e parabancario[23].
Perché qui si dovrebbero rinvenire strutture capaci di un simile sostegno. La banca, infatti, deve essere dotata di professionalità in grado di diagnosticare e analizzare la difficoltà dell’impresa e di gestire la difficoltà in funzione del risanamento dell’impresa, se questo è possibile in un congruo periodo: perché il risanamento evita la perdita e/o genera utili e dunque è coerente con una sana e prudente gestione. Il management bancario, inoltre, deve essere dotato di, e muoversi in coerenza con, una visione di lungo periodo[24]: questa è conforme, ancora una volta, con una sana e prudente gestione, non una visione corta.
Il sistema bancario, però, deve anche fare i conti con i vincoli patrimoniali, sulla cui idoneità a conferire sicurezza all’attività bancaria si sono già manifestate forti perplessità.
Più utile, in effetti, pare altra parte della normativa di settore. Così anzitutto quella volta a garantire che il «capitale umano» sia adeguato, che l’azione sia programmata e con ponderazione e che l’azione sia svolta in conformità al programma[25]. Utile pare l’intensificazione, di recente avvenuta, della sorveglianza sulla regolarità dell’azione: il riferimento è in specie al potere di removal[26]. Fruttuoso pare l’inasprimento della reazione propriamente punitiva, che tuttavia si è verificato (con le modifiche degli artt. 144 ss. T.U.B.) restando sul piano degli illeciti amministrativi: svincolando la responsabilità dell’ente da quella degli esponenti e acuendo, per gli uni e per gli altri, la sanzione irrogabile.

Note

12.  E’ la risposta di M. Biasin e M. Sciuto, op. cit., p. 552 s.

13.  Lo rimarca F. Capriglione, Nuova finanza cit., p. 10.
La differenza tra deposito bancario e investimento finanziario sta, a mio avviso – ma il punto non può certo qui essere adeguatamente svolto −, in ciò che, mentre l’investitore, ex contractu, ha diritto a che l’intermediario rispetti lo specifico incarico di gestione ricevuto (incarico che può essere più o meno ampio nel contenuto, ma è pur sempre un segmento dell’attività d’investimento che è possibile all’intermediario) in conformità alla disciplina di settore che gli è applicabile come impresa, oltre che come parte contrattuale, invece il depositante può sindacare soltanto – ma può sindacare nel corso del rapporto contrattuale – la conformità della conduzione dell’impresa bancaria alla disciplina di settore. Tale potere di sindacato discende dal fatto che è solo il rilievo contrattuale della disciplina cui è soggetta la banca come impresa, che può dare sostanza alla causa di custodia nel deposito bancario. Se infatti non ci fosse un potere di risoluzione del deposito e di risarcimento del danno per inosservanza della disciplina d’impresa, non sarebbe possibile distinguere il deposito bancario dal mutuo. Per un quadro delle varie tesi sulla natura del deposito bancario, non ancora soddisfacenti, v. U. Minneci, I depositi bancari di denaro, in Trattato dei contratti, a cura di V. Roppo, V, Milano, 2014, p. 760 ss.

14.  L’art. 47, comma 1, seconda parte, Cost. richiede il controllo dell’esercizio del credito a prescindere dalla forma tecnica con cui è raccolto il capitale impiegato. Per una giustificazione del maggior rigore della disciplina dell’impresa bancaria rispetto alla impresa in generale soprattutto in ragione del necessario controllo dell’esercizio del credito, più che della tutela del risparmio, G. Mucciarone, L’opposizione alla fusione di società, Milano, 2014, spec. p. 90 ss. Per la ragionevolezza, ex art. 3 Cost., di una disciplina comune alla grande impresa, «grande» per entità dei capitali in qualunque forma coinvolti nell’impresa (come, p. es., nelle società quotate) ovvero per il valore degli interessi, diversi da quelli proprietari, che l’impresa è destinata a soddisfare (vedi, p. es., gli ospedali oppure gli intermediari ex art. 106 T.U.B. per la funzione di selezione delle imprese meritevoli di finanza), G. Mucciarone,  Organi sociali cit., p. 98 s.

15.  Per la valorizzazione di tale aspetto dell’attività bancaria rispetto ai requisiti patrimoniali v. G. Mucciarone, Finanziamenti: istruttoria del credito e monitoraggio del cliente, in Tratt. dei contratti, cit., p. 781 ss. Tale aspetto ha ricevuto nuova considerazione nel contesto del recepimento della MCD, con gli aggiornamenti del 27 settembre 2016 delle circolari di Banca d’Italia n. 285/2013 e n. 288/2015.

16.  G.B. Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Tratt. s.p.a., 1**, dir. da G.E. Colombo e G.B. Portale, Torino, 2004, p. 48.

17.  Sono forse meno avidi di utili quando possono valersi dell’eterofinanziamento? E, ammesso il paragone, non corretto, dell’impresa alla roulette, è comunque chiaro che più puntate alzano la possibilità di vittoria. D’altra canto, nelle società quotate con capitale polverizzato potrebbe dirsi che ciascun socio rischia il capitale altrui, più che il proprio.

18.  Strano. E strano che invece gli OICR possano far credito anche alla piccola impresa, ma non ai consumatori.

19.  Maggiore fiducia mostra F. Capriglione, Nuova finanza cit., p. 18 s., sul «ruolo sociale» che nell’attuale fase possono svolgere i fondi d’investimento.

20.  L’ha rimarcato A. Penati, relazione su Fondo Atlante e nuove soluzioni per iNPLs tenuta nel convegno su I crediti deteriorati nell’industria bancaria italiana, Milano, 14 ottobre 2016.

21.  Per un quadro sull’Action Plan on Building a Capital Markets Union, emanato dalla Commissione Europea il 30 settembre 2015, D. Siclari, European Capital Markets Union e ordinamento nazionale, in Banca borsa e tit. cred., 2016, I, p. 481 ss.

22.  Cfr. F. Annunziata, relazione su Nuovi mercati, AIM e responsabilità della società di gestione tenuta nel convegno su Efficienza del mercato e nuova intermediazione, Bergamo, 28 ottobre 2016, con perplessità sulla capacità delle nuove norme a raggiungere effettivamente il proposito di incentivare la quotazione delle piccole imprese;

23.  Osserva F. Capriglione, Nuova finanza cit., p. 39 s.: «Con tutta probabilità, i tempi a venire saranno contrassegnati da una crescente alternanza tra momenti di compenetrazione ovvero di allontanamento tra sistema bancario tradizionale e shadow. Tale avvicendamento sarà determinato dal prevalere o meno dell’estensione applicativa dei presidi prudenziali allo svolgimento delle attività intermediatrici».

24.  Ne sono riflesso la disciplina del RAF, per esempio, e della remunerazione degli esponenti aziendali.

25.  Si allude a buona parte della normativa in materia di organizzazione della gestione di vertice e dei controlli interni: su cui, di recente, anche per ulteriori riferimenti e diversi inquadramenti di fondo di tale complesso disciplinare, v. i contributi di C. Frigeni, G. Mucciarone, A. Sciarrone Alibrandi e E. d’Ippolito, tutti in Regole e mercato, cit.

26.  Sul tema, oltre gli autori citt. nella nota precedente, A. Antonucci, I poteri di removal degli esponenti aziendali nell’ambito del Single Supervisory Mechanism, in Banca Impresa Società, 2016, p. 39 ss.; F. Ciraolo, La Banca d’Italia ed il potere di rimozione degli esponenti aziendali tra vigilanza prudenziale e disciplina della crisi, ivi, 2016, p. 51 ss.

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