Le – potenziali – contraddizioni di Trump

Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha nella campagna elettorale dichiarato che una volta in carica si sarebbe adoperato per effettuare investimenti pubblici in infrastrutture e frenare la immigrazione.
Sono obiettivi incompatibili.
Potenziare le infrastrutture è opportuno. Negli Stati Uniti, come nelle altre maggiori economie (massimamente in Italia), esse sono scadute al punto da essere gravemente carenti. Gli investimenti in tale campo darebbero soddisfazione a urgenti esigenze sociali (ambiente, sicurezza del territorio, sanità, ricerca, istruzione, trasporti e comunicazioni, utilities). Favorirebbero la produttività del sistema, riducendo i costi e trascinando gli investimenti delle imprese.  Al tempo stesso sosterrebbero potentemente la domanda globale, dato l’alto moltiplicatore della relativa spesa, comunque finanziata (con riduzione di uscite correnti, gettito fiscale e, ovviamente, con titoli o passività verso la banca centrale).
Ma il tasso di disoccupazione è negli Stati Uniti basso come di rado nel recente passato: 4,7% nello scorso dicembre. Dal 1948 esso si è in media attestato sul 5,8%, con una punta minima del 2,5% nel 1953. Dal 1953 il mercato del lavoro è tuttavia strutturalmente mutato e il tasso attuale è sul livello al disotto del quale la scarsità di lavoro genera inflazione.
Non a caso, paventando questo rischio, la banca centrale americana il 14 dicembre scorso ha innalzato dallo 0,5 allo 0,75% il tasso sui Federal Funds – che guida i tassi di mercato a breve termine – e ha segnalato l’intenzione di portarlo al 2% nel 1918 e al 3% nel 1919. Il dollaro si è di riflesso rafforzato, da 1,11 dollari per euro nel novembre scorso all’attuale livello di 1,05 (8 gennaio 2017). È concreta la possibilità che il movimento si estenda ai tassi d’interesse dell’Eurozona, all’Italia.
Gli immigrati negli Stati Uniti sono stimati in 43 milioni, oltre il 13% della popolazione complessiva. Nel 2014 il flusso annuo è salito a 1,3 milioni, principalmente da India, Cina, Messico.
Ne consegue che si vuole evitare un’ulteriore ascesa dell’inflazione – salita all’1,7% nel novembre 2016 movendo dai valori lievemente negativi dei primi mesi del 2015 – le alternative a una politica monetaria restrittiva per Trump si riducono a due: la rinuncia al proposito di incrementare gli investimenti in infrastrutture, ovvero la rinuncia al proposito di bloccare l’immigrazione al fine di accrescere le forze di lavoro.
È sperabile si scelga la seconda…