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Brexit: un divorzio antistorico che può cambiare l’UE (*)

di - 5 Luglio 2016
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Le reazioni degli organi politici dell’Unione alla notizia del Brexit lasciano presumere che, nello svolgimento della procedura d’uscita dall’UE, il Regno Unito non potrà fruire, come nel passato, di privilegi; orientano in tal senso la larghissima maggioranza con cui il Parlamento europeo ha adottato la Risoluzione volta ad accelerare l’exit Uk e ad annullare la presidenza inglese del semestre 2017[41], nonché la inequivoca dichiarazione rilasciata dal Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk con riguardo all’avvio della procedura in parola: «l’UE è pronta a partire … anche oggi»[42]. Significative, altresì, devono ritenersi le considerazioni formulate da alcuni Capi di Governo di importanti paesi dell’Unione: mi riferisco ad Holland che ha tenuto a sottolineare «esiste un calendario previsto dal Trattato … ma può essere accelerato. Sta ai britannici comunicarci il prima possibile questa decisione»;[43] nonché a Renzi il quale si è richiamato ai valori dell’appartenenza all’UE («è impossibile fare parte di una comunità, accettando solo i vantaggi ….. Non si può essere comunitari solo sull’economia e non sui valori, non si può accettare l’idea che la Gran Bretagna faccia parte del mercato unico senza che prenda in considerazione i problemi… [dell’ Europa] … come quello dell’immigrazione»)[44].
Di certo, ad una compiuta valutazione degli eventi in esame non sfugge che sottesa alla Brexit è, per certi versi, la responsabilità della Germania, che ha prepotentemente preso le redini del progetto europeo e, in poche abili mosse, lo ha reso estraneo e inviso perfino a chi ad esso aveva prestato la propria convinta adesione. E’ evidente come, in un contesto geopolitico caratterizzato dalle tendenze egemoniche di questo Paese[45],  detto progetto possa essere stato ritenuto non affidabile da chi lo ha guardato con sospetto fin dall’inizio. Ciò posto, se il «leave» può ormai essere archiviato come realtà del passato (dovendosene attendere solo l’esecuzione), quel che oggi desta preoccupazione è l’atteggiamento attendista (con riguardo all’exit del Regno Unito) che la Cancelliera Merkel ha cominciato a tenere[46]. Perplessità, al riguardo, sono sollecitate dall’intento di voler «tendere la mano alla Gran Bretagna», sì da aiutarla a trovare un escamotage che ritardi gli effetti del voto, cui è riconducibile il sospetto che si è forse in presenza di un’inedita modalità d’azione per negoziare un’uscita del Regno Unito dall’UE che convenga solo allo Stato tedesco.

7.       La valutazione politica del voto del popolo britannico, come opportunamente è stato sottolineato dal Premier italiano, «è una vicenda storica», che non può essere né minimizzata, ne strumentalizzata[47]; pertanto, «chi cercasse oggi di minimizzare o di strumentalizzare ciò che è avvenuto commetterebbe un errore politico». Conseguentemente, la vittoria della Brexit deve far riflettere nella consapevolezza che il rispetto dei principi d’ordine democratico nel quale essa si incardina non è disgiunto dalla necessità di operare con prontezza una convergenza strategica dei paesi UE verso la soluzione della problematica esaminata nelle pagine precedenti. L’Unione deve impedire che questa storia le causi ‘danni ulteriori’, destinati ad aggiungersi a quelli rivenienti dallo squilibrio dei mercati finanziari, subito all’indomani del referendum!
Come emerge dagli incontri dei vertici politici europei, che si sono succeduti con inusitata frequenza nei giorni successivi alle votazioni, sembra diffuso tra gli Stati membri il convincimento di dover attivare al proprio interno un processo dialettico, finalizzato alla valutazione degli indicatori che delineano una sorta di crisi identitaria della stessa Unione (nella quale numerosi Stati membri forse non si riconoscono più).
A ben considerare, il voto britannico (per quanto connotato, come si è detto, da una logica contestataria) imputa all’UE la delusione per il mancato riscontro di un’aspettativa di crescita (di cui hanno beneficiato solo alcuni paesi), che sarebbe dovuta derivare dall’adesione alla stessa. Pertanto, la critica espressa dalla popolazione U.K. coinvolge le politiche comunitarie e l’intero impianto sistemico di un’Europa che non ha saputo realizzare adeguati programmi di sviluppo e nella quale l’integrazione, riguardata sotto il profilo della libera circolazione delle persone, si è risolta (agli occhi di cittadini provati da un decennio di austerity) in una minaccia, in un pericoloso attentato alla continuità di un welfare che non si vuole perdere.
Gli Stati membri si trovano, dunque, a dover affrontare una realtà fino ad oggi non ipotizzabile. Dare una risposta urgente e ferma alla volontà di exit manifestata dal Regno unito, è l’indispensabile presupposto per evitare che correnti populiste e xenofobe possano prendere il sopravvento, approfittando del clima d’incertezza che oggi contraddistingue i rapporti tra i paesi del «vecchio continente»; siano di monito, in tale contesto, le parole di Romano Prodi: «il progetto europeo non ha ancora raggiunto il punto di non ritorno, … (per cui) … l’Europa potrebbe anche venir meno»[48].
Si comprende che bisogna operare un’inversione di rotta, decidere di attuare un cambiamento delle politiche fini ad oggi perseguite: spinge in tale direzione la necessità di interrompere il perverso circuito che potrebbe condurre ad un’implosione dell’UE. Ove ciò avvenga, l’accettazione della decisione referendaria – per quanto possa apparire antistorica, per la sua contrarietà ad un processo di europeizzazione che sembrava ormai irreversibile – può assurgere ad evento propositivo per rivisitare il progetto di  costruire una «casa comune».
In quest’ordine logico, fornisce interessanti spunti d’analisi il documento sul  «Programma di lavoro della Commissione europea per il 2016», nel quale sono illustrate le iniziative e le misure che, nelle intenzioni della Commissione, dovrebbero essere al centro dell’azione dell’UE in tale anno[49]. L’esigenza di attuare una nuova ‘Agenda strategica’, cui si è fatto riferimento nella riunione del Consiglio europeo di fine giugno c.a., potrebbe trovare utile compendio in opportune integrazioni di tale documento incentrate sulla identificazione di puntuali strumenti ed incentivi a sostegno del lavoro dei giovani, di piani di crescita e competitività, della lotta alle immigrazioni legali.
E’ questa la sfida che l’Europa deve affrontare nell’immediato: ad essa è correlato il superamento delle politiche che mettono a rischio la continuità dell’Unione! Non è possibile in questo momento fare previsioni di sorta sui tempi e sugli esiti della profonda revisione del progetto europeo cui la Brexit ha dato l’avvio. Quel che appare certo è l’ineludibile presa d’atto di dover decidere perché non è più procrastinabile il cambiamento!

8.       Da quanto precede risulta evidente come il voto sulla Brexit abbia agito da catalizzatore nel far emergere i numerosi fattori di debolezza che, al presente, connotano l’UE. Il clima d’incertezza, che ad esso ha fatto seguito, conferma i limiti della relativa costruzione, incapace di riuscire a trovare prontamente al proprio interno i rimedi necessari a superare il momento di grave difficoltà in cui versa l’Unione a causa di un voto referendario (forse espresso senza un’adeguata valutazione delle sue reali implicazioni).
Un’errata decisione politica – adottata allo scopo di isolare (e sconfiggere) le frange populiste di una Gran Bretagna che non ha saputo valutarne con esattezza la portata -, fomentata dalla tradizionale scarsa empatia della popolazione U.K. per i paesi continentali, si è tramutata in un pericoloso boomerang destinato a colpire non solo il Regno Unito, ma anche l’intero contesto regionale europeo. A nulla sono valse le concessioni con cui, in molteplici occasioni, l’Unione è venuta incontro alle istanze dei governanti britannici, consentendo al Regno Unito una «posizione di privilegio» rispetto agli altri Stati membri!
Tutto ciò fa ormai parte di un irreversibile passato! Resta solo l’amara constatazione che la Brexit è il portato di una campagna elettorale sulla quale – come ho sottolineato in precedenza – hanno fatto aggio i nostalgici ricordi di un passato che non può ritornare, ma soprattutto la mancata conoscenza del ‘progetto europeista’ (che ha alimentato i timori di un’ invasione migratoria dagli altri paesi dell’Unione). Da qui il clima, che non esiterei a definire falsato, in cui è maturata la determinazione di uscire dall’UE, cui – come è emerso subito dopo le votazioni – hanno contribuito un’ingannevole informativa all’elettorato[50] ed il limitato impegno della parte politica deputata al sostegno del Remain[51].
La perdita di un compagno di viaggio è sempre un evento non gradito, talora traumatico; ciò specie nel caso in cui si tratta, come nella vicenda qui esaminata, di un Paese che, per secoli, ha svolto un ruolo centrale nella storia dell’Europa! Conforta il pensiero che, nella fattispecie, si è fatto «di tutto e di più» per convincerlo a perseverare in un cammino comune, che è stato ora interrotto da una decisione nella quale si riflette l’«interno sentire» di una parte maggioritaria del popolo britannico. Pertanto, appare singolare la circostanza che dall’atteggiamento tenuto dal Premier Cameron nel sua ultima seduta nel Consiglio europeo traspaia una sorta di tacito rimprovero all’UE per non aver saputo affrontare efficacemente le problematiche poste dal processo d’europeizzazione[52], laddove in vista di tale obiettivo sarebbe stata necessaria quella piena integrazione alla quale la Gran Bretagna ha sempre voluto fermamente sottrarsi. Valga, per tutte, il richiamo alla questione della immigrazione e dell’implicito bisogno di una politica estera comune!
A fronte di tali considerazioni si comprende l’effetto incentivante svolto dalla Brexit sulle tendenze separatiste che attualmente minano la continuità dell’Unione. Ad essa appaiono, inoltre, riconducibili nuove situazioni di disagio per gli Stati dell’UE, dovute all’ipotizzabile divario tra la posizione della Germania e quella degli altri paesi comprimari (Francia e Italia), intenzionati ad uscire prontamente dalle secche dell’incertezza post-referendaria e, dunque, manifestamente non favorevoli ad accettare le soluzioni attendiste proposte dalla prima. E’ questo, con tutta probabilità, un pericolo non adeguatamente valutato nella stima dei possibili fattori di squilibrio recati dagli eventi che qui ci occupano.
E’ evidente come una gestione intelligente della fase di transizione successiva alla Brexit – come ho cercato di evidenziare nelle pagine che precedono –  non può prescindere da uno sforzo comune di tutti gli Stati membri nel confermare, con senso di responsabilità, l’impegno assunto con l’adesione ai Trattati; fermo restando che «a nessuno, tanto meno agli inglesi, può essere consentito di danneggiare tutti con rinvii arbitrari»[53]. Consegue l’esigenza d’intensificare le forme di cooperazione per consentire all’UE di rilanciare un programma di crescita, fondato sull’abbandono della logica dell’austerità a favore di una rivitalizzante coesione e di una solidarietà rispettosa della dignità umana. La ricerca di nuovi percorsi per un’integrazione che rechi sviluppo e consolidi la concordia all’interno dell’UE individua, infatti, la modalità più congrua per impedire che il danno causato dalla Brexit raggiunga livelli tali da infrangere il «sogno europeo» nel quale continua a credere tanta parte dei popoli della Unione, cui (col voto referendario britannico) si sono associate le nuove generazioni del Regno Unito.

Note

41.  Cfr. Matteucci, Brexit, Parlamento Ue vota per ‘attivazione immediata’. Merkel: “Referendum non può essere ribaltato”, visionabile su www.repubblica.it/esteri/2016/06/28/news/brexit_renzi_ tutto_il_necessario_per_salvare
_soldi_cittadini_e_merkel_contro_presidenza_di_turno_londra.

42.  Cfr. Matteucci, Brexit, Parlamento Ue vota per ‘attivazione immediata’. Merkel: “Referendum non può essere ribaltato”,cit.

43.  Cfr. l’editoriale intitolato Renzi, Holland e Merckel d’accordo: La Brexit non si farà adesso, visionabile su  www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11923726/renzi–holland-e-merkel-d-accordo—la-brexit-non-si-fara-adesso–.html

44.  Cfr. l’editoriale Il Parlamento Ue vota la mozione per una Brexit veloce, visionabile su www.globalist.it/world/ articolo /202686/il-parlamento-ue-vota-la-mozione-per-una-brexit-veloce.html.

45.  Cfr. Capriglione – Sacco, Politics and Finance in the European Union. The Reasons for a Difficult Encounter,      p. 200 ss.

46.  Cfr. Dempsey, Why Brexit will be Angela Merkel’s greatest test, visionabile su www.washingtonpost.com/opinions/ global-opinions/why-brexit-will-be-angela-merkels-greatest-test.

47.  Cfr. l’editoriale Renzi, Brexit pesa sulla storia della UE, visionabile su www.ansa.it/sito/notizie/politica/2016/ 06/24/brexit-renzi-sente-merkel-e-hollande.

48.  Cfr. il discorso tenuto il 23 marzo 2007 nel Senato della Repubblica italiana.

49.  Tale documento è visionabile su www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/958346/ index.html?part=dossier_ dossier1-sezione_sezione2&parse=si&spart=si.

50.  Cfr. supra nota n. 30.

51.  Cfr. l’editoriale Brexit, la disfatta di Corbyn. Media: “Guerra civile nel Labour. Peggiore crisi del partito dal 1935″, visionabile su www.ilfattoquotidiano.it/2016/06/27/brexit-la-disfatta-di-corbyn-media-guerra-civile-nel-labour-peggiore-crisi-del-partito-dal-1935, ove si fa espresso riferimento alla «bufera su Corbyn, capo del principale partito di sinistra nel Regno Unito, accusato di non aver fatto abbastanza negli ultimi mesi per convincere i britannici a votare contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea».

52.  Cfr.  l’editoriale Brexit. Al Consiglio Ue ultima cena con David Cameron: gelo sul premier britannico, ma è impasse fino a settembre, visionabile su /www.huffingtonpost.it/2016/06/28/brexit-consiglio-ue_n_10719956.html

53.  Cfr. Napoletano, L’intelligenza politica ed in senso dell’urgenza, in IlSole24Ore del 28 giugno 2016.

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