Riflessioni conclusive a margine di un convegno su «Le riserve di attività economiche alla prova dell’innovazione tecnologica e della sharing economy»(*)

Sommario: 1. Premessa. – 2. ‘Luci ed ombre’ delle nuove forme d’interazione tra diritto ed economia. – 3. Lo scenario in cui si colloca l’innovazione tecnologica. – 4. Qualche riflessione conclusiva: recuperare l’applicazione del metodo interdisciplinare… – 5. Segue: … e ribadire la tutela delle attività riservate. – 6. Nuove prospettive degli ‘studi di diritto dell’economia’.

1. Alcuni mesi or sono allorché Marco Sepe, prima, ed Antonella Sciarrone, poi, mi comunicarono la scelta, effettuata dal Consiglio direttivo dell’ADDE (Associazione dei Docenti di Diritto dell’Economia), della tematica da trattare in questo convegno non riuscii a nascondere il mio disappunto, ritenendo tale opzione poco significativa nel rappresentare la molteplicità delle problematiche connesse al ‘cambiamento’ post crisi. Solo oggi – dopo essermi dedicato ad un necessario approfondimento dell’argomento oggetto dell’odierna riunione e dopo aver ascoltato le relazioni di questo pomeriggio – ho acquisito la consapevolezza di aver espresso un giudizio affrettato e, dunque, poco coerente rispetto alla rilevanza delle analisi sottese alla verifica dell’incidenza dell’innovazione tecnologica sulle «riserve di attività economiche». E di ciò voglio fare pubblica ammenda in quanto è dovere di ogni studioso saper riconoscere i propri errori e cercare di correggersi.
In questo momento ho chiaro, infatti, che la tematica qui esaminata si colloca nel filone di ricerca avviato dall’ADDE nel convegno del dicembre 20l5 allorché ci si interrogò su quali dovessero essere le ‘regole per i mercati provati dalla crisi’, quali le vie da percorrere alla ricerca di nuovi equilibri. Il decorso di un ampio arco temporale dal recepimento della normativa emanata in sede UE a seguito dei noti eventi succedutisi a decorrere dall’anno 2007 e la valutazione dei rimedi ad essa successivi ci consentono di guardare al di là del contingente momento di impasse attraversato dal nostro sistema finanziario. Da qui l’esigenza di orientare l’analisi verso strumentazioni tecniche in grado di migliorare lo sviluppo economico e, dunque, di rendere possibile il riavvio di più spedite linee di ripresa; si comprende, allora, la ragione per cui l’attenzione debba essere incentrata sull’erompere del «nuovo», riguardato nella sua realtà fenomenica, al fine di stimarne l’incidenza vuoi sull’ implementazione delle fasi produttive, vuoi sulle modalità esplicative dell’attività intermediatrice.
Più in particolare, viene in considerazione l’incidenza dell’innovazione tecnologica sulla capacità espansiva dell’industria finanziaria: piattaforme informatiche, digitalizzazione, algoritmi, big data sono le parole chiave di una ‘rivoluzione’ operativa che spazia dal riferimento a tecniche di negoziazione di nuova generazione all’utilizzo di progrediti strumenti informativi che relegano nelle secche di un passato non lontano gli elementi di un agere finanziario che, per decenni, ha caratterizzato le relazioni di mercato.
In tale contesto, l’analisi della cd. sharing economy assume rilievo primario nelle valutazioni che si propongono di stimare gli effetti di una sostanziale scomposizione delle fasi del processo economico (e della correlata azione finanziaria) in vista dell’obiettivo di una ottimizzazione complessiva dei risultati perseguiti. Diviene, infatti, possibile calcolare in quale misura l’innovazione tecnologica (che trova espressione attraverso sistemi produttivi automatizzati ed intelligenti) si traduce in forme di sostanziale riduzione dei costi di produzione ovvero diviene portatrice di strumenti operativi che possono presentare implicazioni favorevoli sulla concessione dei finanziamenti e sulla semplificazione delle modalità in cui questi ultimi sono posti in essere.

2. Dopo tale premessa, risulta evidente l’importanza dell’analisi che quest’oggi ci ha interessato: dalle riflessioni introduttive di Laura Ammannati e di Giulio Sapelli alle indicazioni della tavola rotonda presieduta da Antonella Sciarrone, ai numerosi interventi di tanti giovani studiosi che si sono succeduti nella prima sessione dei lavori.
Mi piace qui ricordare la minuziosa ricostruzione delle funzioni degli ‘algoritmi’ e delle ‘piattaforme informatiche’, oggetto dell’ampia relazione introduttiva di Laura Ammannati. La riconduzione ai primi ed alle seconde della possibile identificazione delle misure di filtro e protezione nelle transazioni sposta su livelli di un’intrinseca obiettività lo svolgimento dei rapporti che su di essi si fondano, lasciando intravedere i benefici di questi meccanismi che in modo automatico fissano criteri di regolazione. A ciò si aggiungano gli ulteriori riflessi positivi delle innovazioni tecnologiche in parola conseguenti alla capacità di queste ultime di mettere in relazione gruppi di soggetti variegati e, dunque, di consentire una più compiuta valorizzazione degli asset delle imprese, realizzata riducendo l’apporto umano.
Si registra, dunque, una realtà in evoluzione la quale – è bene farlo presente – non si sottrae a pericoli di vario genere: dai rischi connessi all’utilizzo di strumentazioni che possono incorrere negli eccessi di un automatismo che tenda a sostituirsi alle regole, ai dubbi in ordine alle forme d’intervento delle autorità di controllo che devono fronteggiare la rigida obiettività di complessi tecnologici di difficile comprensione, alla carenza di conoscenze di tipo informatico necessarie per risolvere le problematiche poste dall’affermazione della sharing economy. Non a caso rilievi sostanzialmente critici su questa realtà in fieri sono stati mossi da Giulio Sapelli che ha ravvisato, in prospettiva, i presupposti di cambiamenti orientati verso forme di inverosimile ‘autoregolazione del mercato’ e di osmosi tra ‘Stato, mercato e impresa’, i cui estremi appaiono non ben identificabili e, comunque, di difficile definizione.
A ben considerare, l’innovazione tecnologica apre una prospettiva di analisi fondata su conoscenze della fenomenologia economica esaminata per le quali è richiesta una informativa e capacità di usare strumentazioni informatiche che potrebbero non trovare adeguato riscontro nella preparazione giuridica di coloro che sono deputati al controllo del corretto utilizzo delle medesime. Le perplessità al riguardo aumentano sol che si faccia riferimento al ricorso ai «computer quantistici» reclamizzati dalla stampa specializzata, evidenziando le funzioni matematiche che ne consentono l’applicazione.
Si riaffaccia prepotentemente il timore che tale linea evolutiva degli studi che si propongono di approfondire le variegate forme di relazione tre diritto ed economia possa comportare la fuoriuscita dal campo d’indagine proprio del giurista! Coloro che – come il sottoscritto – hanno creduto in un diverso dispiegarsi di tali studi vedono, infatti, con preoccupazione l’abbandono della metodologia d’analisi fino ad oggi seguita; infatti, appare verosimile ipotizzare che i nuovi criteri d’indagine abbiano superato le stesse indicazioni fornite dalla normativa che definisce l’ambito del settore scientifico disciplinare dello IUS 05, in base alla quale le indagini riguardanti la fenomenologia economica devono essere finalizzate alla definizione della disciplina «delle attività dei privati e dei pubblici poteri a tutti i livelli», tenendo conto della «dimensione plurale e multilivello della regolazione». In altri termini, si è in presenza di indicazioni che, ove generalizzate, prospettano un cambiamento metodologico dagli esiti incerti e, comunque, lontani dalle logiche ordinatorie che per decenni hanno contraddistinto la materia oggetto dei nostri studi.

(*)  Milano, Università statale, 2 dicembre 2016.

Una svolta positiva nella riconduzione della sharing economy in un ambito di valutazioni di carattere giuridico si è avuto negli interventi della ‘tavola rotonda’, guidata da Antonella Sciarrone, dedicata all’analisi dell’innovazione tecnologica secondo «il punto di vista dei valutatori». Dal confronto tra le diverse posizioni degli esponenti delle amministrazioni di controllo dell’ordinamento finanziario italiano (tra cui AGCM, CONSOB, IVASS, AGCOM, ecc.) sono emersi aspetti significativi della attività svolta da tali enti nella costruzione di adeguati frameworks disciplinari in grado di incanalare le nuove forme operative in modalità coerenti con l’impianto sistemico posto a presidio del corretto esercizio delle loro funzioni istituzionali. E’ stato dato, per tal via, un approccio interpretativo dell’innovazione tecnologica dal quale sono emersi i limiti conseguenti all’irrompere (nei mercati) dei soggetti che si fanno portatori dei nuovi moduli operativi. Significativa, al riguardo, mi è apparsa la segnalazione dell’esigenza di creare ‘ambienti protetti’ per la sperimentazione di dette tecnologie, nonché delle possibili interferenze recate dalla costruzione di nuovi prodotti allo svolgimento delle «attività riservate» (donde la necessità di prestare attenzione alle possibili ipotesi di abusivismo).
Da ultimo, alcune interessanti relazioni, affidate a giovani studiosi, hanno affrontato tematiche specifiche della sharing economy, evidenziando i profili particolari che ne qualificano l’essenza in chiave ‘collaborativa’. Dalla identificazione di “nuovi” servizi realizzati attraverso piattaforme software, che hanno dato contenuto al design della regolazione in un’economia «uberizzata» (Canepa), al censimento di significative piattaforme digitali (Segnalini) sono stati passati in rassegna i principali modelli di sharing economy, sottolineandone la difficile collocazione nell’ambito della «attività bancaria e finanziaria disciplinata dal quadro normativo esistente» e, dunque, la possibile loro riconduzione allo shadow banking system, con ovvie implicazioni a livello di  specifico need of protection (Lemma). Da qui l’indubbio interesse suscitato da tale dibattito dal quale traspariva, peraltro, una qualche perplessità in ordine alla incidenza di tali innovazioni sulle «riserve di attività economiche», come è chiaramente emerso dal lapsus freudiano di Maddalena Rabitti, Chair della sessione, la quale nel raccordare la nuova realtà a quella dei tradizionali operatori del mercato non ha esitato a qualificare questi ultimi come «i veri intermediari».

3. A ben considerare, è stato delineato uno scenario nel quale – a fronte di innovative declinazioni di politica industriale orientate ad una migliore qualità dei prodotti e dei processi produttivi – si evidenziano i benefici rivenienti da una filiera integrata di offerta di beni e di servizi finanziari. Si è in presenza di una modalità reattiva alle debolezze delle economie causate dalla crisi; in vista di un rilancio di queste ultime si propone un modello di sviluppo che affida a strategie specifiche (basate sulla ricerca in campo tecnologico) la possibilità di riavviare gli investimenti e le forme di competitività, tipiche dei sistemi di capitalismo maturo.
Esemplare, al riguardo, è il caso della Germania nella quale l’High Tech Strategy detta linee per gli investimenti e le azioni in materia di industriale, qualificandosi alla stregua di pilastro delle strategie che tale Paese intende adottare a fini di sviluppo tecnologico. Si individuano i prodromi di una nuova rivoluzione industriale che pone il modello tedesco al centro di un’esperienza innovativa, di cui avvertono la necessità anche altri Paesi i quali inevitabilmente finiranno col fare ad esso riferimento nella definizione di analoghi schemi nazionali.
Ne consegue che l’industria del futuro – nel nostro Paese consacrata nella formula Industria 4.0, analizzata tra l’altro in un’Audizione parlamentare tenuta da un esponente della Confindustria il 22 marzo 2016 – legherà in maniera crescente lo sviluppo del mercato manifatturiero alla pervasività con cui l’innovazione tecnologica sarà in grado di incunearsi nella realtà operativa, come è stato sottolineato in detta sede politica. L’identificazione delle Smart Technologies su cui dovrebbe fondarsi l’industria del futuro (tra cui Big data analytics, Internet of Things, ecc.) rende possibile calcolare la ricaduta del relativo know-how non solo sui processi produttivi, ma anche sui modelli di business. La velocità e la massa ingente di informazioni consente di ridurre le distanze e le asimmetrie informative, di monitorare i flussi delle domande, di adeguare i livelli di produzione: si è dinanzi ad un cambiamento (di dimensioni tuttora non calcolate adeguatamente) delle modalità di sviluppo del sistema economico e dei criteri di riferimento ai mercati. Accettare questa sfida che viene dall’innovazione tecnologica significa proporsi la realizzazione di nuovi obiettivi di efficacia ed efficienza, puntare sulla creatività secondo linee progettuali che hanno di mira la tutela del consumatore.
Sotto un profilo più strettamente finanziario il quadro testé descritto interagisce sul rapporto banca/impresa, imponendo la ricerca (nelle direzioni in precedenza segnalate) di nuove forme di finanziamento per le aziende. A fronte di meccanismi tradizionali (che, ovviamente, necessitano di miglioramenti con riguardo vuoi alle forme di accesso al credito, vuoi all’introduzione di idonei incentivi fiscali), rilevano le indicazioni desumibili da una Comunicazione della Commissione su come «sfruttare il potenziale del crowdfunding nell’Unione Europea» (COM, 2014, 172 final) e, più recentemente, dal Rapporto sull’incidenza di tale forma operativa «in the EU Capital Markets Union» (SWD, 2016, 154 final). Ed invero, la raccolta di fondi presso il pubblico per finanziare progetti di investimento effettuata attraverso piattaforme elettroniche costituisce, a mio avviso, un’epifania del principio della sharing economy in materia di servizi finanziari.
Si ha riguardo, infatti, ad una forma di ‘finanziamento collettivo’ che ha grandi potenzialità nell’integrare le fonti che ordinariamente supportano lo sviluppo della economia reale. Il crowdfunding dà contenuto ad un nuovo modello di sostegno dei progetti industriali o delle attività di imprenditori sociali, gli uni e le altre spesso condizionati, per la loro specificità, nell’accesso ai finanziamenti tradizionali; peculiari, a tal fine, sono le sue caratteristiche (e in particolare: la possibilità di consentire l’ intervento di un gran numero di persone per fornire all’imprenditore approfondimenti e informazioni) che si compendiano nell’offerta di significativi vantaggi alle imprese. Le considerazioni finali formulate nel Rapporto della Commissione sopra menzionato – laddove si specifica: «crowdfunding is still relatively small and needs space to innovate and develop» – ribadiscono le potenzialità di questa forma operativa, destinata in futuro a divenire  una fonte rilevante di finanziamento per le PMI; valutazione prospettica riferibile anche a molte altre innovazioni tecnologiche in grado di incidere sul sistema finanziario, trasformandone le caratteristiche di base.

4. Alla luce di questa analisi possiamo trarre alcune conclusioni; queste attengono essenzialmente alle conseguenze della realtà dianzi esaminata sulla interazione tra diritto ed economia, qual è dato configurare avendo riguardo allo stretto legame tra processo produttivo e regolazione giuridica.

E’ bene muovere da una considerazione di carattere metodologico: si rafforza, nel delineato contesto, la necessità di far ricorso ad una tecnica interdisciplinare, notoriamente utilizzata nelle indagini riguardanti le tematiche proprie del diritto dell’economia. Va, peraltro, fatto presente che lo studio della fenomenologia  in esame (e delle sue fasi evolutive) non può essere effettuato sulla base di criteri volti ad evidenziarne i meri profili di autonomia disciplinare; per vero, non se ne possono inquadrare i contenuti e l’essenza prescindendo da considerazioni nelle quali (tenendo conto della sua integrazione con la realtà giuridica, cui è connessa in un continuum relazionale) non sia riconosciuto adeguato spazio alla necessità di salvaguardare le posizioni giuridiche soggettive dalla medesima coinvolte. I contenuti della sharing economy non possono ritenersi sottratti al rispetto delle regole che – in vista della tutela dei diritti di coloro che operano nel mercato – impongono con normativa primaria un regime di «riserva» per l’esercizio di attività, le cui finalità devono ritenersi direttamente riconducibili ad interessi generali.
Le riflessioni formulate quest’oggi, nella tavola rotonda e nelle relazioni pomeridiane, ci dicono che la possibilità di un rinnovamento sociale potrà essere facilitata grazie al ricorso alle tecnologie digitali, le quali consentiranno di dare una risposta immediata alle esigenze di sviluppo e di finanziamento del sistema produttivo. E’, peraltro, vero che tale auspicabile risultato non potrà essere conseguito prescindendo da una doverosa osservanza del complesso dispositivo che attesti la piena conformità delle nuove formulazioni tecnologiche alle prescrizioni disciplinari poste a salvaguardia degli interessi generali dianzi menzionati.
Diviene, quindi, opportuno far riferimento alle modalità esplicative del nominato metodo interdisciplinare. Al riguardo, i miei ricordi vanno a tempi lontani, quando alla fine degli anni settanta del novecento, Giacomo Molle, fondatore di Banca e Borsa, nella recensione del mio primo lavoro monografico sottolineava con interesse, quasi con sorpresa, l’adozione nell’indagine di un criterio metodologico, da Lui definito originale, in base al quale il dato economico viene «recepito …come presupposto per un’interpretazione storica della funzione del diritto, scevra da posizioni concettualistiche e più consona ai rapporti di connessione tra le vicende socio economiche del Paese e realtà normativa». Molle voleva, in tal modo, puntualizzare che era mio intendimento superare la logica interpretativa, generalmente seguita, per razionalizzare l’interazione tra diritto ed economia, all’epoca circoscritta al mero incanalamento del fenomeno economico negli schemi giuridici della contrattualistica privata, esplicativa dei rapporti negoziali. Egli aveva ben compreso che il mio elaborato si proponeva di dimostrare che la simbiosi tra diritto ed economia è colta nella sua reale essenza soltanto se la regola giuridica è  funzionale all’affermazione degli interessi generali avuti di mira dalla società civile; ciò con la conseguenza di presidiare l’esercizio di attività che, per le loro intrinseche caratteristiche, appaiono riconducibili nell’ambito di «riserve» previste dalla legge e, dunque, sottoposte, ai vincoli rivenienti da apposite forme di controllo pubblicistico.
In un analogo ordine di idee, il mio pensiero va anche alle riflessioni contenute nel noto volume ‘Economia per il diritto’ (Boringhieri editore, 2006), curato da Piero Ciocca e da Ignazio Musu, nel quale si puntualizzano i termini in cui deve essere intesa la complementarietà tra diritto ed economia al fine di trarre dalla loro inscindibilità un contributo alla funzionalità dell’ordinamento ed al progresso economico. Ciò, in una logica interpretativa che, attraverso un esame analitico degli strumenti economici, è volta ad evidenziare i livelli di responsabilità connessi allo svolgimento delle attività che dei medesimi si avvalgono. Consegue la riferibilità all’esercizio delle «attività professionali» che – per quanto concerne le problematiche affrontate in questa sede – segna un’apertura alla modifica dei tradizionali canoni di valutazione seguiti nelle indagini giuridico-economiche che ne contraddistinguono l’esercizio. E’ evidente come, per tal via, diviene possibile riscontrare se le fattispecie, registrabili nella prassi operativa, riflettano una compiuta comprensione ed una corretta applicazione dei meccanismi esplicativi delle moderne tecnologie

5. Ritengo, dunque, che un significativo risultato dell’incontro odierno sia la convergenza delle tesi sostenute verso la necessità, da più parti avvertita, di dar corso ad un utilizzo ancora più intenso di un criterio metodologico in grado di ricondurre in ambito giuridico l’analisi dei fenomeni riconducibili ai fondamenti della razionalità economica.
La complessità e la molteplicità dei servizi collaborativi offerti dalle piattaforme e, più in generale, il carattere innovativo dei modelli finanziari alternativi a quelli tradizionali assurgono a presupposto di un indispensabile riferimento alle regole della scienza economica, che è a fondamento dei medesimi. L’approfondimento della specificità tecnica che caratterizza i contenuti di tali servizi richiede, peraltro, conoscenze e verifiche idonee a far valutare se, e in quali termini, siano state rispettate le norme poste dal legislatore a salvaguardia del carattere riservato di alcune attività. In altri termini, una corretta applicazione del metodo interdisciplinare deve essere d’ ausilio nell’identificare lo spartiacque tra forme d’attività rispettose del vigente sistema disciplinare ed altre che non lo sono.
E’ questa, a mio avviso, un’importante indicazione riveniente dalle indagini che si sono succedute nell’incontro di oggi: fondare gli accertamenti relativi alla corretta attuazione delle attività di sharing economy su criteri valutativi che consentano di verificarne la congruità con il vigente sistema disciplinare, verifica basata su un puntuale raccordo tra evoluzione dei processi tecnico finanziari e prescrizioni normative in tema di «riserve».  Da qui la ragione che induce ad individuare, come dianzi precisavo, nella ricerca attuata con metodo interdisciplinare la forma di indagine ottimale, consona cioè con l’adozione di adeguati «meccanismi decisionali», sollecitati dalla «eterogeneità dei processi» indotti dai tempi attuali.
Tale assunto presenta particolare interesse ove si abbia riguardo alle implicazioni di un non corretto utilizzo delle piattaforme di sharing economy sul diritto della concorrenza. L’offerta di servizi, attuata mediante ricorso alle nuove tecnologie, potrebbe infatti risolversi in esiti negativi, o quanto meno problematici, sul piano della compressione degli spazi operativi propri di talune categorie soggettive. I casi nei quali risulta verosimilmente violata la ‘riserva’ che contraddistingue l’esercizio di talune attività professionali, connotate dal rispetto di regole deontologiche, devono essere necessariamente contrastati. Va da sé che eventuali giustificate reazioni degli ordini professionali preordinate all’obiettivo di impedire la prosecuzione di evidenti violazioni di una riserva d’attività, consacrata da apposite leggi, non possono essere ostacolate – come purtroppo è accaduto – dall’uso dei poteri sanzionatori dell’AGCM. Questi ultimi configurano, a mio avviso, una palese compressione degli spazi d’ autonomia di organismi cui l’ordinamento riconosce il controllo sul corretto svolgimento delle professioni nel riferimento ai profili deontologici delle medesime, all’uopo ad essi assegnando peculiari funzioni disciplinari.

La circostanza che in connessione alle «riserve di determinate attività» sia prevista la presenza di taluni elementi (come l’imposizione di un sovrapprezzo) che possono ricondurne la configurazione in un ambito monopolistico non consente di qualificarne l’essenza come contraria al sistema concorrenziale. Non v’è dubbio alcuno sul fatto che gli ordini professionali difendono una specifica forma di cultura che trova estrinsecazione nell’alta qualità della prestazione, rispetto alla quale perde significato la riferibilità al ‘costo del servizio’, quale unico parametro di valutazione di quest’ultimo. Ne consegue che alcuni provvedimenti dell’AGCM, presentati come volti a far conseguire un risparmio ai consumatori, a ben considerare sono frutto di un liberismo populista orientato a trascurare che l’interesse prevalente dei destinatari di attività riservate s’individua nell’elevato grado di performance che ne caratterizza lo svolgimento.

6. Un ulteriore, delicato compito sembra oggi prospettarsi per gli studi di diritto dell’economia e per la ricerca volta ad approfondirne gli ambiti ed a svilupparne la portata. Esso deriva dall’ineludibile bisogno di conoscenza delle variegate e composite ragioni che sono alla base di una realtà in rapida trasformazione; si individua nella capacità di innovare gli strumenti interpretativi che, nel rispetto dei canoni tradizionali dell’ermeneutica giuridica, consentono di semplificare i processi e di definire i modelli di riferimento o in fieri.
La predisposizione di appropriate forme di tutela sempre più rivolte alla trasparenza dei rapporti, la riduzione dei vincoli e la conseguente liberalizzazione dell’agere che caratterizza il cambiamento recato dall’innovazione tecnologica identificano gli obiettivi primari di un’indagine che vuole essere determinante nella sua destinazione funzionale.  La «specializzazione»  di una ricerca realizzata  nei termini testé precisati è sostenuta dalla considerazione che nel momento presente – più di quanto non fosse dato riscontrare in epoche passate – assumono rilievo la «fluidità» e la «flessibilità» dei confini tra i diversi saperi; a queste si ricollega la possibilità di previsioni condivisibili, realizzate mediante lo scambio dei risultati propri di una pluralità di scienze cognitive, che si confrontano tra loro in vista del comune obiettivo della massimizzazione del benessere sociale.
In tale contesto, si delineano soluzioni che incidono, in via immediata, sulle possibilità di sviluppo futuro dei singoli ordinamenti: l’approfondita conoscenza dei fenomeni consente di governarli, evitando le sopraffazioni. Il rapporto norma – fatto, viene riguardato in un’angolazione che dà specifico rilievo alle profonde trasformazioni del quadro giuridico complessivo indotte dagli effetti economici di una realtà in continuo cambiamento. La ‘ricostruzione a sistema’ del complesso dispositivo vigente, superando la dimensione concettuale e dogmatica, conferisce nuova incisività al  legame tra il diritto e la storia, evidenziando la crescente necessità di un’ interpretazione coerente con le significative innovazioni che caratterizzano l’era presente. La funzione del diritto finisce con l’essere sempre meno neutra, il suo essere correlato alla evoluzione del potere gli conferisce una vettorialità strumentale al superamento delle incertezze e delle difficoltà che si evidenziano nella complessa dinamica della vita.
Diviene, altresì, possibile affiancare al rigore delle regole la eticità dei comportamenti: si apre una prospettiva nella quale autodisciplina e correttezza divengono i capisaldi di una normativa che affida il raggiungimento di più elevati livelli di salvaguardia, di integrità e di stabilità dei sistemi a meccanismi di autogoverno ed al senso di responsabilità degli operatori. Tale forma di ricerca, dunque, indica la via da percorrere nel tentativo di superare le avversità derivanti dal progresso e dall’ ampliamento delle relazioni (che, con terminologia moderna, definiamo ‘globalizzazione’); essa avvicina l’ambìto traguardo costituito dalla diffusione dei benefici rivenienti dalla socialità, intesa quale comunanza di vita, prospetticamente protesa alla «crescita d’insieme».
Nel discorso da me formulato a conclusione del convegno organizzato dall’ADDE a fine 2015, di fronte alla complessità ed alle difficoltà di una corretta applicazione del composito sistema disciplinare post-crisi ravvisai necessario proporre un invito alla preghiera, in considerazione della particolare sede del nostro incontro (l’ Università Cattolica). Quest’oggi, a distanza di un anno da quell’incontro, in un mutato contesto economico – e, dunque, in presenza di eventi dai quali è dato presumere di aver superato le difficoltà che hanno ritardato il riavvio della crescita – diviene possibile ben sperare per il  futuro. Chiare indicazioni in tal senso vengono da questo nostro convegno. Naturalmente, le problematiche esaminate ci dicono che necessita impegno e soprattutto coraggio per accettare la sfida che viene dalla sharing economy;  peraltro, ritengo del pari indispensabile fare un richiamo alla prudenza e, in considerazione del fatto che siamo nella laica Milano, mi sembra opportuno recuperare il noto suggerimento di Alessandro Manzoni:  «Adelante, adelante Pedro, sed cum iudicio».