Struttura della legge e discrezionalità dell’amministrazione

1. Il tema sul quale ho proposto al pres. Pajno di parlare, in questa prestigiosissima sede, nasce da una banale osservazione*. Da parecchi anni, di tanto in tanto si legge sui giornali la notizia che il Presidente del Consiglio di turno – ed a volte anche singoli Ministri – si sarebbero irritati di fronte a certe decisioni del giudice amministrativo, ovviamente in ultima istanza, e quindi del Consiglio di Stato. Me ne sono sempre stupito. Certo, nei molti anni di esercizio della professione forense ho avuto occasioni di dissentire da decisioni del Consiglio di Stato. Ma una cosa è il dissenso dell’avvocato – diciamolo pure, di modestissimo interesse, –  e ben altra l’irritazione del Presidente del Consiglio, che, di fatto, denuncia un ostacolo alla politica del Governo ad opera del Consiglio di Stato.
Da anni – tra i quindici e i venti, mi sembra – questo mi ha indotto a frugare, se così posso dire, nelle leggi: a leggerle, cioè, senza un interesse specifico, come capita a chi scrive un articolo, un ricorso, una nota a sentenza. Il mio interesse era osservare il fenomeno “legge” e quindi cercar di capire che cosa essa sia. Cercavo di capire come sia strutturata nel suo profondo, nell’essere non una semplice successione di parole, ma un insieme di parole, costruito in funzione di uno iussus: iussus che non si rivolge a persone per un fine preciso – fare, non fare, smettere etc. – ma  la cui portata, il cui significato concorrono a disegnare l’ordinamento.
Questa curiosità ha avuto qualche frutto.
Ormai da tempo, osservatori del “pubblico” e delle sue vicende hanno portato la loro attenzione sull’eccesso di legislazione che ha colpito il nostro Paese (questo però in realtà è un fenomeno globale). Le osservazioni che si leggono non possono certo essere riassunte in dettaglio. Ma qualche cenno, oltre che necessario, può essere sufficiente per comprendere l’orientamento della riflessione sul “contenuto” della legge – ovvero, sul suo porsi con tutto il suo peso costituzionale nella lotta per la costruzione dell’ordina-mento e la gestione degli interessi pubblici nel loro strutturale intreccio con gli interessi privati. Nel 2007, G.U. Rescigno ([1]) si preoccupava della legittimità costituzionale delle leggi provvedimento e della possibile riserva di atto amministrativo (ammettendola). Poco tempo dopo, B. G. Mattarella ([2]) letteralmente aggrediva la difficoltà strutturale in cui la legislazione era incorsa, a causa della sua proliferazione, sostanzialmente quasi priva di freni – salva, ovviamente, l’incostituzionalità. Alcuni anni prima A. Sandulli ([3]) aveva cercato di introdurre un sistema di razionalizzazione normativa; prima ancora, nel 1985, A. Pizzorusso, R. Moretti, L. Scotti, G. Lattanzi, F. Curcuruto, E. Lupo, A.A. Cervati, G. Marziale ed F. Carrozza avevano pubblicato nel Foro Italiano nove saggi sulla tecnica della legislazione, definendola “un artigianato da valorizzare” ([4]). Non meno incisiva è stata la posizione di S. Cassese ([5])

2. Il punto sul quale vorrei richiamare l’attenzione riguarda il profondo mutamento intervenuto negli ultimi anni nella “tecnica” della legislazione, di cui il legislatore si vale quando lo ritiene più opportuno. Questa “tecnica” consiste nel redigere norme con un altissimo livello di dettaglio, in modo tale che, di fatto, nessuno spazio, nessuna possibilità di modulazione e/o di scelta rimane all’amministrazione, chiamata ad attuare o applicare le norme in questione. Essa deve eseguire la legge; deve dare o negare qualche cosa; deve gestire la situazione che le si presenta, in un unico modo: quello definito dalla legge fino al livello di dettaglio adottato.
Prendo un esempio a caso: un articolo della legge 7 agosto 2015, n. 124, che conferiva al Governo una vastissima serie di deleghe legislative. Il primo gruppo riguardava la carta della cittadinanza digitale. Le prime due lettere, a) e b) del primo comma dell’art. 1 contengono vere deleghe giuridiche: individuare strumenti per definire i livelli minimi di qualità dei servizi on line delle amministrazioni (lett. a); lo stesso deve dirsi per la semplificazione dei procedimenti amministrativi, di cui alla lett. b).
Tutt’altra musica si legge nella lett. c). Qui si impegna il Governo a “garantire … la disponibilità di connettività a banda larga e ultralarga e l’accesso alla rete internet presso gli uffici pubblici e altri luoghi che, per la loro funzione, richiedono le suddette dotazioni”. Senza interpunzione (che mi permetto di inserire qui per chiarezza di discorso), la norma prosegue disponendo che questo risultato può essere ottenuto “anche attribuendo carattere prioritario, nei bandi per accedere ai finanziamenti pubblici per la realizzazione della strategia italiana per la banda ultralarga, all’infrastrutturazione con reti a banda ultralarga nei settori scolastico, sanitario, e turistico, agevolando in quest’ultimo settore la realizzazione di una rete wi-fi ad accesso libero con autenticazione tramite Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale (SPID), presente in tutti i luoghi di particolare interesse turistico, e prevedendo la possibilità di estendere  il servizio anche ai non residenti in Italia, nonché prevedendo che la porzione di banda non utilizzata dagli uffici pubblici sia messa a disposizione degli utenti, anche non residenti, attraverso un sistema di autenticazione tramite SPID”.

3. Dalla lettura di questa non proprio agevole norma emergono alcuni punti significativi per il tema che sto affrontando.
Il primo punto è che il Governo aveva idee chiarissime sul risultato che si voleva perseguire. Finalità principe della norma è dotare gli uffici pubblici di connettività a banda larga e ultralarga. Gli strumenti sono meno nettamente definiti, come del resto è naturale che sia. Il percorso operativo sembra essere il seguente: i finanziamenti pubblici per la realizzazione della banda ultralarga sono oggetto di bando; agli interventi di infrastrutturazione nei settori scolastico, sanitario e turistico merita di essere riconosciuto un carattere prioritario, che, per il settore turistico, si integra con la rete wi-fi ad accesso libero.
La domanda che ci si deve porre è quale ruolo sia stato affidato all’amministrazione rispetto al progetto. Se le parole hanno un senso, in una materia in sé così complessa, il suo ruolo appare puramente esecutivo. Le amministrazioni devono sollecitare i finanziamenti per la banda ultralarga nei tre settori indicati dalla legge – scolastico, sanitario, turistico, con particolare favore per quest’ultimo – , e provvedere alle gare o, molto più verosimilmente, collegarsi ad altri enti omologhi per organizzare l’affidamento della progettazione e la realizzazione delle infrastrutture di rete, sollecitare quelle a banda ultralarga, introdurre le reti wi-fi e simili. In sostanza, il ruolo è tecnico ed esecutivo. Le scelte, dunque la discrezionalità, sono tenute lontane.

4. Quanto fin qui si è osservato riguarda soltanto un caso particolare di sviluppo della digitalizzazione. Ma chi abbia la pazienza di scorrere una buona parte delle leggi di un certo “peso”, approvate negli ultimi 20-25 anni, è costretto a riconoscere che il venir meno del loro istituzionale carattere generale è diventato un fenomeno vastissimo, che ricorre continuamente. La mole di scritti sulla legge come tale, quale istituzione formale – e non su quanto le leggi dispongono, come dovrebbe essere – è estremamente significativa: sulla legge c’è incertezza. In altri termini, spesso la legge non è fonte di certezza, come dovrebbe, ma, appunto, di incertezza, perché i suoi confini di operatività possono essere minimi, irrazionalmente minimi. Un passo, un frammento di articolo, applicabile alle sole condizioni in cui si trova Mevio, muore con Mevio, è il caso di dire. Certamente non ha altra applicazione: ovvero, non può organizzare e disciplinare altro.

* Intervento al Convegno L’italia che cambia: dalla riforma dei contratti pubblici alla riforma della Pubblica Amministrazione, 22-24 settembre 2016, Villa Monastero – Varenna (LC)

Quanto si osserva ha un significato univoco. Ciò cui la legge deve mirare non è l’auto-referenzialità ovvero una sorta di autoesaltazione, come tante volte viene rappresentata. Il punto cruciale è che la legge è certamente uno dei principali strumenti attraverso cui si forma l’assetto stabile delle regole necessarie per disciplinare e ordinare i rapporti, ma altrettanto certamente non l’unico. Per un verso il diritto nasce infatti dal reticolo di attività e di assetti che si creano, ruotano e stabilizzano intorno agli interessi, e, per l’altro dalle interpretazioni ed applicazioni che sono state fatte della legge e di quanto ad essa si collega. Basti pensare alla giurisprudenza. Questi passaggi rendono la legge “viva”, se così si può dire, appunto perché da essa, dalla sua interpretazione, dalla sua applicazione, nasce il diritto. Nasce cioè quel fenomeno intrinsecamente misterioso, per cui una regola generale, tendenzialmente quasi astratta, vive e governa rapporti concreti, in cerca di ordine.

5. Si può dunque affermare che, per diventare diritto, è indispensabile che la legge diventi in qualche modo vivente, ovvero che essa guidi la mano – e la testa – dell’uomo in una certa direzione, anziché in un’altra. Su questo, e solo su questo, si basano i fondamenti del vivere civile, ovvero del vivere ordinato.
Ebbene, noi stiamo discutendo di leggi deliberatamente concepite e costruite come frammentarie, come norme, cioè, chiamate ad esaurire uno actu la loro funzione: questo è la legge di cui si diceva sopra, che impone di piazzare infrastrutture per la banda ultralarga in alcuni luoghi, a favore di alcuni utenti, ben identificati. La domanda che ci si deve porre è semplice: quale ingegno viene impiegato per ottenere questi risultati? Quale disegno impostato? Vi è traccia di scelta, che non sia puramente tecnica, ma miri a favorire o equilibrare qualche soluzione? Nulla vi è di tutto ciò. Non esistono scelte che superino il rispetto delle regole tecniche. Non esistono indirizzi da assumere per perseguire un risultato anziché un altro. Tutto è prestabilito.
Da qui discendono due considerazioni. La prima è drammaticamente banale. La stabilità degli assetti che porta al diritto, di cui si diceva sopra, è chiara. Di fatto ci sono regole ferree. Se la legge riguarda solo “frammenti” non può avere un valore di ordine diverso, perché il frammento di esperienza nasce e muore come frammento. In altri termini, viene meno lo sviluppo storico della legge – che si rivolge alla realtà fisica ed economica per regolarla e ordinarla nei tanti modi che la storia ha conosciuto: dunque, per essere oggetto di pensiero e di attività umane.. Tra il frammento enunciato dalla legge ed il suo destinatario non c’è mediazione.
Ma ci si deve spingere oltre. Norme di legge del tipo or detto – frammentarie, caratterizzate da esasperato dettaglio – non creeranno mai diritto. Non lo creeranno per una ragione elementare: non ce ne sarà bisogno, non ci sarà spazio per il diritto. Se non c’è qualche cosa da decidere secondo ragione – opportunità, utilità, prudenza etc. – l’unica regola che forse rimane è quella tecnica. Il “forse” è necessario: è ragionevole pensare che, consumata la norma di frammento, non vi sia alcuna giuridica possibilità di ricorrere a norme ulteriori e diverse..
Esistono dunque norme di legge che non potranno mai divenire diritto.

6. Ma si può presentare un altro problema molto serio. Per una ragione qualsiasi, Tizio può lamentare la mancata inclusione nella legge della fattispecie che gli interessa. Che ci possa essere una seria ragione, ad es. di disparità di trattamento, è possibile, anzi possibilissimo. Come si può far valere questo? Il problema è difficile perché il ventaglio delle situazioni può essere tale, da poter escludere la posizione di Tizio, semplicemente ignorandolo. Tizio chiede a Caio, gestore di un’attività qualsiasi, non necessariamente pubblicistica, di godere di un certo beneficio, non previsto esplicitamente dalla legge nei termini utili per. Tizio. Il gestore Caio risponde che la legge non prevede ciò che Tizio chiede. Come è palese, questa è pura discrezionalità del legislatore, che non è vincolato da una legge delega per la semplice ragione che è chiamato a legiferare nella pienezza di poteri e di valutazione che dà la frantumazione delle fattispecie. Nessuno può invocare la violazione di un vincolo. Manca infatti il parametro di riferimento, la regola generale..
In altri termini, questo tipo di legge, che ha la piena natura formale di legge, può disporre in termini diversi in situazioni solo indirettamente simili, perché la somiglianza può essere posta dalla legge, che decide di porla o non porla. La somiglianza sostanziale rientra solo tra i desideri.

7. Merita svolgere alcune brevi considerazioni. La prima riguarda il mitico rapporto tra legge, governo e pubblica amministrazione, giudice, che ha impegnato la vita di tutti noi. È pacifico che, fin dalle origini del nostro diritto amministrativo, una specie di dogma laico presiedesse ai rapporti tra parlamento (sub specie della legge), pubblica amministrazione, giudice. Certo il giudice garantiva il rispetto della legge da parte delle amministrazioni; ma come garantiva questo rispetto, così ne rispettava la volontà sotto il profilo delle loro valutazioni e scelte. Si chiamava discrezionalità, l’insindacabile discrezionalità. Con l’apporto della giurisprudenza si determinava l’assetto stabile delle regole e di quanto esse erano chiamate a disciplinare: assetto stabile, si noti, non casuale, né effimero. Ma se la legge procede per “frammenti”, nessuna regola stabile può venire alla luce. Non c’è un filo conduttore continuo e razionale, quale nasce dalla definizione dei fini e quindi dalla valutazione e dal confronto delle situazioni: che compongono un quadro e non ne sono solo i frammenti.
Bisogna avere il coraggio di dire che questa straordinaria struttura costituzionale delle amministrazioni e del loro potere, che abbiamo avuto, sta probabilmente finendo.
Vi è un altro messaggio in questo senso. È incontrovertibile che la nostra società miri, a livello mondiale, a gestire il maggior numero possibile di situazioni (e rapporti) con sistemi numerici, attraverso computer. La ragione è chiara: la popolazione della Terra ha superato i 7 miliardi di persone. Numeri di questo genere possono essere lasciati all’opera del solo uomo ad una condizione: che si accetti una divaricazione immensa tra ricchi e non poveri, ma persone prive di tutto. Come ormai tutti sanno, la digitalizzazione consente la simultanea gestione di sterminati numeri di situazioni, diverse tra loro, ma legate da un filo numerico comune. Essa è dunque una componente essenziale per la gestione della vita di tutti noi.
Ora è evidente che la gestione di questi numeri dalle dimensioni inaudite richiede canoni di comportamento completamente diversi da parte del “pubblico”, rispetto a quelli cui siamo abituati: misurate sulle centinaia, migliaia, decine di migliaia, non decine e centinaia di milioni di unità contemporaneamente. La diversità del canone di comportamento è necessariamente univoca: nessuno può più essere trattato oltre il livello di numero, se non dall’ultimo protagonista del processo “umano” del quale di volta in volta si tratta. In altri termini, la digitalizzazione è la regola; ma se la digitalizzazione segue la regola, questa regola – la legge – non può essere che frammentaria o, più esattamente, applicabile solo per frammenti uniformi, senza valutazioni intermedie. Senza esercizio di discrezionalità da parte di chicchessia.

***
Si può cercare di concludere. Il rapporto legge-potere-amministrazione è mutato. Il potere è conferito dalla legge all’amministrazione, ma non per regolarne il giudizio e quindi la decisione. La tendenza è quella di governare il suo strumento operativo – il sistema digitale – che la accompagna e in un certo senso la scavalca, rendendo immediatamente operativa la prescrizione della legge.
L’effetto è univoco. Se, sulla base di una legge, l’amministrazione deve valutare e decidere, possono essere denunciati al giudice sia l’errore nella valutazione (in quanto il sindacato di legittimità lo consenta, ovviamente), sia la violazione della legge. Ma se la legge non lascia spazio alla discrezionalità, essa, la legge, è violata: e non in un caso, ma in tutti quelli che fanno capo alla norma della cui “applicazione” o “attuazione” si tratta. In blocco può non essere applicata come si pensava e magari il Governo stesso intendeva.
Senza rimedio, in un regime di leggi guidate nei rapporti con l’uomo solo da sterminate, indecifrabili stringhe di numeri.

Note

1.  G.U. RESCIGNO, Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-provvedimento costituzionalmente illegittime, in Dir. pubbl., 2007, p. 319 ss. (è la relazione al Convegno di Varenna del 2007).

2.  B.G. MATTARELLA, La trappola delle leggi, 2011

3.  A. SANDULLI, La razionalizzazione normativa, in I Governi del maggioritario, 1998, p. 31 ss.

4.  Foro Italiano, Parte Quinta, p. 232 ss.

5.  Ad es. in Cassese e Galli, L’Italia da semplificare: le istituzioni, 1998. Ivi, Cassese e Mattarella, L’eccesso di regolazione e i rimedi, p. 29 ss.