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Brexit: un divorzio antistorico che può cambiare l’UE (*)

di - 5 Luglio 2016
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Si è, dunque, in presenza di un’opzione che trascura (rectius: dimentica) i vantaggi (non solo economici) rivenienti dall’Unione. Ed invero, il Regno Unito non ha considerato il lungo arco temporale di pace che l’UE ha reso possibile tra popoli che, per secoli, si sono combattuti. Ci appaiono nella loro interezza i limiti rivenienti dalla connotazione insulare della Gran Bretagna, mai come oggi indicativa di una separatezza che forse sarebbe stato opportuno superare; anche a costo di disattendere le note indicazioni di Churchill: «ogni volta che dovremo decidere tra l’Europa e il mare aperto, sceglieremo sempre il mare aperto»[31]. Non a caso, all’indomani del referendum, è stato fatto presente che, per quanto il «pragmatico idealismo di Churchill e dei leader della sua generazione» deve ritenersi ormai inevitabilmente perduto, la scelta degli elettori britannici si è fondata su motivazioni razionali ed irrazionali al contempo, una sorta di mixing tra pragmatica valutazione di convenienza ed istintivo riflesso di «pancia»[32]. 
In tale contesto, le radici profonde del recente voto britannico vanno forse ricercate negli effetti di un processo d’internazionalizzazione dei sistemi economici che, spostando i centri di produzione manifatturiera in paesi extra-europei, ha determinato lo svuotamento di alcune citta industriali e l’abbassamento del livello di vita dei lavoratori britannici non qualificati[33]. Da qui il timore di ulteriori arretramenti, sul quale hanno fatto aggio le preoccupazioni di una politica UE tendenzialmente aperta alla solidarietà per le popolazioni in fuga dalle guerre, dalla fame, dai pericoli di morte. All’Europa si è attribuita la causa di un malessere che di certo non le è imputabile; l’Unione è stata caricata, quindi, di significati ad essa non ascrivibili, per cui in nome del «leave» si è espresso un voto di sostanziale protesta, soprattutto da parte della popolazione meno istruita ed a più basso reddito[34].
E’ evidente, infatti, come la riferibilità all’interesse nazionale correlata al superamento dell’adesione all’Unione (sottesa alla manifestazione di voto) abbia presupposto un livello di coesione (ovvero un’istanza in tal senso) tra gli Stati membri, difficilmente configurabile nel contesto regionale europeo. Viene data per scontata una realtà europea caratterizzata dalla volontà comune di affermare il benessere generale sovranazionale; evenienza che, al presente, deve ritenersi solo tendenziale ed ancora del tutto ipotetica, non riscontrandosi un’adeguata apertura alla disponibilità di farsi carico degli oneri dell’integrazione senza un ritorno di convenienza, politica o economica, per i paesi che si impegnano a tal fine.

6.       Il dado è tratto! E una repentina attivazione della procedura di cui all’art. 50 TUE da parte del Governo britannico appare indispensabile. Essa è richiesta con fermezza dagli organi dell’Unione (Parlamento e Consiglio) non muovendo da intenti punitivi, bensì dalla necessità di evitare che la ritardata conformazione della Gran Bretagna al voto democraticamente espresso dal suo elettorato si traduca in danni ulteriori rispetto a quelli recati dalla ‘tempesta finanziaria’ abbattutasi all’indomani del referendum. Un’inutile rinvio dei tempi di esecuzione della volontà popolare è imposto, altresì, dal rispetto che tale Paese deve all’UE, alla quale va evitato il protrarsi della situazione d’incertezza che ha fatto seguito alla Brexit e, dunque, l’esposizione degli Stati membri a squilibri economico finanziari ed agli input dei movimenti populisti intenzionati ad emulare il caso U.K.
Per converso, si riscontra una tardiva resipiscenza non solo di numerosi votanti che la stampa specializzata definisce in preda al rimorso per il voto espresso, ma anche di noti politici britannici dal Premier dimissionario Cameron al Cancelliere Osborne[35]. Sorprende, in tale contesto, l’atteggiamento ambiguo del primo che, dopo aver dichiarato l’accettazione del ‘voto referendario’, ha demandato al suo successore  l’attivazione dell’art. 50 TUE[36],  esprimendo tuttavia l’intento di voler negoziare con l’Unione la permanenza del Regno Unito «nel mercato comune» e, dunque, la conservazione di intense relazioni economiche e finanziarie.
Si è in presenza di una linea politica volta a mitigare le inevitabili conseguenze dei risultati del referendum, utilizzando la possibilità di impiegare tempi lunghi per l’esecuzione dello stesso; di fondo traspare il chiaro intento di conservare – nonostante un generalizzato clima avverso dei paesi europei – i privilegi conseguiti dall’UE, soprattutto a seguito dei recenti accordi del febbraio 2016. Per quanto si possa essere animati da un intento di piena collaborazione con la Gran Bretagna, aiutandola ad affrontare questo difficile momento della sua storia, ritornano alla mente le note parole di Cicerone: «Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?»[37].
Una responsabile risposta all’interrogativo che di certo gran parte della popolazione europea si pone in questo momento – vale a dire: quale verosimilmente è il programma di exit del Regno Unito – può essere data solo dalla lettura del disposto dell’art. 50 TUE, che disciplina la materia in esame[38].
In sintesi, tale norma demanda agli Stati membri la possibilità di decidere la recessione dall’Unione (comma primo), rimettendo ad essi la notifica di tale intenzione al Consiglio europeo. Essa prevede, quindi, l’apertura di un negoziato tra l’UE ed il paese recedente che si conclude con «un accordo volto a definire le modalità del recesso» (comma secondo). I trattati «cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica» del recesso (comma terzo). Seguono regole procedurali riguardanti la partecipazione dei rappresentanti dello Stato recedente alle sedute del Consiglio, nonché la procedura da seguire nel caso di richiesta di nuova adesione da parte dello Stato che ha esercitato il recesso.
E’ evidente come il legislatore europeo si sia preoccupato – nel rispetto della volontà dello Stato interessato – di contenere il tempo dell’exit nella durata di due anni, prevista per lo svolgimento della procedura di recesso. Pertanto, non convincono le linee comportamentali (come quella di Cameron) che sembrano voler promuovere con  l’escamotage della notifica ritardata un rinvio applicativo, che inevitabilmente renderebbe difficile l’osservanza del menzionato termine di due anni.
Aspetto centrale della regolazione in esame è, per un verso, la stipula di un accordo dello Stato recedente con l’Unione, per altro l’identificazione del momento di cessazione dell’applicabilità dei Trattati al medesimo. Per quanto concerne i contenuti di tale convenzione, la normativa non pone vincoli al riguardo, lasciando presumere che le parti restino libere di determinarsi nelle modalità ritenute più opportune[39]; resta ferma, naturalmente, l’approvazione dell’accordo da parte del Consiglio (con i quorum deliberativi ivi fissati), nonché del Parlamento europeo. Il termine per la cessazione dell’applicabilità dei Trattati coincide con la data di entrata in vigore dell’accordo di recesso, essendo previsto, per il caso in cui quest’ultimo manchi, che comunque essi vengono meno allo scadere dei due anni dalla notifica del recesso. Va da sé che la locuzione letterale della norma in esame fa riferimento ai «Trattati» che interessano (e coinvolgono in modalità paritarie) tutti i paesi membri dell’UE; ragion per cui devono intendersi escluse le negoziazioni particolari che uno Stato membro abbia attivato (e concluso) con l’Unione. Ne consegue che, nella fattispecie, non possono ricondursi al disposto normativo in esame gli accordi in corso che devono ritenersi immediatamente sospesi a seguito del referendum; come, del resto, la Commissione ha già disposto per quelli del febbraio 2016 più volte richiamati (i quali, come si è già sottolineato, hanno consentito ‘concessioni particolari’ alla Gran Bretagna ed una ‘posizione d’autonomia’ non riscontrabile nelle realtà di altri paesi europei)[40].

Note

31.  Cfr. Beevor, D-day: storia dello sbarco in Normandia, Rizzoli, 2013.

32.  Cfr. martinetti, Brexit, oggi i britannici al voto fra pragmatismo e istinto, visionabile su www.lastampa.it/2016/06 /23/cultura/opinioni/secondo-me/brexit-oggi-i-britannici-al-voto-fra-pragmatismo-e-istinto. 

33.  Cfr. Brown, Brexit, la sfida: globali ma equi, visionabile su www.corriere.it/esteri/16_giugno_29/brexit-sfida-globali-ma-equi-gordonbrown.

34.   Cfr. Clericetti, La lezione del Brexit, visionabile su http://sbilanciamoci.info/la-lezione-del-brexit, ove si precisa che «la vittoria di Brexit c’entra poco con l’Europa e molto con le politiche uguali in tutti i paesi, o per convinzione o per costrizione, che stanno provocando dovunque un rigetto verso chi governa».

35.  Cfr. Dyer, Il rimorso degli elettori britannici dopo la Brexit, visionabile su www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2016/07/02/brexit-elettori-conservatori-laburisti, ove si precisa che «la maggioranza dei parlamentari conservatori è sconvolta dall’esito del referendum, ma questo vale ancora di più per gli elettori favorevoli alla Brexit. Le proporzioni del rimorso negli elettori sono tali che, se il referendum dovesse tenersi oggi, l’esito sarebbe probabilmente opposto». Singolare, altresì, sono le parole, riportate, da Osborne: «usciremo dall’Unione solo quando saremo pronti…attiveremo l’art. 50 solo quando saremo pronti», cfr. l’editoriale intitolato BREXIT/ Referendum Unione Europea, Cameron: “Il risultato va accettato, restiamo uniti” (conseguenze Gran Bretagna 27 giugno 2016), visionabile su www. ilsussidiario.net/News/Politica/2016/6/27/Brexit-Referendum-Inghilterra-Unione-Europea-il-trucco-di-Cameron-e-bufera-in-Ue-conseguenze-Gran-Bretagna-27-giugno-2016.

36.  Cfr. l’editoriale intitolato BREXIT/ Referendum Unione Europea, Cameron: “Il risultato va accettato, restiamo uniti” (conseguenze Gran Bretagna 27 giugno 2016), cit. .

37.  Cfr. Cicerone, Oratio in Catilinam prima, 1, 1.

38.  Per indicazioni interpretative su tale norma formulate in occasione del Brexit, cfr. l’editoriale di Sanna, Brexit: cosa dice l’art. 50 TUE (Trattato sull’Unione Europea), visionabile su www.news.biancolavoro.it/brexit-cosa-dice-lart-50-tue-trattato-sullunione-europea.

39.   Cfr. Manzini, Tre scenari per il day after, visionabile su www.lavoce.info/archives/41573/brexit-tre-scenari-per-il-day-after,   ove si prospetta la possibilità che il  Regno Unito regoli i rapporti con l’Unione non mediante un accordo specifico, bensì attraverso l’adesione a trattati già esistenti, come l’Efta (European Free Trade Association) o l’Eea (European Economic Area) o la Omc (Organizzazione mondiale del commercio).

40.  Cfr. l’editoriale di Salama pubblicato col titolo  European Commission Statement on Brexit – Full Text, visionabile su www.fxstreet.com/news/european-commission-statement-on-brexit-full-text-201606241221, ove si precisa «As agreed, the “New Settlement for the United Kingdom within the European Union”, reached at the European Council on 18-19 February 2016, will now not take effect and ceases to exist. There will be no renegotiation».

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